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C’è molta disinformazione sul Parco di Monza, sulla Villa di cui è parte integrante e alla fine sulla storia di Monza. Una disinformazione che si traduce spesso in una vuota retorica a cui corrisponde una sostanziale svalutazione.

Si identificano la Villa e il Parco con la Casa Savoia, che l’ha vissuto solo per una ventina d’anni. Lo si qualifica intuitivamente come “un gioiellò”, ma lo si utilizza come bigiotteria. Si definisce il Parco come un “polmone verde”, senza rendersi conto che è una definizione riduttiva. Si equipara il monumento con le ville brianzole dei patrizi milanesi, senza capirne la ben diversa e significativa dimensione storica, da cui deriva la sua ben più vasta dimensiona territoriale. Gli studi storici, spesso accurati e pregevoli, si focalizzano per lo più su persone, famiglie, fatti particolari, senza contestualizzarli in visioni di più vasto respiro. E’ completamente assente la consapevolezza della unitarietà storica del monumento con la città di Monza, per non parlare del contesto italiano ed europeo. Non è raro sentir dire che, se non ci fosse l’autodromo, Monza sarebbe un borgo sconosciuto e irrilevante.

Accingendosi a visitare Villa e Parco, occorrerebbe invece ricondurli alla storia di Monza, e inevitabilmente a quella dell’Italia e delle vicende europee. Propongo ai più esperti di me, che mi considero un ignorante consapevole, di discutere sulla seguente narrazione.

Mi sembra necessario partire da una riflessione sul fatto che Monza è da oltre un millennio depositaria della Corona Ferrea, e che nel suo stemma è inciso il motto “Monza è la sede del grande Regno d’Italia”.

Questa corona e questo motto ci riportano al Sacro Romano Impero, riproposto nei secoli come continuazione di un impero romano senza tempo, ideale e universale. Almeno per un certo periodo l’Impero ha avuto come pilastri il Regno di Germania e il Regno d’Italia. Gli aspiranti imperatori dovevano, prima di essere incoronati dal Papa, cingersi il capo con con le corone dei due Regni. Per quanto riguarda l’Italia, dovevano farlo con la Corona Ferrea. L’Italia era e sarebbe rimasta fino al XIX secolo un’ideale  culturale, politicamente lacerata, ma ben precisa: “Il bel Paese là dove il sì suona” (Dante); “Il bel Paese che Appennin parte e il mar circonda e l’Alpe” (Petrarca).

Tra le decine d’incoronazioni più o meno documentate, meritano di essere ricordate quella di Carlo Magno nell’anno 775, il quale riuscì fuggevolmente a unificare il Regno dei Franchi con quello longobardo. Quella di Carlo V d’Asburgo, il cui impero era arrivato nel XVI secolo a comprendere quasi tutta l’Europa e le Americhe recentemente scoperte, tanto da fargli affermare che su di esso non tramontava mai il sole. Quella di Napoleone, che rifondò il Regno d’Italia e che nel cingersi la Corona con le proprie mani pronunciò la famosa frase “Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca”.

 

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 L'impero di di Carlo V

 

Nel XVIII secolo, con l’esplosione della Rivoluzione Francese, le monarchie assolute difendevano con i denti l’ “Ancien Régime”. In Italia l’Impero austro-ungarico, ultimo residuo del Sacro Romano Impero, governava la Lombardia. Ma l’illuminata imperatrice Maria Teresa non dimenticava l’importanza dell’Italia, ancorchè divisa in ducati molti dei quali peraltro legati alla dinastia asburgica. E’ rimasto nella storia il catasto milanese di Maria Teresa come modello amministrativo. Ma a lei si devono anche  il Teatro alla Scala e la Villa di Monza, affidati al grande architetto Giuseppe Piermarini, allievo di Luigi Vanvitelli, autore della Reggia di Caserta. La Villa di Monza fu destinata a residenza dell’Arciduca Ferdinando d’Asburgo-Este, figlio dell’Imperatrice, nominato Governatore di Milano.

La Vllla fu costruita tra il 1777 e il 1780, mentre in Francia infuriava la rivoluzione. Pochi anni dopo Maria Antonietta, regina di Francia, figlia di Maria Teresa e sorella di Ferdinando, sarebbe stata decapitata.

. La dimensione della Villa di Monza, la scelta di questa città, avamposto imperiale fin dai tempi di Federico Barbarossa, e il suo orientamento est-ovest per un collegamento ideale tra Milano e Vienna, esprimono l’importanza attribuita da Maria Teresa all’Italia. Per certi versi, la Villa costituiva un canto del cigno dell’Impero.

Nel 1797 le armate napoleoniche dilagano in tutta Europa. Dopo la sventurata campagna d’Egitto, Napoleone rientra in Europa e nel 1805 ridà vita all’idea di un Regno d’Italia. Si incorona con le sue mani nel Duomo di Milano e nomina il figliastro Eugenio Beauharnais vicerè. Eugenio adotterà la Villa di Monza come sua residenza.

