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In corso alla Fondazione Prada fino al 25 giugno 2018 lascia sbalorditi per dovizia di opere e documenti, ricerca storica, ricostruzione contestuale e bellezza.

Difficilmente si sarebbe potuta scegliere sede più adeguata della Fondazione Prada di Milano per  la grandiosa mostra curata da Germano Celant  Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics. Italia 1918-1943,  aperta dal 18 febbraio al 25 giugno 2018.

La sintonia tra la configurazione esterna del complesso architettonico, che Rem Koolhaas ha progettato  integrando la ristrutturazione di una distilleria degli anni dieci del 1900 con la costruzione di tre nuovi edifici, e l’immenso patrimonio artistico organizzato al suo interno, quasi si fosse messo ordine negli scantinati della Xanadù di Charles Foster Kane di Orson Welles, ne fa un tutt’uno quasi simbiotico.

La ripresa nel titolo di Post Zang Tumb,  l'opera letteraria del 1914 di Filippo Tommaso Marinetti inneggiante alle parole in libertà, richiama non solo il movimento futurista, ma l'ecletticità artistica dei 25 anni presi in considerazione ed ampiamente testimoniata in quasi tutti gli spazi interni della Fondazione.  

Se non fosse per l’obbligato ritorno nelle loro sedi internazionali delle oltre 600 opere e degli 800 documenti originali in esposizione, questa vastissima,  contestualizzata e filologicamente documentata ricostruzione delle varie declinazioni dell’arte italiana, architettura e design compresi, e delle relazioni dei suoi protagonisti, e di quelli del mondo culturale in generale, con il regime di stato, sembrerebbe fatta apposta per avere qui la sua naturale collocazione permanente. 

 

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Il complesso architettonico della Fondazione Prada di Milano

 

Girare negli ampi spazi esterni che si aprono tra i vari edifici sviluppati orizzontalmente e verticalmente, nella continua interazione di  vetro e cemento, ferro e pietra, specchio e plexiglass, bianco e oro,  grigi e marroni,  può dare infatti la straniante sensazione di essere finiti dentro le opere di alcuni degli artisti esposti all’interno.

Ad esempio nelle piazze metafisiche di Giorgio De Chirico, soprattutto se si ha la fortuna di cogliere momenti deserti, o tra i paesaggi urbani di Mario Sironi, soprattutto se la giornata è grigia. O ancora di essere l’importante elemento umano nelle composizioni “realisticamente magiche” di Felice Casorati, Ubaldo Oppi o Antonio Donghi.  
Oppure una figurina nascosta nei progetti di Antonio Sant’Elia, il quale nel suo Manifesto per l’architettura futurista del 1914 parlava di un’architettura “dell’audacia temeraria e della semplicità” e di compenetrazione “del cemento armato, del ferro, del vetro, del cartone, della fibra tessile e di tutti quei surrogati del legno, della pietra e del mattone che permettono di ottenere il massimo della elasticità e della leggerezza”.

E’ notizia di qualche giorno fa che anche l’unico edificio non ancora completato, quella Torre Bianca in cui Rem Koolhaas ha alternato asimmetriche linee verticali, orizzontali e oblique fornendo a chi la guardi prospettive differenti a seconda del punto di osservazione, è in fase di ultimazione e aprirà il 22 aprile prossimo con ulteriori 2000 mq di spazio espositivo ed altri servizi ed ambienti per il pubblico, tra cui una terrazza panoramica.

 

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Un'altra veduta della Fondazione Prada con la Torre Bianca, che sarà aperta al pubblico dal 22 aprile 2018,  sullo sfondo. 

 

La Fondazione Prada vedrà così il completamento di un complesso architettonico che sembra possedere una misteriosa e magnetica forza intrinseca, di cui potrebbero essere preda individui inclini a stati di turbamento, che non riescono a spiegare,  di fronte a visioni improvvise a volte persino insostenibili con lo sguardo.

Se già l’esterno può innescare qualche sintomo della cosiddetta sindrome di Stendhal,  così classificata per le descrizioni date dall’autore francese dei disturbi psico-fisici che coglievano turisti in visita a Firenze, fare un primo giro all’interno della mostra lasciandosi andare alla pura ricezione visiva può sortire suggestioni analoghe, per l’infinita varietà di stimoli e per le sorprese che ogni stanza riserva.

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Una serie di statue di Adolfo Wildt. In primo piano Carattere fiero - Aimo gentile del 1922.

 

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 Due opere di Arturo Martini: L’aviatore e La veglia

 

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Un'incredibile parete con quattro dipinti di Felice Casorati, tra cui il  meraviglioso ritratto di Silvana Cenni. Ulteriori opere di Casorati sono presenti in altre sale, nel rispetto dell'allestimento che vuole le opere esposte nello stesso contesto mostrato dalle fotografie storiche che le accompagnano.

