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«A Gaza anche il mare è un confine, quello che per noi rappresenta il massimo concetto di libertà, qui è un confine, e ai pescatori sparano tutte le notti». “Be filmaker a Gaza” di Valerio Nicolosi

 

«Se io fossi nato a Gaza non sarei mai andato al cinema. Questo è strano se lo pensiamo con la nostra visione del mondo, ma è cosi. Nel 1987, durante la seconda intifada, hanno chiuso l’ultimo cinema rimasto. Generazioni di gazawi non sanno cosa vuol dire la magia del cinema, quel fascio di luce bianca che esce da un foro e fa apparire immagini, il buio prima dell’inizio del film e i titoli di coda. Qua la situazione è grave quindi immagino che gli svaghi siano superflui, soprattutto se dispendiosi da un punto di vista energetico. Magari meglio una passeggiata al porto o in un parco».

copertina libroDelle tante pagine scritte da Valerio Nicolosi nel suo diario di bordo, questa è stata la prima che ho letto. È un diario redatto durante la sua permanenza a Gaza, nelle cui pagine è racchiusa non solo la sua personale visione di un mondo che fa fatica a venire fuori da quelle mura, ma anche la visione obiettiva di un posto che respira, che vive, perché a Gaza la vita va sempre avanti, nonostante tutto.    

Mi è capitata tra le mani quasi per caso questa storia: racconti e fotografie che rivelano il volto più umano di Gaza, quelle che non riescono ad oltrepassare il muro che la circonda, perché rimangono impigliate nel filo spinato.

Le parole di Valerio mi fanno pensare al significato delle opportunità, ma soprattutto al valore della scelta. La fortuna di nascere in un posto piuttosto che in un altro si palesa proprio nel momento in cui si capisce quanto poter scegliere sia la più grande esperienza di libertà che ci è concessa.

Non si cita a caso la libertà a Gaza, considerata il più grande carcere a cielo aperto, un posto dove è difficile entrare, ed è ancora più difficile uscire. Nella Striscia di Gaza tutto è limitato, l’acqua, la corrente elettrica, il mare in cui pescare, lo spazio vitale: più di un milione e mezzo di persone vivono in 360 km². «A Gaza anche il mare è un confine – dice Valerio – quello che per noi rappresenta il massimo concetto di libertà, qui è un confine, e ai pescatori sparano tutte le notti».

Valerio Nicolosi è un filmaker e video reporter romano, vive a Bruxelles e lavora per un network televisivo internazionale. Grazie al Centro italiano di scambi culturali Vik (titolato a Vittorio Arrigoni, volontario e attivista per i diritti umani), ha tenuto delle lezioni di fotografia e videomaking all’università di Al Aqsa, dando vita al progetto “Be filmaker in Gaza”, un progetto di formazione e scambio che nasce a dicembre 2014 e che mira a formare nuovi operatori dell’informazione.

Da questa esperienza è venuto fuori proprio quel libro trovato quasi per caso, che raccoglie 22 storie e 26 fotografie di una Gaza poco conosciuta, edito dall'Associazione Nazionale Filmaker e Videomaker Italiani, di cui Valerio è uno dei responsabili.

Il volume rientra in un più ampio progetto e serve a finanziare l'organizzazione di altri corsi di videomaking che si svolgeranno presso l'università Al Aqsa di Gaza.

Lo scopo è quello di formare videomaker, fotoreporter, giornalisti e fornire loro gli strumenti e la professionalità per poter raccontare quello che quotidianamente succede nella Striscia e che non sempre riguarda la guerra. A Gaza è in atto quella che Valerio chiama la “disumanizzazione” della Striscia, un’opera di manipolazione mediatica e informativa messa in campo dal governo israeliano a danno dei palestinesi. Succede così che «se cerchi Gaza su google, che è il più importante motore di ricerca esistente, nove immagini su dieci sono immagini di guerra, e una è la mappa. Ma Gaza non è solo questo!» racconta Valerio.

«Durante la mia prima lezione all’università ho chiesto ai ragazzi cosa fosse Gaza per loro. Sono venute fuori tante immagini che non coincidono con quello che siamo abituati a vedere dai media».

