20161122 Stephen King

Stephen King regala qualche trucco del mestiere a chi ha voglia di leggere la sua autobiografia

Giuro: il primo che salta su a dire che Stephen King non è un grande scrittore lo faccio fuori, e ovviamente lo faccio fuori con una sega elettrica per rendere omaggio al maestro indiscusso del brivido, che è appunto Stephen King.

Un grande scrittore, certo. E definirlo “maestro del brivido” forse è anche un po’ riduttivo, visto che la sua produzione letteraria comprende anche opere di genere fantascientifico e di genere fantastico in generale.

Ma, dirà qualcuno, Stephen King è un autore commerciale, e immagino che con ciò si intenda dire che vende molti libri. Si tratta di una constatazione fondata, ma che non ci dice ancora nulla sulla qualità dei suoi libri. Victor Hugo non solo era un autore commerciale, nel senso che vendeva moltissimo per gli standard dell’epoca, ma era addirittura egli stesso una star, tanto che si dice che al suo funerale parteciparono due milioni di persone, cioè tutti i parigini dell’epoca.

Ma, dirà qualche altro, Stephen King ha scritto troppo. Anche in questa affermazione c’è un fondo di verità: decine e decine di libri, alcuni dei quali lunghi migliaia di pagine, e poi ancora racconti su racconti. Ma, anche in questo caso, chi può dire quale sia la quantità giusta di libri da scrivere? George Simenon è stato un autore ancor più prolifico di King, una propensione creativa che fino a oggi non è stata eguagliata da nessuno, eppure alle indagini di Maigret non mancano di certo i lettori.

Ma, dirà ancora qualche altro, la prosa di Stephen King è molto prolissa, forse troppo. Intendiamoci: King non è certo un autore di libri da cento pagine. Ma, anche in questo caso, è possibile vedere le cose da un altro lato. Non tutti gli autori hanno infatti lo stesso “passo” narrativo: ci sono autori che sono molto rapidi, talvolta rapidissimi, centometristi per così dire, e che scrivono magari solo racconti, come Carver per esempio. Ci sono però altri autori che si esprimono meglio nel romanzo, talvolta nel romanzo lungo, perché la struttura narrativa che hanno in mente ha bisogno di un certo respiro, e pensate per esempio ai maratoneti della letteratura russa dell’Ottocento.

Ma, dirà infine qualche altro, Stephen King ha uno stile un po’ sciatto. Qui ci dobbiamo fermare un po’ di più a ragionare. Si tratta di una critica che è stata formulata innumerevoli volte e che indubbiamente ha un fondo di verità perché effettivamente la prosa dei romanzi di Stephen King scivola via liscia, fin troppo liscia a volte, e si ha spesso l’impressione che l’autore tiri via dritto quando scrive.

Va però ricordato che anche molti altri autori hanno ricevuto la stessa critica, come per esempio Dumas (tanto che spesso si sente dire che non esista un libro tanto importante scritto peggio del Conte di Montecristo).

In ogni caso è proprio per gli aspetti sopra citati – e oltre al fatto che gli autori “di genere” sono sempre guardati con una certa spocchia intellettuale – che c’è ancora una certa parte di critica letteraria che non apprezza Stephen King, anche se per onestà intellettuale va però riconosciuto che buona parte della critica si è ormai convinta dalle sue qualità e oggi esprime giudizi più ponderati.

E anche il fatto che King sia un autore legato al genere fantastico non è considerato in modo così disdicevole come accadeva fino a qualche anno fa, per via del fatto che tutto il filone fantastico è stato ampiamente rivalutato negli ultimi vent’anni (senza contare che negli Stati Uniti ha poi una tradizione illustre che va da Poe a Bradbury, passando per Lovecraft).

Tuttavia la questione dello stile di Stephen King – così tirato eppure così efficace – rimane aperta e non può essere liquidata dicendo che in fondo anche Dumas non curava molto il proprio stile.

Per venire un po’ a capo della questione corre in nostro aiuto l’autobiografia di Stephen King, che si intitola On Writing.

Premettiamo subito una cosa. L’autobiografia è un genere rischioso. Se la possono permettere solo i grandissimi. Se invece la scrivono personaggetti alle prime armi i risultati fanno ridere.

