20171007 michela tilli

Intervista alla scrittrice per l'uscita del suo nuovo libro. “Un lettore mi ha detto che l’inizio ricorda Hitchcock: sentirlo mi ha mandato in estasi!”

 

Titolo e copertina possono inquietare, eppure non è un giallo, l’ultimo libro di Michela Tilli. È un romanzo che “scava”, scava eccome, ma attorno all’amore materno, all’adolescenza, alla ricerca della verità, sempre ammesso che ne esista solo una, di verità.

Michela Tilli basta un attimo doppia“Basta un attimo”, pubblicato da Garzanti, gioca con una quotidianità del presente e un dramma del passato, cambia punti di vista, rimbalza tra due famiglie, agilmente, rispettando il ritmo e i tempi di chi legge e vuole immedesimarsi nella storia, trovandosi poi quasi “strattonato” tra diversi punti di vista che, se non ragionevoli, sono almeno comprensibili.

Tutto questo, in 300 pagine, per raccontare l’amore materno, la voglia di indipendenza dell’adolescenza, la varietà di reazioni che possono esistere davanti ad una verità del passato che torna a galla. Dalle prima pagine ci troviamo in una Milano intirizzita dal freddo di ottobre, seguiamo Miriam, la protagonista, conoscendo marito e figli, e poi la coppia formata da una sua vecchia amica, Elena, che spunta in città come un fantasma, assieme al marito. Sono passati 15 anni dall’ultima volta che le due donne si sono viste, il perché va cercato nel romanzo di Tilli. Chi è l’autrice, come ha scritto questo libro e cosa ne pensa, è invece in questa intervista.

Come nascono le storie al centro dei tuoi romanzi? Come costruisci l'intreccio?

Quando inizio a scrivere parto sempre da un nucleo, da una idea. Questa resta, è il centro del romanzo. Man mano poi, scrivendo, alcune cose cambiano, a volte molte, dipende. Ci sono dei momenti, durante la stesura di un libro, in cui la storia tira da una parte e bisogna seguirla, ma di solito non si tratta di modifiche sostanziali per quanto riguarda la trama. Per me è sempre molto importante l'inizio, quell'idea da cui parto e attorno a cui vado a “scavare”, man mano, scrivendo, pagina dopo pagina. Lavoro circa un anno per ogni romanzo, quindi è un processo di "scavo" lungo in cui non mancano momenti di confronto e di condivisione.

Fai leggere ciò che scrivi a qualcuno, già nella fase di prima stesura?

No, più che altro mi piace confrontarmi su alcune idee e questioni con gli amici più vicini e sinceri. In questo modo riesco ad avere uno sguardo più ampio su situazioni che ho inserito nel romanzo. Parlandone con altri riesco meglio a cogliere punti di vista diversi dal mio, questo mi aiuta a scrivere e a sviluppare meglio la storia e i personaggi.

Qual è l'idea-nucleo da cui sei partita per scrivere "Basta un attimo"?

Per “Basta un attimo” l'idea di partenza è stata una riflessione fatta tanti anni fa su amici, figli di amici e amici dei miei figli. In quel periodo in Toscana si era verificato un brutto episodio in cui era morta accidentalmente una bambina e io, che sono di natura molto ansiosa, avevo iniziato a chiedermi “e se succedesse a me? Se in un incidente mi trovassi a scegliere se salvare mio figlio o il figlio di una amica?”. Inizialmente mi ero risposta che mi sarei occupata prima del figlio di amici, per una questione di responsabilità e di affidamento, provando poi un forte senso di colpa verso i miei figli. Loro hanno massima fiducia in me: li tradirei! Da questi pensieri è nata l'idea del romanzo, per indagare e raccontare cosa succede all'amicizia quando accade qualcosa di brutto, per interrogarmi sulle paure e sulle responsabilità di un genitore.

“Basta un attimo”, però, non parla solo di essere genitori: c’è anche una adolescente, Lucia, che ricopre un ruolo di rilievo...

