20161112 UIC Hull House 

Intervista a Jennifer Scott, direttrice del Jane Addams Hull House Museum dedicato alla pioniera delle riforme sociali e premio Nobel per la Pace Jane Addams: «Io lavoro con la "Storia" delle persone emarginate, dimenticate, ignorate, persone che la Storia ha considerato poco o non ha considerato affatto.»

 

Nel West Side di Chicago, all'interno del campus della UIC (University of Illinois at Chicago), si trova il Jane Addams Hull House Museum, punto di riferimento internazionale per l'attenzione che rivolge al "bene comune", e per il ruolo che riveste come agente di inclusione e cambiamento sociale.

Come racconta la sua direttrice Jennifer Scott "Hull House Museum è una delle poche strutture degli Stati Uniti che connettono il passato al presente e lo fa in un modo molto speciale, organizzando incontri, conferenze, lezioni, proiezioni di film, seminari, visite guidate, esposizioni…".

Quello che oggi è un patrimonio storico nazionale un tempo era il nucleo iniziale di uno dei primi social settlement americani, fondato nel 1889 da Jane Addams con la sua collega e amica Ellen Gates Starr, su modello della Toynbee Hall di Londra.

All'interno del settlement londinese, fondato dal pastore Samuel Barnett nel 1884 in uno dei quartieri più poveri e degradati della città, vivevano docenti e studenti universitari allo scopo di migliorare le condizioni di vita degli abitanti della zona.

Jane Addams rimase talmente colpita dall'efficienza e dai risultati della politica sociale della Toynbee Hall, visitata personalmente nel suo secondo viaggio in Europa, che decise di replicarne l'esperienza al femminile nel West Side di Chicago in una delle zone a più alto tasso di immigrazione. 

Insieme all'amica Ellen prese in affitto il secondo piano di un edificio abbandonato dando così inizio ad un'avventura che nel giro di pochi anni portò quel primo alloggio a diventare un complesso di 13 edifici.

Abitato da giovani donne istruite che, come recita lo statuto, si impegnavano a "Offrire un centro per una vita sociale e civica più elevata; intraprendere e conservare iniziative filantropiche ed educative; indagare e migliorare le condizioni dei distretti industriali di Chicago" Hull House è ancora oggi riconosciuto come il social settlement più importante d'America per il modello che ha rappresentato.  

Luogo di condivisione, inclusione ed educazione, basato sui valori della tolleranza e della solidarietà, ha operato attivamente per migliorare le condizioni di vita degli abitanti del quartiere attraverso servizi sociali gratuiti: un asilo, un campo estivo, diversi club sociali, laboratori artigianali, una galleria d'arte, un museo del lavoro, una biblioteca, un teatro, spazi per la musica e gli incontri culturali.

Pur essendo oggi costituito solo dalla Hull Home (Jane Addams Hull House Museum) e dalla Resident's Dining Hall, gli unici due edifici sopravvissuti alla demolizione del 1963 per lasciare il posto al campus universitario, il Museo è ancora un luogo molto attivo e focalizza le sue attività su giustizia sociale, integrazione e interazione con gli abitanti dei quartieri circostanti.

Ne parliamo con la sua direttrice Jennifer Scott, antropologa, storica, docente universitaria che da oltre vent'anni collabora con organizzazioni artistiche e storiche che si occupano di valorizzare le Storie marginali e riflettono sul ruolo delle istituzioni culturali nel mutamento della società.

 

20161112 Jane Addams

 

Jane Addams Hull House Museum, Chicago, 18 luglio 2016 

Lei e Jane Addams avete molto in comune: entrambe avete messo al centro della vostra attività importanti questioni sociali come l'educazione, l'integrazione e il lavoro con persone emarginate… Sembra quasi che la direzione del Jane Addams Hull House Museum sia una sorta di "predestinazione". In che cosa si sente simile a Jane Addams e alle donne che hanno lavorato con lei?

Quando Jane Addams ha preso in affitto la struttura nella quale ci troviamo, lei e le sue colleghe — tutte donne impegnate in prima linea nelle riforme sociali — sono venute a vivere nel west side di Chicago per affrontare direttamente i problemi del quartiere quali l'industrializzazione, la povertà, l'immigrazione. Alla base del loro lavoro c'era una domanda che anche io considero fondamentale: "Cosa si può fare per migliorare le condizioni di vita della gente?".