 

Se una visita  volta al puro piacere estetico può essere per alcuni una prima modalità di approccio, limitarsi ad essa significherebbe tuttavia andare contro la natura di un’esposizione pensata, studiata ed allestita in ogni dettaglio con finalità che ne vanno ben al di là.
La mostra si basa infatti sull’assunto dell’inscindibilità dell’aspetto politico e di quello estetico dell’arte, in quanto l'opera dell'artista non nasce mai in astratto, bensì in contesti sociali storici, sociali e culturali.

Punto di partenza del lungo lavoro preparatorio è stata la ricerca di documenti e fotografie storiche che rappresentassero le situazioni in cui le opere d’arte sono state create, messe in mostra e interpretate dai visitatori del tempo ed intorno alle quali è stato costruito il percorso espositivo. Foto d’epoca che ritraggono atelier degli artisti, case private, mostre italiane ed estere in gallerie o in esposizioni nazionali ed internazionali, eventi pubblici, e molto altro ancora, sono dunque presenti in tutte le sale, permettendo la visualizzazione delle opere esposte  anche nella loro originaria dimensione contestuale.

In parecchie sale gli ambienti sono addirittura stati ricostruiti grazie a tappezzerie “fantasma” a sfondo grigio, con la raffigurazione sgranata  in bianco e nero degli elementi di arredamento e degli altri dipinti o sculture collocati vicino a quelli fisicamente presenti.

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Fotografia di della casa di Leonce Rosenberg a Parigi (1928-29) con tre opere di Giorgio De Chirico.

 

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L'allestimento collocato accanto alla foto della casa di Leonce Rosenberg a Parigi (1928-29) con due  delle tre opere di Giorgio De Chirico e il trompe l'oeil che ricostruisce l'ambiente. 

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La varietà espositiva delle sale, nella ricostruzione d'epoca testimoniata dalle fotografie storiche.

 

Inoltre nell’edificio chiamato “deposito” vi sono giganteschi pannelli sui quali sono proiettate fotografie a grandezza naturale degli ambienti architettonici espositivi, tra i quali ad esempio quelli della colossale Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932 allestita per il decennale marcia su Roma. Nella stessa sala una parete luminosa riassume gli eventi storici e culturali principali anno per anno, mentre nella sala cinematografica scorrono in loop una trentina di cinegiornali, muti o col sonoro originale, scelti in collaborazione con l’Istituto Luce tra quelli trasmessi nei cinema italiani tra il 1929 e il 1941.
Il cinema fu infatti uno degli elementi che fecero parte del processo di estetizzazione della politica del quale il fascismo si servì per propagandare l’utilità sociale della nuova ideologia,  al pari della progettazione e costruzione di imponenti edifici, monumenti, complessi architettonici, opere di pittura murale e dell’allestimento di grandi mostre, parate e cerimonie organizzate in modo platealmente teatrale. 

 

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 Il "deposito" nel quale sono installati pannelli che proiettano foto dei grandi eventi fascisti.  

 

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La ricostruzione di tutti gli avvenimenti storici e culturali principali anno per anno. 

Quanto alla condivisione, alla passività, alle critiche o al rifiuto degli artisti nei confronti del nuovo pensiero e dell’utilizzo delle loro opere in situazioni celebrative scrive Germano Celant in un passaggio del suo saggio introduttivo:

« [L’artista] spesso si astiene dal prendere posizione: si adatta. Ne conseguono contraddizioni e compromessi che consentono all’artista di navigare in tute le situazioni storiche. E a parte il rifiuto di pochi, che rappresentano una minoranza, per sopravvivere in un clima di competitività, sempre relativa a un sentire oppressivo e di regime, l’artista difende la propria autonomia linguistica rimanendo indifferente alla sua strumentalizzazione. (…) Pertanto dietro la presentazione di un dipinto o di una scultura si manifesta una condivisione passiva e funzionale al sistema di potere, che diventa palese e attivo quando si attesta attraverso l’immagine ufficiale: la cerimonia espositiva si intreccia e connette con il rituale del potere in atto mediante la presenza dei rappresentanti dei governi e delle istituzioni. (…) In generale i protagonisti dell’arte, spesso astenendosi dal consenso, hanno tuttavia condiviso i pensieri dominanti di chi governava e comandava, proprio come la piccola e media borghesia, ma riuscendo a salvaguardare la forza del proprio linguaggio visivo e creativo. »

Ecco allora presenti alla mostra i movimenti, gruppi e tendenze  che caratterizzarono l'eclettismo espressivo dell’epoca (Futurismo, Novecento, Valori Plastici, Scuola Romana, Corrente,  il movimento degli astrattisti e quello degli Italiens de Paris) e i pittori e gli scultori che a quei movimenti presero o non presero parte, con una dovizia di opere che  mette davvero a rischio la sostenibilità emotiva di quei soggetti  cui si accennava prima. 

