20160922 Il corpo della ragassa Gianni Brera e Lilli Carati

Il Saggiatore ha pubblicato un’antologia di articoli (sportivi e non) del grande Gianni Brera, il principe della zolla: grandi partite, corse in bicicletta, nebbie padane.

 

È uscita qualche mese fa una bella antologia dedicata a Gianni Brera (1919 - 1992). Chi non sa chi sia stato Brera — ed è possibile perché siamo in un Paese di smemorati dove nemmeno il servizio pubblico televisivo e radiofonico fa quello che dovrebbe fare e cioè preservare la memoria collettiva — dicevo dunque che chi non sa chi sia stato Brera deve andarsi a documentare il prima possibile, magari utilizzando proprio l’antologia che è stata appena  pubblicata da Il Saggiatore e che si intitola Gianni Brera, il principe della zolla: grandi partite, corse in bicicletta, nebbie padane.

Brera era un giornalista, un giornalista sportivo, un famoso giornalista sportivo. Ma era anche qualcosa di più, un osservatore della società e uno scrittore. Divenne celebre per la sua prosa molto originale, come mai si era vista prima di allora e come mai è stata vista dopo. Una lingua che era un impasto di neologismi e di dialetto lombardo, una commistione di forme desuete e di costruzioni ardite, quasi barocche.

C’è un filo rosso che in Lombardia congiunge Manzoni, la scapigliatura milanese, Gadda, passa per Gianni Brera e arriva a Dario Fo

Brera e la sua prosa non erano però arrivati improvvisamente da Marte perché – non sembri blasfemo dirlo – c’è un filo rosso che in Lombardia congiunge Manzoni, la scapigliatura milanese, Gadda, passa per Gianni Brera e arriva a Dario Fo. Questo filo rosso si chiama sperimentazione linguistica. Diamo qualche cenno di come Brera intendesse la sua sperimentazione linguistica.

Abbiamo detto che una delle caratteristiche salienti della sua prosa era il dialetto. In questo senso fu Brera stesso a enunciare che: “Il mio sogno è di scrivere il dialetto padano come lo parlano certi personaggi ancora immuni dal diploma e dalla laurea delle mezze calzette. Che se una cronaca sportiva risultasse viva come sono vivi i discorsi dei padani che parlano di sport, allora veramente potremmo dire anche noi muscolari di aver dato luogo a una forma di letteratura degna del nostro tempo”.

Abbiamo però anche detto che un’altra caratteristica peculiare della sua prosa erano i neologismi. Si può perfino arrivare a dire che i neologismi siano stati il marchio di fabbrica della prosa di Brera. Nella sua carriera ne profuse a getto continuo, nell’ordine delle migliaia, gran parte dei quali sono rimasti confinati ai suoi articoli, talvolta utilizzati in un’occasione sola (e le persone di cultura in questo caso parlerebbero di hapax legomenon, cioè di un termine attestato una volta sola in letteratura).

Alcuni neologismi inventati da Brera sono però entrati nel lessico comune. Si va dal tuttora usato “centrocampista” fino a “libero”, che invece oggi è in disuso perché le squadre di calcio non giocano più con il libero. Ma il mio neologismo preferito, e forse quello che ha avuto il maggior successo, è l’aggettivo “intramontabile”. Soffermatevi un istante a riflettere su questo termine. Si tratta di un’efficace figura retorica che metaforicamente richiama il sole, ma a un sole che non tramonta.

 

20160922 brera rivera

 

Voi vi chiederete: ma per chi è stato coniato il neologismo di “intramontabile”? Per Coppi? Per Bartali? Per Fangio? Per Rivera? No. Il termine intramontabile venne coniato nel 1945 per un ciclista, tal Lippi, il cui ricordo è oggi paradossalmente tramontato.

All’epoca più di un lettore si lamentò di questa profusione di neologismi che spesso appesantivano la prosa, soprattutto quando il neologismo non era ben azzeccato o non attecchiva nel linguaggio comune. Brera però replicava che eruttare neologismi era come buttarsi da un trampolino. Ogni tanto si prendono delle spanciate.

Brera non è stato però solo un autore di “forme” innovative, cioè uno sperimentatore linguistico che ha mescolato il vecchio e il nuovo, il dialetto e i neologismi. Brera è stato anche uno scrittore di “contenuti” innovativi.

Anche quando scriveva di sport (sia chiaro: Brera non scriveva solo di sport), la sua argomentazione era innervata di osservazioni di costume, una vera novità per l’epoca.