Io lavoro con la "Storia" e la Storia di cui mi occupo in particolare è quella delle persone emarginate, dimenticate, ignorate, persone che la Storia ha considerato poco o non ha considerato affatto. Ogni volta che si lavora o si parla dei poveri, della gente di colore, di persone provenienti dai più diversi background, di coloro che spesso non hanno accesso all'educazione, delle donne, di chiunque insomma si distacchi dal mainstream, si ha sempre a che fare con le storie più trascurate.

Io mi sento vicina a donne come Jane Addams e le sue compagne di lavoro perché hanno avuto l'intuizione e il coraggio di venire a vivere in un quartiere che era veramente difficile. I caseggiati erano occupati da persone molto povere, famiglie numerose vivevano in piccolissimi appartamenti, senza acqua corrente, senza servizi igienici, a volte persino senza finestre, la gente lavorava anche 14 ore al giorno nelle fabbriche lì vicino in condizioni di estremo sfruttamento. 

La straordinarietà di queste donne sta anche nell'aver deciso di venir qui ancora prima di aver capito esattamente cosa avrebbero trovato.  Ho l'impressione che non basti un'intera vita per comprendere fino in fondo che cosa accade a persone così trascurate da essere tagliate fuori dalla Storia, ma le cui storie sono invece importanti perché ci raccontano molto di quello che siamo diventati o che diventeremo.

Lei è conosciuta nell'ambiente storico e museale per le sue posizioni critiche nei confronti di molti musei, tanto da essere spesso classificata come una museologa radicale. Vuole parlarci del ruolo che dovrebbe avere un museo come agente di cambiamento sociale?

Mi ritrovo spesso classificata come una museologa radicale perché ritengo che purtroppo la maggior parte dei musei rifletta ancora il razzismo e la divisione in classi sociali della nostra storia.  

Personalmente non credo sia radicale affermare che molti musei continuano ad alimentare un sistema divisivo e ingiusto, spesso mascherato sotto altre forme. Termini come scelta del curatore, collezione, programmi di istruzione e coinvolgimento del pubblico, preservazione dell'eredità non fanno che nascondere una struttura basata su rigide gerarchie sociali e razziali. Purtroppo la maggior parte dei musei ha ancora un pubblico molto elitario, esclusivo, si focalizza soprattutto sugli oggetti e non sul contesto sociale.

Io invece penso che i musei debbano essere socialmente rilevanti e promuovere una maggiore inclusione al loro interno.  E per essere rilevante un museo si deve occupare della storia e della cultura e soprattutto delle storie che non sono state prese in considerazione, che sono state trascurate. 

Molti dei musei con i quali ho lavorato e lavoro come il Weeksville Heritage Center di Brooklyn o il Jane Addams Hull House Museum si occupano davvero di storie marginali, ed è importante che un museo lo faccia perché la gente ha bisogno di vedersi rappresentata. Se questo non succede c'è qualcosa che non funziona perché l'elemento sociale è davvero importante per una reale giustizia collettiva. Bisogna connettere le storie del passato ai problemi contemporanei e alle istanze di giustizia sociale e ci vuole il lavoro di tutti per cercare di costruire un mondo migliore.

Se i musei e le istituzioni culturali non aiutano a capire meglio il mondo nel quale viviamo non so proprio a che cosa servano, davvero non capisco. 

Lei ha accennato di avere lavorato con il Weeksvill Heritage Center di Brooklyn, un museo che opera proprio in base a questi principi di coinvolgimento attivo della comunità non solo per la ricerca e la preservazione delle sue radici e delle testimonianze storiche del passato, ma per la loro connessione diretta con i problemi contemporanei. Quali sono le analogie tra quel museo e il JAHHM?

Sì è vero ce ci sono molte analogie e posso dire che tutti e due sono tra i pochi musei americani che coinvolgono direttamente la comunità e mettono in relazione il passato con il presente.

E poi ci sono delle somiglianze per le battaglie che gli abitanti del west side di Chicago e della zona di Weeksville di Brooklyn hanno fatto negli anni Sessanta per preservare gli edifici storici del passato che erano veramente importanti per le minoranze che ci vivevano.

