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Cosa succede quando siamo esposti a contesti nuovi e insoliti, dove le nostre abitudini si rivelano insufficienti? L’effetto Lucifero: cattivi si diventa? il libro scritto da Philip Zimbardo, il professore che ideò l’esperimento.

Anche in campo scientifico esistono frodi, bufale, fake news e leggende metropolitane. Non sempre è facile distinguere cosa sia vero da cosa non lo sia.

È inevitabile quindi che nel tempo si sia generata nell’opinione pubblica una zona grigia, un margine di dubbio in merito, per esempio, all’effettivo verificarsi o meno dell’esperimento compiuto a Philadelphia da Einstein che avrebbe fatto scomparire un sottomarino durante la seconda guerra mondiale oppure – altro esempio – all’effettivo verificarsi o meno dell’esperimento di un “raggio della morte” compiuto da Tesla sempre durante la seconda guerra mondiale.

Di entrambi gli esperimenti ogni tanto si sente parlare, così come ogni tanto si può sentir parlare anche di un meglio specificato esperimento psicologico compiuto negli Stati Uniti – certe cose evidentemente accadono solo là – in cui ogni risposta sbagliata a una certa domanda doveva essere punita da una scossa elettrica, oppure di un altro esperimento in cui si replicava la vita di una prigione e i secondini si trasformavano in aguzzini.

Siamo al limite della leggenda metropolitana, ma, al contrario degli esperimenti di Einstein e di Tesla, che non si sono mai verificati, l’esperimento delle scosse elettriche compiuto da Stanley Milgram (citato magistralmente anche in una puntata dei Simpson) così come l’esperimento carcerario compiuto da Philip Zimbardo sono stati davvero concepiti e messi in opera, e sono anzi ormai considerati dei classici della psicologia.

In particolare “L’esperimento carcerario di Stanford”, che prende il nome dall’università in cui si è svolto nel 1971, conquistò fin da subito i titoli dei giornali e, attraverso documentari e ricostruzioni, da allora non ha mai cessato di far discutere, anche perché dal 1971 a oggi i suoi partecipanti hanno rilasciato migliaia di interviste. Sull’onda lunga di questo dibattito si pone il saggio che vi consiglio questo mese, e che si intitola L’effetto Lucifero: cattivi si diventa? scritto da Philip Zimbardo, il professore – tutt’ora vivente – che ideò l’esperimento.

 

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Inoltre l’esperimento di Zimbardo è tornato prepotentemente alla ribalta qualche anno fa quando scoppiò lo scandalo del carcere di Abu Graib, la struttura detentiva irakena che era passata sotto il controllo americano dopo la seconda guerra del Golfo e dove si verificarono episodi di inaudita violenza – documentati da foto, alcune delle quali, pubblicate sui giornali, divennero molto famose – da parte delle forze armate statunitensi nei confronti dei detenuti. Il professor Zimbardo venne assunto come consulente dalla difesa di uno dei militari autori delle violenze nei confronti degli internati irakeni. Le similitudini tra quanto era accaduto nel carcere di Abu Ghraib e quanto era accaduto decenni prima nell’improvvisato e finto carcere di Stanford erano fin troppo evidenti per passare inosservate. In entrambi i casi normali ragazzi che mai avevano dato segno di squilibrio si lasciavano andare a violenze ingiustificate nei confronti dei detenuti che avevano in custodia. Zimbardo nella sua consulenza mise in luce una serie di carenze nella formazione del personale e nella catena di comando, e dimostrò anche come alcune situazioni oggettive potessero aver generato un grande stress nei secondini che poi si resero responsabili delle violenze. Ciononostante, il militare autore delle violenze (la cui difesa aveva assunto Zimbardo come consulente) venne ritenuto pienamente responsabile, assieme ad altri, dei fatti contestati e venne condannato a una pena detentiva.

Procediamo però con ordine. Cosa era successo a Stanford? Domenica 14 agosto 1971 alcuni studenti volontari e retribuiti si fecero arrestare pubblicamente da veri poliziotti – che partecipavano all’esperimento per renderlo più credibile – e vennero internati in un finto carcere predisposto all’interno dell’università di Stanford, in California. I secondini a cui era stata affidata la loro custodia erano altri studenti volontari e retribuiti. La scelta se essere secondino o detenuto era stata affidata al caso. A nessuno dei partecipanti all’esperimento – i cui video originali sono visibili su youtube – erano stati diagnosticati problemi psichiatrici.

Nei 5 giorni della sua durata – la durata prevista dell’esperimento doveva essere in realtà di 15 giorni, ma fu necessario interromperlo prima – ne successero di tutti i colori. Impossibile stare dietro a tutti i fatti che però il libro riporta in modo dettagliato per circa 200 pagine (sulle oltre 700 pagine complessive del saggio), e credo che sia la prima volta che in lingua italiana abbiamo su questo celebre esperimento un resoconto così puntuale che spazza via tutta una serie di imprecisioni contenute, per esempio, su Wikipedia.