Non è solo il caso di Mauro Icardi, che peraltro non è sicuramente l’autore del testo che pure ha firmato. Mi riferisco per esempio anche al caso di Neige De Benedetti, nipote venticinquenne del buon Carlo, che l’anno scorso ci ha deliziati con il racconto della propria difficilissima vita trascorsa tra scuole svizzere e l’apertura di una galleria d’arte a New York. Ovviamente il risultato di questo sforzo è stato un testo ridicolo che copre di ridicolo anche la casa editrice che lo ha dato alle stampe – la pur valida Sellerio – e l’Espresso che l’ha recensito.

No, il Nostro si è concesso il lusso dell’autobiografia solo dopo aver superato i cinquant’anni e solo dopo aver venduto qualche centinaio di milioni di copie.

On Writing non è però solo il racconto dell’infanzia complicata di Stephen King; di certi luoghi che sono ritornati più volte nelle sue storie; dell’incontro con la sua futura moglie; delle ristrettezze economiche patite; delle porte che gli sono state sbattute in faccia agli esordi; di quando non era famoso e presentò un racconto a una certa rivista che glielo rifiutò, salvo poi comprarlo quando divenne celebre; del successo e dei libri venduti a milioni.

No, dicevamo, On Writing non è solo la storia della vita di Stephen King.

On Writing è anche quello che altri chiamerebbero “un manuale di scrittura creativa”, cioè un libro che spiega come debba essere costruita e scritta una storia.

I consigli di Stephen King agli aspiranti scrittori sono in realtà pochi. A volerli proprio contare saranno quattro o cinque al massimo. Però sono proprio questi consigli che ci consentono di mettere in luce le caratteristiche principali del suo stile, che sono dunque caratteristiche volute e non casuali.

In primo luogo è necessario che nel testo scorra un flusso narrativo ininterrotto

Si tratta di una caratteristica certamente auspicabile, ma che non è facile da ottenere, e che King ritiene possa essere ottenuta tramite... allenamento. King consiglia infatti all’aspirante autore di provare a scrivere, tanto per cominciare e per farsi le ossa, 1.000 parole al giorno. Si tratta di un vero e proprio esercizio fisico da portare avanti con perseveranza ogni giorno. Tenete presente che 1.000 parole al giorno sono pari a circa 6.000 battute (spazi compresi) al giorno, cioè 3 pagine abbondanti di un libro al giorno: il che vuol dire scrivere un libro di 200 pagine in due mesi.

Insomma: secondo King bisogna allenarsi a scrivere molto per scrivere poi molto di fila, condizione necessaria affinché la narrazione venga prodotta praticamente di getto e appaia dunque come un flusso ininterrotto (non si tratta di una novità: anche alcuni testi della Beat Generation vennero scritti in questo modo).

Interrompersi, mettere le pagine in un cassetto, correggere, rivedere, cercare nuovi spunti, inserire citazioni dotte, sono tutti comportamenti da evitare – almeno nella prima stesura di getto – ed è proprio l’obbligo di dover scrivere un certo numero di pagine al giorno che te li fa evitare, almeno secondo King.

D’altronde chiunque scribacchi qualcosa – un articolo, un raccontino, qualcosina – sa per esperienza che talvolta la fretta di dover produrre un lavoro (poniamo, un articolo da consegnare per forza entro sera) produce risultati notevoli. La ricerca dell’essenziale effettivamente produce una prosa magicamente più fluida.

Va bene, d’accordo. Scrivere in fretta tutta la storia fino in fondo. Ma scrivere cosa?

Stephen King a questo proposito dà un solo consiglio: lasciatevi trascinare dalla storia e basta.

Si tratta di un’osservazione interessante. In una narrazione ci può essere il lato politico, religioso, filosofico e storico, ma prima di tutto deve venire la storia, la fabula.

Lo diceva anche in passo di It, il suo romanzo più famoso: prima viene la storia, poi tutto il resto. Voler scrivere partendo da teoremi politici e filosofici produce brutte storie, di solito illeggibili.

In sostanza King consiglia di lasciar andare la penna dietro una storia senza pensare ad altro, e per farlo ci vuole per forza una preparazione fisica, e cioè le mille parole con cui l’aspirante autore si deve confrontare quotidianamente.

Certo poi oltre alla preparazione fisica ci vuole anche una preparazione tecnica, cioè un bagaglio di letture.