Nell'800 il quartiere di Weeksville era uno dei pochissimi luoghi sicuri per gli afroamericani. Era una delle prime comunità nere libere degli Stati Uniti, con le sue scuole, le sue chiese, molte organizzazioni antischiaviste, gli ospedali…. Molti neri si erano trasferiti lì per scappare dagli attacchi razziali che subivano a Manhattan e in altre zone intorno a New York. A cominciare dall'inizio del Novecento l'identità di Weeksville si è progressivamente persa a causa dei cambiamenti dovuti all'edilizia e alle nuove ondate immigratorie. 

Nel '68 però sono state individuate tre case risalenti al periodo ottocentesco e da quel momento è cominciata una lotta che ha coinvolto attivamente la comunità afroamericana prima per evitare il loro abbattimento e poi per restaurarle. Il coinvolgimento delle persone è aumentato, hanno cominciato a portare testimonianze del passato, reperti storici, lettere, fotografie trovate nei bauli dei bisnonni e cose di questo tipo, che hanno contribuito a ricreare il senso comunitario e a fare nascere varie attività collettive. Finché nel 2005 il tutto si è istituzionalizzato nel Weeksville Heritage Center, davvero frutto dall'attivismo di molte generazioni. La relazione con la storia di emancipazione e libertà che si è vissuta lì è fortissima e continua a fare da ponte con le esigenze e i problemi della comunità contemporanea.

Anche a Chicago le cose sono andate un po' così. All'inizio degli anni Sessanta il comune di Chicago voleva abbattere il social settlement di Jane Addams per fare posto all'università. 

C'erano 13 edifici e, ad eccezione di quello in cui ci troviamo e della Resident's Dining Hall, sono stati tutti demoliti quando è stata costruita l'università. Se questi due sono sopravvissuti è merito di persone come Florence Scala, una italoamericana che viveva proprio in questa parte del quartiere, soprannominata Little Italy per la concentrazione di italiani. Lei e molti residenti della zona hanno manifestato mettendo i loro corpi in prima fila contro la demolizione del settlement. È stata una battaglia gigantesca. La disputa è finita alla Corte Suprema che, purtroppo, dopo due anni ha deciso in favore dell'Università. 

Proprio come il Weeksville Heritage Center di Brooklyn è un tributo alla comunità di Weeksville così il Jane Addams Hull House Museum è un tributo al social settlement che c'era qui ed ai servizi sociali gratuiti che offriva. Ai tempi di Jane Addams la Hull House era una vera forza per la comunità della zona, ma nel momento in cui è stata creata l'Università dell'Illinois si è perso il senso del quartiere. Come possiamo quindi continuare ad essere un punto di riferimento per il quartiere se non siamo più un quartiere? Quello che mi sono messa in mente di fare è di riavvicinare tra di loro le zone del west side anche se è molto difficile poiché non sono più abituate ad interagire.

Quali progetti ha intrapreso per realizzare questi obiettivi da quando le è stato affidato l'incarico di dirigere il Jane Addams Hull House Museum?

Uno dei primi progetti a cui ho pensato appena sono arrivata qui è Making the West side: Community Conversations on Neighborhood Change, un progetto a lungo termine che ha proprio l'intento di far dialogare la storia di questa parte della città con i cambiamenti che ha subito e con quelli che continua ad affrontare, anche rapidamente. 

Per questo progetto abbiamo sei partner: il Museo Nazionale di Arte Messicana, il Museo Nazionale Ellenico e il Museo Nazionale della Public Housing, la biblioteca di Chicago, l'associazione dei servizi sociali (BBF) e la Chicago Cultural Alliance. 

Noi li abbiamo messi insieme per farli confrontare sui temi relativi a tutti i quartieri attraverso riunioni comunitarie. Abbiamo anche creato del materiale didattico, un blog che raccoglie la storia dal 1890 ad oggi e testimonia lo sviluppo che ha coinvolto queste zone. Questi partner si riuniscono una volta al mese e organizzano forum pubblici durante i quali la gente che proviene dal west side può parlare dei suoi problemi come ad esempio lo spaesamento, il razzismo, l'immigrazione, l'identità etnica, la situazione demografica, l'organizzazione delle comunità, gli aspetti artistici dei differenti quartieri. Abbiamo già fatto una dozzina di incontri comunitari su tutti questi argomenti. È stato davvero bellissimo.