Infatti. Man mano la storia si è evoluta, le mie riflessioni si sono rivolte maggiormente all'adolescenza. Quando hai dei figli in questa fase vivi un momento in cui devi trovare un equilibrio tra la voglia di proteggerli e la necessità di lasciarli liberi, anche di farsi male. Questo è senza dubbio un tema difficile e che nel libro è molto presente.

tili ogni giornoAffrontando questo tipo di situazioni, raccontando i personaggi e le loro scelte, non c'è il pericolo di dare un giudizio? Di dire cosa è bene e cosa è male, quale personaggio è buono e quale è cattivo?

Il pericolo c'è, io ho cercato di costruire questo romanzo, come anche i precedenti, concentrandomi molto sui personaggi e sulle loro sfaccettature più che sulla trama. A volte si pensa troppo alla trama e ci si dimentica dei personaggi, del fatto che negli intrecci della storia sono coinvolte persone. Al di là della trama, io amo molto i personaggi, infatti mi piacciono i romanzi in cui non succede nulla di particolare, che hanno al centro le persone. Per chi legge, confrontarsi con i personaggi significa confrontarsi con sé stessi ed è importante perché tutti pensiamo sempre di aver ragione e giudichiamo gli altri. Leggendo ci rendiamo conto che ogni personaggio ha in fondo una sua "fetta" di ragione, una sua verità.

Proprio il tema della verità è tra i principali di “Basta un attimo”. Cosa emerge?

In generale credo che esista una verità oggettiva, quella dei fatti, ma la verità è spesso una questione di linguaggio e anche di interpretazione dei fatti. La verità è verità quando viene detta ed esistono molti modi di raccontare una verità perché esistono vari modo di vivere ciò che oggettivamente accade. Nel romanzo Miriam, la protagonista, vive un episodio del passato soffrendone molto, anche dopo anni. Tutti le dicono che sta esagerando, che non ha responsabilità e che non deve rovinarsi la vita per questo, tutti le dicono di stare calma e tranquilla ma lei non può.

Come hai ideato e sviluppato i personaggi principali?

Il libro è incentrato su Miriam. Sono partita dalle due famiglie, la sua e quella di Elena e Elio, e man mano ciascuno ha trovato la propria personalità in base anche al gruppo di appartenenza. Le due famiglie inizialmente erano intese come due squadre in contrapposizione, mi sono concentrata nel descrivere il legame di amore e alleanza nelle due coppie per poi sviluppare le personalità delle singole persone. Non ho ragionato sul fatto che fossero donne o uomini, più che altro le ho intese come appartenenti all'una e all'altra famiglia e poi come individui. 

Miriam, la protagonista, si evolve secondo te nel libro? Se sì, come?

Sicuramente ha una evoluzione. Dopo l'episodio tragico di molti anni prima, Miriam fa una vita quasi velata, mascherata. Fa di tutto per convincersi di poter condurre una normale esistenza e di procedere come nulla fosse fino all'incontro con la sua vecchia amica che la sblocca e le fa toccare fondo. Da quel momento evolve, anche e soprattutto nel rapporto con la figlia Lucia  ormai adolescente.

Se incontrassi una come Miriam nella vita reale, ti sarebbe simpatica?

Non direi proprio simpatica, ecco, ma certo apprezzerei il fatto che è una di quelle persone che vuole andare in fondo alle cose. Mi piace chi preferisce cercare la verità, scavare, approfondire, piuttosto che a tutti i costi comportarsi in modo da essere definito simpatico. Forse io stessa sono un po' così. Sì, io e Miriam diventeremmo amiche.

Il rapporto tra Miriam e sua figlia esce dai canoni, non segue stereotipi. Come ci hai lavorato per renderlo così?

Mi sono rifatta molto alla mia adolescenza e poi ho due figli che si stanno affacciando all’adolescenza. Vivo questa fase da vicino ogni giorno. Sento fare molti discorsi negativi sull’adolescenza e sugli adolescenti, io penso invece che sia una età favolosa e bistrattata. Vorrei che gli adolescenti fossero trattati meglio, spesso i loro atteggiamenti vengono mal interpretati  e descritti come “vuoti” e “persi”. Un adolescente non è più un bambino e si sta lanciando nell’età adulta ma ancora non vi è entrato, il vuoto che può avvertire non è che la conseguenza del fatto che alla sua età può ancora essere tutto, al contrario di noi adulti. I ragazzi hanno una grandezza dentro, sono quello che tutti vorremmo ancora essere. Quella ribellione che viene spesso criticata, in loro, è il modo di diventare adulti ed è una fase che mi piace molto.