King confessa di leggere circa 80 libri all’anno, anche se poi dice che dieci di questi libri sono audiolibri che lui ascolta in macchina. Siamo già a qualcosa: è raro che un autore confessi quanti libri legge all’anno. È una pietra di paragone.

Insomma, tra le mille parole al giorno da scrivere e gli ottanta libri da leggere all’anno (ma facciamo settanta perché a me quella cosa lì degli audiolibri non va proprio giù), dicevo che Stephen King ci fa una “scheda”, come quelle che vengono predisposte nelle palestre. Se applicata, un qualcosa dovrebbe venir fuori.

Poi ovviamente, con grande buon senso, King è il primo a riconoscere che da tale preparazione non è possibile in nessun caso tirar fuori un autore del calibro di Shakespeare, ma al massimo un buon narratore.

Seconda stesura.

King ci fa questo discorso. Una volta finito il lavoro di prima scrittura – e ribadisce più volte: una volta finito il lavoro; non prima, magari a metà – e lasciato riposare il testo per un paio di settimane, si può cominciare a rimetterci mano.

A essere onesti anche questo chi scribacchia lo sa: se uno lascia stare per un po’ il testo che ha scritto fino a dimenticarselo, quando lo riprende in mano lo legge quasi come se leggesse il testo di un altro, scovando facilmente refusi e cose che non vanno.

Benissimo. Una volta che si è lasciato riposare il testo per un po’, cosa si deve fare? A King, quando era ragazzo, un editor di una rivista che gli aveva appena rifiutato un racconto diede questo consiglio, che lui dà a noi: la lunghezza di un testo definitivo deve essere del 10% inferiore alla lunghezza della prima versione. Quindi bisogna tagliare il superfluo nell’ordine almeno del 10%.

Attraverso questi consigli che King dà agli aspiranti scrittori si riesce in ogni caso a capire qualcosa di più del suo stile.

I testi devono apparire al lettore come un blocco compatto ma anche facilmente leggibile perché sono stati scritti tutti di seguito senza badare a voli filosofici e allusioni colte. Tale modalità di composizione inevitabilmente produce una sensazione di fluidità e di “corsa” (non saprei definirla in altro modo), ma che è caratterizzata anche da una decisa asciuttezza perché in seconda battuta è stato tagliato tutto il superfluo che è stato trovato.

La fluidità di scrittura si ottiene anche con un altri due trucchetti di stile: non usare mai o quasi mai le forme passive dei verbi e non usare mai o quasi gli avverbi.

Sulla prima questione – l’uso sempre attivo dei verbi – dobbiamo riconoscere che è vero che nella lingua americana la cosa si sente molto. In Italiano però, una lingua che ha una tradizione letteraria molto più lunga di quella americana, l’eleganza nella prosa – ottenuta anche attraverso l’uso delle forme passive – è spesso ancora un apprezzato indice di cultura. Tuttavia rimane vero il fatto che anche in italiano le forme passive rallentano la lettura di un testo.

Per gli avverbi la questione è simile, anche se c’è una sottigliezza in più. Gli avverbi secondo King dovrebbero cadere uno dopo l’altro innanzitutto perché sono superflui o comunque sono un retaggio di una pesante erudizione letteraria.

In secondo luogo la sottigliezza che King mette in luce è che l’effetto di precisazione che danno gli avverbi potrebbe essere reso – evocato – dal resto della prosa senza che esso debba essere esplicitato da quelle locuzioni posticce che sono appunto gli avverbi.

Due ultime cose.

Il libro in Italia venne pubblicato per la prima volta una quindicina di anni fa da Sperling e Kupfer. Oggi è stato ritradotto da Frassinelli. Quest’ultima edizione è però appesantita da una introduzione di Loredana Lipperini di oltre 20 pagine. Troppe. Forse quest’ultima non ha letto il libro che voleva introdurre.

on writingSeconda cosa. In appendice King ci elenca i libri che ha letto negli ultimi anni. Uno si aspetterebbe di trovare qualche testo dimenticato dell’horror dell’Ottocento, e invece si trova Harry Potter.

Ma forse anche questo ci indica qualcosa.

Stephen King, On writing: autobiografia di un mestiere, Frassinelli, 2015, pp. 282, 20,00 euro.

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.