Il progetto è strutturato partendo dalla storia della Hull House e in particolare da uno studio realizzato nel 1890 dalle donne che ci lavoravano. Nel 1890 il governo federale aveva chiesto loro di partecipare ad una sorta di censimento della popolazione del west side. Erano previste diverse domande sulla composizione familiare, il numero delle stanze della casa, la presenza di acqua corrente, l'analfabetismo, la scolarizzazione, le condizioni igienico-sanitarie. E tutto questo è stato fatto non solo per cercare di capire le condizioni di vita nel quartiere ma anche per combattere gli stereotipi, come quello secondo cui la gente sarebbe sporca perché vuole essere sporca. Mentre la realtà dei fatti è che non c'era disponibilità di acqua corrente nei condomini del quartiere. Jane Addams e le sue colleghe sono andate oltre ed hanno redatto uno studio che hanno pubblicato per conto proprio nel 1894-95.

Al secondo piano della Hull House ci sono tutti i diagrammi e le mappe relative al censimento che hanno realizzato collaborando con degli artisti e che mostrano tutte le variazioni ondulatorie delle diverse nazionalità che risiedevano nella zona. 

Quello che io vorrei fare con questo progetto è portare alla luce quello che la gente pensa realmente riguardo ai cambiamenti che la zona ha subito e subisce, anche se è difficile perché le cose sono piuttosto controverse.  C'è gente che è davvero arrabbiata perché ha la sensazione che tutto succeda senza che chi vive qui abbia alcuna voce in capitolo. E io capisco perfettamente il loro desiderio, anzi la loro necessità di partecipazione. 

Persone provenienti da ogni parte del west side hanno cominciato a portare oggetti, fotografie e a parlare dei loro ricordi. Abbiamo scannerizzato le immagini e registrato le loro parole, e metteremo tutto questo sul sito che ci auguriamo si arricchisca sempre di più di materiale proveniente dalla gente comune. Siamo sicuri che questo sia uno dei metodi per rivitalizzare la zona facendo sentire gli abitanti davvero parte di una comunità. 

Il secondo progetto a cui ho iniziato a pensare appena sono arrivata qui è Securing the common good (Assicurare il bene comune). È un progetto interdisciplinare che ha portato al museo non solo storici ma persone provenienti da differenti ambiti e professioni: infermieri, assistenti sociali, educatori, insegnanti, dottori, insomma persone che lavorano nell'ambito sociale. 

La sua finalità è lavorare con gli studenti della UIC per creare figure che sappiano operare nell'ambito museale e sociale utilizzando il bene comune secondo modalità nuove e in divenire utilizzando il Jane Addams Museum e i materiali conservati al suo interno. Approfondire le ricerche sull'eredità di Jane Addams e sulle questioni che l'hanno vista combattere in prima linea è un grande supporto per affrontare e cercare di risolvere analoghi problemi del mondo contemporaneo. Certo lei e le altre residenti non hanno risolto i problemi della società però hanno raggiunto importanti traguardi come l'approvazione di alcune leggi sul lavoro e sulla giustizia minorile. 

Molti dei problemi sociali che queste donne hanno affrontato dalla fine dell'800 non sono scomparsi. Seppur in differenti versioni continuiamo ad avere una grande povertà, problemi di occupazione, differenze sociali, posizioni dichiaratamente contro l'immigrazione, un razzismo estremo e, oggi più che mai, una vera e propria xenofobia. E abbiamo un sistema molto ingiusto, soprattutto quello economico e quello giudiziario. In pratica stiamo ancora combattendo per gli stessi problemi per cui combattevano le inquiline della Hull House.

Vuole dirci due parole sulla mostra Into Body Into Wall dedicata all'interazione del quartiere con il carcere Cook County Jail e sull'associazione 96 Acres Project con la quale avete collaborato?

Anche questo è un progetto che, seppur contemporaneo, si può collegare a Jane Addams per l'interesse che lei e il suo gruppo avevano riguardo alle condizioni dei carcerati e al sistema giudiziario, in particolare quello minorile. A quei tempi infatti non esistevano strutture di detenzione per i giovani e anche i minori scontavano le pene negli stessi carceri degli adulti. 