La sostanza è che gli studenti-secondini si trasformano ben presto e senza alcun motivo in aguzzini e cominciarono a maltrattare gli studenti-carcerati. Le violenze, anche sessuali, diventano ben presto sistematiche. Si badi che gli studenti-carcerati non si ribellanono a queste sopraffazioni pur sapendo che non erano in un vero carcere e che erano liberi di andarsene quando volevano.

Lo stesso professor Zimbardo si trovò a tal punto coinvolto nell’esperimento che aveva concepito da non riuscire a interromperlo al verificarsi delle prime violenze. Fu la sua fidanzata dell’epoca che lo costrinse a mettere fine alla ricerca. Successivamente Zimbardo riconobbe che il suo esperimento aveva provocato delle ingiuste sofferenze, si scusò per queste ultime, e imputò il ritardo nella sua reazione a un errore metodologico, al fatto cioè che lui era contemporaneamente responsabile della ricerca e direttore dell’improvvisato carcere. Una mancata separazione dei ruoli, una situazione di evidente conflitto di interessi, che non gli permise di mantenere lucidità e obiettività.

L’esperimento – finanziato con soldi pubblici della Marina degli Stati Uniti – in realtà non era stato concepito per dimostrare una qualche tesi in particolare, ma per valutare in che misura le caratteristiche di un sistema istituzionale potessero prevalere su fattori disposizionali.

In sostanza l’esperimento di Zimbardo dimostrerebbe che il carattere delle persone non sia una disposizione permanente, ma che in particolari situazioni possa trasformarsi. E le situazioni peggiori, quelle cioè che innescano le risposte peggiori da parte dei soggetti, sono quelle che promuovono l’anonimato, la deinvidualizzazione e la de umanizzazione: tutte situazioni che si erano venute a creare nell’improvvisata prigione di Stanford.

Zimbardo avrebbe quindi scientificamente dimostrato che un cattivo sistema e cattive situazioni possano indurre brave persone senza patologie a comportarsi in modo sadico. Le situazioni sono importanti, anzi: sono fondamentali.

In questo senso un’osservazione interessante è che il meccanismo psicologico che genererebbe i mostri sarebbe lo stesso che genererebbero gli eroi. Se esiste una banalità del male – come scrisse Anna Arendt osservando che il criminale nazista Eichmann non aveva nulla di speciale – potrebbe esistere infatti anche una banalità del bene. Gli eroi non sarebbero dunque persone eccezionali, ma persone come tutte le altre che però si trovano in condizioni particolari. Anche per questa teoria – e purtroppo non mi posso dilungare più di tanto – sono stati condotti esperimenti che la dimostrerebbero. Per esempio alcuni seminaristi che venivano fatti ritardare apposta a una riunione non reagivano a richieste di soccorso, che invece venivano recepite da seminaristi a cui era stato concesso più tempo a disposizione (questo è noto come “esperimento del buon samaritano”).

 

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L’esperimento di Zimbardo è stato concepito negli anni della contestazione giovanile – la si sente pulsare a ogni pagina, addirittura a un certo punto si temette che l’improvvisato carcere venisse assaltato dagli altri studenti del campus –  quando le tematiche sul ruolo repressivo della società erano all’ordine del giorno. Oggi lo sono molto meno.

In definitiva “l’esperimento” però lascia dietro di sé due ordini di problemi.

Innanzi tutto: è stato un esperimento scientificamente valido? Il saggio è lunghissimo, oltre 700 pagine, ma non dissipa il dubbio che oltre che superare limiti deontologici, Zimbardo abbia anche utilizzato un metodo di ricerca dubbio, tanto che per esempio anche di recente (a quasi 50 anni dai fatti!) ne è stata messa in discussione la validità scientifica.

Inoltre le tesi di Zimbardo lasciano aperta anche una questione etica enorme: tutti siamo disponibili a riconoscere che effettivamente il contesto possa influenzare l’individuo, ma fino a che punto siamo disponibili a spingerci su questo crinale? In sostanza: quanto erano colpevoli i criminali nazisti? Essi andrebbero guardati con una maggiore indulgenza? In fondo anche Priebke non aveva commesso alcun reato nei 50 anni successivi alle Fosse Ardeatine e certamente il contesto della seconda guerra mondiale aveva influenzato il suo comportamento. Doveva per questo essere assolto?

copertina effetto luciferoTutti concordiamo nel riconoscere l’importanza del contesto, ma nei tribunali gli Erik Priebke fino a oggi sono stati sempre riconosciuti colpevoli, mentre coloro che salvano chi sta annegando vengono premiati con medaglie al valore.

E a nessuno dispiace che sia così.

Philip Zimbardo, L’effetto Lucifero: cattivi si diventa?, Raffaello Cortina Editore, 2008, 735 pp., 39,00 euro.

 

Foto tratte da www.prisonexp.org

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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