Di lavoro fai la correttrice di bozze, leggi quindi molti libri, immagino, e non solo da “semplice” lettrice. Questo influenza la tua scrittura?

Leggo sia per passione che per lavoro, per cui ho sempre minimo due o tre libri sottomano. Lo stile degli altri autori mi coinvolge e mi prende molto, quindi sto attenta a cosa leggo quando scrivo perché mi rendo conto che ne vengo influenzata. Mi resta il ritmo della scrittura altrui nella testa: è inevitabile!

Che autore ti aiuta ad avere il ritmo giusto?

A me piace la terza persona e lo stile coinvolgente. José Saramago. Ecco, quando mentre scrivo leggo lui, mi sembra di andare al ritmo che desidero.

Che autore invece ti “disturba”?

Più che un autore posso citare uno stile. Per quanto scritto finora, mi disturbava leggere dei gialli. Non che non mi piacciano, anzi, ne leggo, è per via della scrittura che, in alcuni casi è meno curata e ci si concentra maggiormente nello sviluppare la trama. Evito anche le serie TV americane: mi piacciono molto ma poi mi accorgo che mi restano nella testa quei dialoghi che non sono decisamente quello che desidero scrivere...  In generale devo leggere cose che stanno al ritmo che sto cercando.

Ora che ritmo stai cercando? Cosa stai scrivendo?

C’è un libro già pronto ed uscirà nel 2018, e ora sto scrivendo un romanzo per la prima volta in prima persona. È un esperimento e per il momento ne sono molto contenta.

La vita sospesaA chi chiederesti idealmente di scrivere la prefazione di “Basta un attimo”, se potessi? Sognando...

Sicuramente a Paul Auster, o a Joyce Carol Oates. Mi piacciono entrambi molto.

Copertina e titolo ti piacciono?

Trovo che entrambi mi rappresentino molto. Non li ho scelti io, è stato l’editore come anche per i precedenti libri, ma stavolta ne sono rimasta convinta subito. Ho detto “fate voi” come sempre, perché mi fido, e penso abbiano scelto un titolo azzeccato e una bellissima copertina. È stata solo leggermente scurita, rispetto alla prima proposta, dopo un “mini sondaggio” tra femmine e maschi, e questa modifica ha reso tutto più inquieto. Proprio l’effetto che desideravamo. Con il libro “Ogni giorno come fossi bambina” non ero invece convintissima della scelta, ho lasciato fare comunque, ma non mi sentivo così tanto ben rappresentata come stavolta.

Dove stai quando scrivi un tuo romanzo?

In casa, in sala o, se ci sono altre persone in casa, in camera. Devo assolutamente essere da sola, ne ho proprio bisogno, quando scrivo. Non ascolto musica, nemmeno: voglio il silenzio assoluto!

Ti piacerebbe vedere “Basta un attimo” trasformato in pièce teatrale?

Più che altro in un film. Me lo immagino già, con gli spazi che descrivo, compresa la villa “misteriosa” che poi esiste davvero. È a Milano, nascosta dietro al filo spinato. L’ho scoperta in un sito sui misteri di Milano, era una villa chiusa, mi ha incuriosito.  Si trova nell'isolato tra via degli Erizzo, via degli Alerami, via dei Soranzo e via degli Odescalchi.

Finora, dei feedback che hai ricevuto su questo libro, quale ti ha fatto più piacere?

Un lettore mi ha detto che l’inizio ricorda Hitchcock: sentirlo mi ha mandato in estasi! Ricordo con piacere anche le parole di un amico, uno di quelli a cui chiedo spesso pareri sui miei romanzi. Leggendo i precedenti, mi aveva detto che non ritrovava nelle mie pagine la profondità che sa che ho e che sente dai miei discorsi, di persona. Quando ha letto “Basta un attimo” ha detto che qui ci sono io, dentro, con tutta me stessa. In effetti penso di aver fatto un passo avanti, come scrittrice, con questo romanzo. Prima forse non volevo andare “contro” il lettore, non volevo appesantire la narrazione e mi limitavo. Questo libro, ha ragione lui, è più mio e ci sono particolarmente affezionata.