Ancora una volta partiamo da queste zone e dai problemi sociali che le caratterizzano; e ancora una volta cerchiamo di trovare nuove modalità di intervento e nuovi modi per sviluppare la consapevolezza e la responsabilità civica dei suoi abitanti. 

Ciò è possibile grazie alla collaborazione con l'artista Maria Gaspar e soprattutto con 96 Acres Project, (http://96acres.org/) un'associazione nata nel 2012 che si adopera per migliorare l'impatto che Cook County Jail, un complesso penitenziario che occupa proprio 96 acri, ha con il resto della popolazione della zona. 

Mentre il settlement era struttura di accoglienza, un simbolo architettonico di apertura, inclusione e degli ideali di pace e giustizia promossi dalla sua attività, le mura della prigione, che esisteva già ai tempi di Jane Addams ma che nel corso dei decenni si è allargata moltissimo, inviano un messaggio molto diverso. 

Gli artisti, gli attivisti e i membri della comunità che lavorano al 96 Acres Project utilizzano mezzi multidisciplinari per indagare le implicazioni sociali e politiche della reclusione all'interno delle comunità di colore. Una delle modalità di indagine è proprio Into Body Into Wall, l'esposizione che si trova al secondo piano del Museo Hull House e prende il nome dal poema della scrittrice Suheir Hammad che riflette sulle modalità in cui i muri sono strutture di oppressione in tutto il mondo.

Indagando le implicazioni sociali, politiche, psicologiche e fisiche delle mura, la mostra chiede come un muro possa essere percepito non come una barriera invalicabile e negativa ma come qualcosa di più fragile, di più penetrabile. Ed è per questo che i membri lavorano sia con i detenuti sia con la popolazione del quartiere per cercare di mettere in comunicazione questi due mondi che coesistono e che spesso entrano in conflitto soprattutto quando gli abitanti si sentono minacciati dalla convivenza forzata con un carcere. 

Un'altra iniziativa molto interessante soprattutto in un momento come questo di grande fermento per la campagna presidenziale è Official Unofficial Voting Station: voting for all who legally can't un progetto di protesta contro l'esclusione dai processi democratici. Come è nato e qual è il contributo del JAHHM a questa iniziativa?

Official Unofficial Voting Station: voting for all who legally can't è nato per merito di Aram Sifuentes un'artista che risiede negli Stati Uniti da molto tempo ma non ha ancora il diritto di voto e si colloca sulla linea delle prime riformatrici sociali della Hull House. Coinvolge tutti coloro che sono esclusi dal sistema elettorale: giovani senza documenti, detenuti ed ex-detenuti, persone che non hanno la cittadinanza.

Ancora oggi più di 106 milioni di persone negli Stati Uniti non possono votare legalmente; questo significa che una persona su dieci non ha i diritti civili. 

Il progetto di Aram Sifuentes prevede l'installazione di stazioni ufficiali di voto non ufficiale un po' dappertutto negli Stati Uniti e nel Messico, nelle prigioni, all'interno dei musei o durante manifestazioni ed eventi artistici. 

Il Museo Jane Addams inaugura questo progetto con Vieni a votare e a celebrare il 156º compleanno di Jane Addams (Come cast your ballots and celebrate  Jane Addams' 156th birthday) ed ospitando alcuni eventi inerenti al tema della giustizia sociale al giorno d'oggi  tra cui la stazione di voto VOX POP The Disco Party, disegnata da Aram Sifuentes insieme alla sua collaboratrice Lise Haller Baggesen e accompagnata dai suoni della Dj Sadie Rock.

Dopo l'8 novembre, in concomitanza con la chiusura del voto ufficiale, tutti i voti non ufficiali delle varie sezioni "ufficiali" verranno inviati alla Hull House dove verranno contati ed utilizzati per una successiva installazione. VOX POP si trasformerà in una stazione di suggerimenti e tutte le domande, le critiche e le richieste raccolte al suo interno verranno inviate al futuro presidente degli Stati Uniti e al sindaco di Chicago Rahm Emanuel il 15 marzo 2017.