Tra di loro Alberto Martini, sulla cui Conversazione con i miei fantasmi è ricaduta la scelta  per la foto di apertura.  E poi Giacomo Balla, Carlo Carrà, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Mario Sironi, Giorgio De Chirico, Felice Casorati, Arturo Martini, Adolfo Wildt, Marino Marini, Lucio Fontana, Renato Guttuso, Giorgio Morandi, Enrico Prampolini, Gino Severini, Scipione, Fausto Melotti, Giacomo Manzù, Massimo Campigli e molti altri ancora.

 

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Fortunato Depero, Paese di tarantelle (1918). Accanto due foto storiche dello studio dell'artista e del salone della Biennale di Monza del 1922 dedicata all'artista. 

 

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Giacomo Balla, Fascisti e antifascisti, 1924.

 

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Renato Guttuso, Crocifissione (1940-41)

 

L’accuratezza storica è anche sottolineata dalla presenza cospicua di disegni, progetti, foto e dipinti dei progetti degli architetti che diedero l'impronta all'edilizia del periodo (dal già citato Antonio Sant’Elia a Giuseppe Terragni, Marcello Piacentini, Piero Portaluppi, Giovanni Muzio), e da focus tematici dedicati a personaggi di spicco del panorama politico ed intellettuale (tra di loro Giuseppe Bottai, Margherita Sarfatti, Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Carlo Levi, Alberto Moravia), nei quali vengono analizzate le differenti posizioni rispetto al regime.

Post Zang Tumb Tuuum immerge insomma i visitatori in una dimensione storica che permette loro di conoscere ed approfondire sia gli aspetti sociali e pratici delle vicende dell’arte italiana negli anni presi in considerazione, sia le molteplici motivazioni che in Italia, a differenza che in Germania e in Unione Sovietica, hanno consentito una notevole libertà espressiva in un periodo dittatoriale.

Conoscenze ed approfondimenti sono forniti anche dal catalogo di oltre 600 pagine, il cui unico difetto è il prezzo di 90 euro, un libro talmente completo ed articolato che dovrebbe fare parte delle biblioteche scolastiche come prezioso strumento di studio e ricerca per studenti ed insegnanti di ogni disciplina. 

 

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Alcuni dei moltissimi progetti architettonici.

 

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Miniatura del Palazzo dell'Eur.

 

In conclusione riportiamo un altro passaggio del saggio di  Germano Celant, nel quale il curatore e  storico dell'arte  descrive le motivazioni delle scelte alla base di questa monumentale impresa, in aperto dissenso con un’abitudine espositiva troppo spesso legata ad interessi commerciali prima che culturali. 

Senza entrare nei diretti confronti tra mostre molto dispendiose, come è sicuramente il caso di questa ma anche di tante altre, spesso organizzate da enti pubblici, che al contrario di questa non sono supportate da rigore intellettuale e ricerca scientifica, ci sembra che le sue parole  possano essere ricondotte per estensione alla necessità di un lavoro curatoriale di valore anche laddove non si disponga di ingenti mezzi finanziari. Anche le piccole mostre possono infatti essere inutili o preziose a seconda dell’intento che le ispira e del metodo con cui vengono allestite.

«Scegliendo di non adottare un sistema espositivo che si impone per la sua assenza di contesto (quello della disposizione delle opere, su fondo neutro, così che dialoghino solo tra di loro, in nome dell’arte per l’arte), si è voluto ricollocare l’artefatto nel sistema d’uso: dalla mostra ufficiale allo studio, alla collezione e alla galleria, per arrivare ai grandi interventi urbani in cui il pubblico lo ha recepito. E’ rendere visibile, tramite immagini documentarie del tempo, la comunanza della singola opera con altri soggetti, politici e non, evidenziando non solo l’alterità della ricerca d’avanguardia, ma anche il suo assenso, oppure il suo raro dissenso, rispetto alla vita sociale del momento. Significa in definitiva svolgere un ruolo critico contro la decontestualizzazione espositiva, con la sua pratica di isolamento, funzionale solo all’ubiquità del valore mercantile, per cui l’arte si tramuta in prodotto e in economia.»

Gli autori di Vorrei
Elisabetta Raimondi
Elisabetta Raimondi
Disegnatrice, decoratrice di mobili e tessuti, pittrice, newdada-collagista, scrittrice e drammaturga, attrice e regista teatrale, ufficio stampa e fotografa di scena nei primi anni del Teatro Binario 7 e, da un anno, redattrice di Vorrei.
Ma soprattutto insegnante. Da quasi quarant’anni docente di inglese nella scuola pubblica. Ho fondato insieme ad ex-alunni di diverse età l’Associazione Culturale Senzaspazio.

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