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“Di Pietro è in pericolo”: a lanciare questo allarme nel pieno dell’estate del ‘92, quando Tangentopoli era solo agli inizi, fu un personaggio importante e del tutto insolito: Flaminio Piccoli, ex segretario nazionale della DC

 

“Di Pietro è in pericolo”: a lanciare questo allarme nel pieno dell’estate del ‘92, quando Tangentopoli era solo agli inizi, fu un personaggio importante e del tutto insolito: Flaminio Piccoli, ex segretario nazionale della DC, parlamentare per ben otto legislature, ex ministro delle Partecipazioni Statali in tre governi. Di lui si stavano ormai perdendo le tracce nella bufera tangentizia che si era abbattuta anche sul Partito dello Scudo crociato. Era il 26 luglio, una domenica. E fu proprio in quel giorno che l’ ex pezzo da novanta della Dc, ormai scomparso da oltre undici anni ( esattamente dall’11 aprile 2000 ), irruppe sulle prime pagine dei giornali con un una notizia tutt’altro che incredibile, almeno in quei giorni, che erano poi quelli successivi alle stragi di Capaci ( vittime il magistrato Giovanni Falcone, moglie e scorta ) e di Mariano D’Amelio ( vittima un altro magistrato importante, Paolo Borsellino e scorta ).

Ma poiché la notizia non aveva avuto la risonanza che si aspettava, l’anziano uomo politico democristiano la reiterò circa un mese dopo sul settimanale di Comunione e Liberazione Il Sabato con un articolo, in cui, oltre a indicare il pericolo , lo si giustificava ipotizzando questa drammatica esigenza : “...serve una vittima come ai tempi di Giacomo Matteotti”.

Il procuratore capo di Milano, Francesco Saverio Borrelli, diretto superiore del pm Antonio Di Pietro, probabilmente si scocciò un poco. “Basta con le profezie, se sa parli”. La risposta fu immediata : Flaminio Piccoli scrisse sulle colonne dell’organo ufficiale della Dc, Il Popolo, un articolo dal significativo titolo: I rischi dellademocrazia.

Quella che poteva a prima vista sembrare una polemica estiva, accesa peraltro da un astro politico tutt’altro che nascente, ebbe però un sostanzioso seguito. In campo scese, con uno dei suoi famosi corsivi inutilmente non firmati su l’Avanti, Bettino Craxi che all’epoca era ancora segretario nazionale di un Psi fortemente spaccato e impegolato in tangentopoli. Titolo: Fantasia e realtà, dove la fantasia era rappresentata da Flaminio Piccoli e la realtà dalla presenza di un magistrato come Antonio Di Pietro, giudicato dal leader del Garofano non solo assolutamente non in pericolo ma nemmeno un eroe. “Indagate su Di Pietro” fu la sua perentoria richiesta. Era il 23 agosto 1992. Francesco Saverio Borrelli, questa volta tirato - come si suole dire - per i capelli, rilasciò una bellissima dichiarazione: “Sono moderatamente stupefatto, non ci hanno ancora messo il cappio al collo. Ma noi proseguiremo il nostro lavoro perché sia affermato ad ogni livello il primato del diritto”. Fu quello l’inizio di una campagna che si sarebbe sviluppata non solo attraverso dichiarazioni, corsivi e articoli di giornale ma con una intensa azione di dossieraggio, sia in Italia che da Hammamet.

Perché siamo andati a scovare questo episodio vecchio ormai di venti anni? Lo abbiamo fatto per segnalare che il Cavaliere un maestro lo ha certamente avuto. Nel ‘92 non era ancora sceso in campo ma probabilmente già ci pensava. Non con obiettivi politici (salvare l’Italia dai comunisti, una motivazione risibile tanto più oggi) quanto per salvarsi da quella magistratura che avrebbe poi disvelato una serie impressionante di suoi reati. Allo scopo ha usato uno stuolo di avvocati (altro che processo breve!), tanti soldi, tanta corruzione, tanti voti di fiducia, tante leggi ad personam o ad aziendam. Si è comportato come il vecchio, e tutt’altro che simpatico, Paperon de Paperoni di Walt Disney. Con una idea fissa in testa: mettere il cappio al collo (metaforicamente, si intende), ai magistrati che “osano” indagarlo. E che noi invece non finiremo mai di ringraziare, difendere e sostenere.