Per accrescere il prestigio e la bellezza della Villa, senza escludere finalità economiche, Beauharnais, con decreto napoleonico, affida all’urbanista e architetto di corte svizzero Luigi Canonica la realizzazione di un Parco che potesse competere con quelli di Versailles e di Schoenbrunn. Un Parco di 700 ettari, disegnato in ogni sua parte, cintato da un muro lungo quasi 15 km.

Nel 1815, con la caduta di Napoleone e in un clima europeo arroventato tra restaurazione e moti indipendentisti, tra cui il Risorgimento italiano, il complesso monumentale torna all’Austria sotto la guida di Ranieri d’Asburgo-Lorena, che dedicò al Parco una grande cura come appassionato naturalista e paesaggista.

Nel 1861 si realizza il sogno dell’unità d’Italia sotto sotto la Casa Savoia. La Villa con il suo parco passano alla nuova casa regnante. Dopo otto anni Vittorio Emanuele II, che preferiva svolgere le proprie attività venatorie nelle grandi proprietà sabaude tra Piemonte e Val d’Aosta, regala il monumento al figlio Umberto che al contrario abitò la Villa insieme alla consorte Margherita, senza trascurare i suoi rapporti con la compagna di una vita, la duchessa Eugenia Litta, la cui residenza era adiacente al Parco.

Nel clima risorgimentale i Savoia scelsero di non indossare la Corona Ferrea, ma ne inserirono l’immagine nei propri simboli dinastici.

Nelle mappe dell’ottocento il complesso monumentale è denominato “Imperial Regia Villa e Parco di Monza”. Non è chiaro se questa duplice definizione sia dovuta al periodo asburgico o a quello napoleonico. Comunque è profondamente significativa di una storia ultra-millenaria, italiana ed europea.

 

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Mappa di Giovanni Brenna, 1865

 

Con l’uccisione di Umberto I per mano dell’anarchico Bresci, avvenuta nel luglio del 1900, la storia del monumento è stata rimossa. Abbandonato deliberatamente da Vittorio Emanuele III, ultimo re di una casa regnante in declino politico e culturale, lo straordinario complesso monumentale ha perso il suo filo conduttore storico. Nella involuzione nazionalista del patriottismo, l’Italia non è stata capace di raccogliere il testimone, e il monumento è finito preda dell’iconoclastia futurista (e poteva andar peggio!). Forse gioca ancora al giorno d’oggi una nostalgia fuori tempo, savoiarda e nazionalista, che impedisce il recupero di una visione storica di più ampio respiro.

L’inserimento insensato di impianti sportivi, rivelatosi nello stesso tempo distruttivo e fallimentare per la sua contraddittorietà con lo spirito del luogo (anello di alta velocità dell’autodromo, ippodromo, hockey, piscina, tennis, golf, ...), lo ha quasi distrutto, come una vera “maledizione degli impianti sportivi”, ancora oggi dura a morire. Ma il monumento vive ancora, con la forza della sua bellezza che resiste agli insulti degli interessi e dell’ignoranza. Vive ancora e rivivrà, se si riuscirà ad evitare il colpo di grazia programmato dalla Regione Lombardia, con un Master Plan che meglio potrebbe essere definito come un Monster Plan, se non addirittura un Murder Plan.

 

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Unione Europea

 

 

 

Viene tuttavia da chiedersi, in conclusione, che senso abbia questa rievocazione al giorno d’oggi, contrassegnato da due problemi cruciali che investono il pianeta e particolarmente le città, dove ormai vive la maggioranza della popolazione globale: la compatibilità ambientale e la riduzione delle disuguagliane e della povertà.

Ebbene, per quanto riguarda l’Imperial Regia Villa e Parco la risposta è semplice: il suo recupero avrebbe congiuntamente una enorme valenza storica, ambientale e sociale. Basti pensare caso del golf, 95 ettari di un campo realizzato radendo al suolo un bosco intercalato da viali e rotonde, abitato da una grande biodiversità floro-faunistica. La ripiantumazione del bosco consentirebbe un miglioramento del clima, la fine del consumo spropositato di acqua e dell’uso di anticrittogamici per tenere in vita un sedime innaturale, la restituzione al pubblico di un’area oggi riservata a pochi privilegiati, il recupero del disegno paesaggistico originario, la riconduzione del monumento all’unità storica e identitaria di Monza.

Lo storico protagonismo di Monza nelle rivoluzioni industriali che si sono succedute e che continuano ad operare in Europa dal XVIII secolo ad oggi potrebbe essere sempre più orientato agli obiettivi di convivenza con l’ambiente e con il resto del mondo.

Contando anche sul fatto che, com’è noto, la bellezza salverà il mondo.

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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