Una delle sue tematiche ricorrenti era per esempio la gastronomia e la cucina locale, quella “a chilometro zero” diremmo oggi, decenni prima però dell’ondata di interesse di questi anni. Uno degli articoli antologizzati riguarda per esempio l’uccisione del maiale. Un vero e proprio classico della cultura rurale lombarda, che ricorda una celebre sequenza del film L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi. In questo senso Brera può essere accostato a Mario Soldati, a sua volta un precursore del genere a livello televisivo.

Ma il vero e proprio leitmotiv dei testi antologizzati è l’osservazione nostalgica di come si stessero modificando rapidamente i costumi nell’Italia del dopoguerra, e qui il pensiero non può che andare a Pier Paolo Pasolini e all’idea di un’Italia che spariva sotto i suoi occhi per non tornare mai più. Indimenticabile in questo senso per esempio è il pezzo riportato in antologia e dedicato alle mondine, un piccolo capolavoro di antropologia culturale.

È in pezzi di questo tipo che viene fuori non solo il Brera giornalista, che sa descrivere e spiegare, ma anche il Brera scrittore, che sa narrare, inventare e sedurre. Che dire dunque del Brera scrittore?

Sia chiaro. Non è nell’Olimpo dei Grandi. Tuttavia un suo spazio nel Purgatorio degli scrittori di buon livello lo trova senz’altro. Brera non è definibile forse neppure come uno scrittore lombardo, anche se dalla tradizione letteraria lombarda ha assorbito il tratto della sperimentazione linguistica. Brera è stato più che altro uno scrittore della bassa padana. Nelle sue pagine si possono trovare echi di Guareschi, del Po che scorre lento e del sole che picchia sulle teste calde, ma nelle sue pagine dedicate alla bassa si possono trovare anche immagini stranianti che non possono non ricordare i dipinti di Antonio Laccabue, in arte Antonio Ligabue, quando dipingeva giaguari sulle rive del Po.

Usare una lingua alta, ricercata e con riferimenti dotti in ambito sportivo per l’epoca fu una novità enorme che destò – come vi dicevo – non poche perplessità. Chi in questi anni ha tentato di rilanciare la prosa breriana ha ottenuto risultati modesti, quasi macchiettistici (si vadano a riascoltare le radiocronache del Milan di Carlo Pellegatti di una trentina di anni fa per esempio).

La sperimentazione linguistica di quel tipo, che dopo la sbornia degli anni 60 in Italia ha perso vigore, non trova più esponenti di rilievo in ambito letterario, e figuriamoci se può trovarne a livello giornalistico.

Un po’ meglio è andata a chi ha portato in ambito sportivo tematiche breriane, cioè l’attenzione ai costumi e l’attenzione per esempio al contesto culturale, sociale ma anche gastronomico in cui sono nati e si muovono i grandi protagonisti dello sport. Qui ne è venuto fuori del buon giornalismo: si vedano per esempio gli articoli di Paolo Condò e di Gianni Mura, ma anche le affabulazioni televisive di Federico Buffa.

Faccio due ultime osservazioni. La prima è per segnalarvi che nell’antologia ci sono molte pagine dedicate a Monza e alla Brianza, alla cucina locale, al ciclismo della zona e a curiosità sparse delle nostre parti: non ricordavo più per esempio che Meazza fosse morto a Lissone.

In secondo luogo è giusto segnalare anche che un difettuccio questa antologia ce l’ha, perché negarlo? Il buon Gianni Mura, “l’erede” che ha curato il testo, non ha indicato da nessuna parte (non dico nelle note a piè pagina, che non piacciono a nessuno, ma nemmeno nell’indice finale) la fonte primaria del pezzo, specificando dunque la data di pubblicazione e la testata dove apparve la prima volta. Inoltre in alcuni casi Mura avrebbe fatto meglio a mettere delle note esplicative per ricordare per esempio chi mai fosse il dato ciclista minore degli anni 40 di cui Brera scriveva. Insomma, se Mura avesse presentato meglio gli scritti antologizzati, i testi sarebbero stati più godibili. E ho sott’occhi per esempio un’antologia di scritti di Buzzati di cronaca nera che contengono delle sobrie note che spiegano tutto e indicano con chiarezza la fonte primaria: questo sì che è un lavoro ben fatto.

Così, più che un’antologia ne è venuta fuori una silloge. Una silloge del comunque intramontabile Gianni Brera.

il principe della zollaGianni Brera, Gianni Brera, il principe della zolla: grandi partite, corse in bicicletta, nebbie padane, il Saggiatore, 2015, 300 pp., 19,00 euro

 

 

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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