 

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Quel giorno in classe, a Valerio sono state restituite tante immagini, quelle che poi lui stesso ha trovato per strada. «Nel nostro immaginario Gaza è un posto disumano, conosciamo solo la guerra, la resistenza e i morti, invece mi piacerebbe raccontare la vita e la resistenza dei gazawi anche attraverso i fiori e i loro colori» – scrive Valerio parlando di Rafah, che oltre ad essere la città del valico è anche la città dei fiori che fino al 2006 ne esportava 80 milioni ogni anno, prima della vittoria di Hamas e della costruzione del muro – «È importante poter e saper raccontare anche questa parte, raccontare la verità. A Gaza ci sono tante verità omesse, la più grande è quella della disumanizzazione che è una cosa che sta avvenendo solo mediaticamente ma non realmente. A Gaza c’è vita come in qualsiasi altra parte del mondo e anche questa è una cosa che viene omessa».

Chiedo a Valerio, cosa significa essere studenti a Gaza. Dall’esterno non riesco ad avere la reale percezione di quello che possa significare vivere in un posto dove è difficile immaginare un futuro.

«Investire nella cultura e nella formazione professionale e universitaria è l’unica cosa che i gazawi possono fare – mi risponde Valerio – a Gaza c’è il più alto tasso di disoccupazione giovanile, i ragazzi non lavorando hanno parecchio tempo libero. Studiano, con la speranza di poter utilizzare quelle competenze altrove, un giorno. Dentro manca tutto, non si può uscire dalla striscia, i ragazzi sono obbligati a formarsi solo all’interno ed è qui che la nostra presenza diventa importante. Ecco perché i progetti di formazione sono necessari e andrebbero moltiplicati».

Grazie alle parole di Valerio che ho ascoltato e letto si intravedere tra le macerie una bellezza ancora rilevabile. La si può vedere nel “Welcome to Gaza” che un ragazzino urla alle persone che entrano in quello che apparentemente potrebbe sembrare il posto più inospitale al mondo.

 

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Ho visto murales che danno colore al cemento dei pilastri che sono rimasti in piedi, nonostante tutto. Ho visto i panni stesi nei palazzi bombardati «come se niente fosse, perché la vita va avanti». Ho visto Valerio che, nonostante tutto, cerca angoli e inquadrature che diano dignità ad un posto bombardato «Non è follia la mia ma solo volontà di raccontare la dignità di una popolazione che ha visto il loro futuro distrutto» dice.

Quello che ho visto è una vita che popola ancora e nonostante tutto questo posto. Ed è proprio quel “andare oltre, nonostante tutto”, che permette alla vita di proseguire, di resistere.

Nel booktrailer di “Be filmaker in Gaza” la voce fuoricampo di Valerio parla di compassione «cadere nella compassione è facile e pericoloso» – dice – «Io ho cercato di non farlo, voglio semplicemente capire e raccontare. Facendo la giusta scorta di amore e odio, due sentimenti diversi ma vicini. Il filmaker ha un’arma in mano e la deve usare bene […]. La bellezza per me è importante e la dobbiamo cercare anche e soprattutto in questi luoghi. E' facile andare in un posto bombardato e fotografare le macerie, ma è difficile cercare la resistenza di quei posti e di quella gente che per me è bellezza».  Questo è andare oltre.

 

 

Ad un certo punto della giornata le riprese di fermano, succede che la luce si fa dura e i contrasti diventano eccessivi, ed è questo il momento in cui a telecamere spente e con un’altra luce, le storie assumono altre forme. Alcune storie hanno un potere, hanno la capacità di funzionare lo stesso anche se le si racconta in terza persona, quando non è più solo il protagonista a narrarle. Il contributo minimo che ci viene chiesto è di farci portavoce di queste storie, perché la Storia esiste se qualcuno la racconta.

Adesso è il momento di raccontare. Domani si faranno altre riprese e si andrà oltre.  

Gli autori di Vorrei
Caterina Guerrieri
Caterina Guerrieri

Dopo quasi dieci anni di camminate in giro per l’Italia e la Francia, sono ritornata ad Altamura, il paese in cui sono nata nel 1987 e che avevo lasciato per motivi di studio. Mi sono laureata nel 2012 in Restauro e Conservazione di dipinti su tela all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Quando capita faccio anche la restauratrice, ma nel resto del tempo mi dedico alla scrittura e al disegno (le mie grandi passioni) e collaboro con l'associazione culturale “Link”, che si occupa di mobilità giovanile e interculturalità.

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