20181212 Lou Reed 2

I racconti del bancone. Riflessioni sparse su gancetti per lingerie, Lou Reed e la mia incapacità a dire "ti amo"

Perche' ti ho dato insuff? Perche' ti sei limitato a riportare quello che c'era scritto sul libro, Loscalzo. Non lo hai applicato, non lo hai capito..lo hai solo eseguito senza chiederti a che servisse, ed infatti, inevitabilmente lo hai fatto nella maniera sbagliata.
(Commento del prof. Pocaroba ad un mio compito di statistica in seconda superiore) 

A quei tempi praticamente una volta la settimana le lezioni si fermavano per assemblee e collettivi che il più delle volte si trasformavano in happenning o fughe di massa, la nostra scuola era ad uno sputo da Parco sempione, potete immaginarvi. Durante una di quelle assemblee (era il 79 ed io avevo poco piu' di 16 anni) riuscii a trascinare (consenziente, anzi a memoria direi entusiasta) Giusy G. in aula studenti, in quel momento vuota. Dato che non potevamo chiuderla iniziammo a pomiciare bloccando la porta, in piedi, con la schiena. Questo non mi impedì di infilarle  immediatamente le mani sotto il maglione e la camicetta. Ve lo ho detto, avevo 16 anni, i tempi delle figu e delle croste sulle ginocchia non erano lontani, e per quanto non digiunissimo ero alle primissime armi. Figuratevi il mio stupore quando passando le mani sulla sua schiena non ho trovato il gancetto del reggiseno. Non c'era, mi sembrava impossibile:  coppe, stoffa, spalline e dietro una fascia unica. Niente gancetto. Probabilmente le mie mani ravanavano come due pesci rossi fuori dalla vasca perchè lei mi fermò e con un aria tra il divertito e lo scocciato si sollevò il maglione e (WHAM!)  sganciò il reggiseno da in mezzo alle coppe. In mezzo! Non ci sarei mai arrivato. Non feci a tempo a ritirare la lingua in bocca che iniziarono a bussare alla porta e la bella e prosperosa Giusy (inutile dirlo) non mi concesse mai il bis.

Anni dopo, abbandonati i baffetti setolosi dell'adolescenza, già patentato, con un lavoro e soldi in tasca ero per la prima volta da solo a casa con il primo vero amore della mia vita. Ci eravamo già parzialmente "conosciuti" nella mia Simca in serate che sembravano zuffe, con abbondanti dosi di lividi e imbarazzi. Finalmente un divano tutto per noi senza il cambio tra i piedi (e non solo i piedi). Tutto bello, tutto ochei, via la gonna, via la camicetta. Sotto c'e' un indumento viola, tutto pizzi e traforini (scoprirò dopo che si chiama "body") che la copre dal collo all'inguine. Nessuna apertura, niente ganci zip velcri niente gancio segreto tra le tette. Per un attimo ho la visione di sua madre che la avvolge in un bozzolo di sicurezza di cotone impenetrabile prima di andarsene per il weekend. Dopo avermi lasciato rosolare abbastanza da portarmi sull'orlo di una crisi di nervi, lei ha preso la mia manina secca e tremante e se la e' portata esattamente dove avrei voluto arrivare con un poco più di eleganza e lì scopro (WHAM!) che oltre a quel millimetro di cotone traforato che mi separava dall'oggetto dei miei tremori c'erano anche due cazzo di bottoncini automatici di metallo che tenevano insieme tutta quella trappola di pizzo e trafori.

Lì li avevano messi, non ci sarei mai arrivato. Lei ha riso per anni della faccia che (dice) ho fatto. Voi non ci crederete ma qualche lustro dopo, cioè pochi mesi fa, ad un età in cui in certi campi non pensavo di aver più nulla da imparare sono stato a casa di una mia amica. Era la prima volta che stavamo da soli insieme e portava un vestito tutto fatto di strisce tipo elastiche che le si intrecciavano dietro la schiena da cui occhieggiavano delle spalline trasparenti, che poi si raccordava con degli altri pezzi che sembravano incastrati a caso e la coprivano (piu o meno) dappertutto. Avete gia' capito, dopo un po' che armeggiavo intorno a questo vestito, mentre ci baciavamo, iniziavo a chiedermi se per slegarlo ci volesse una laurea, o lei avesse un telecomando in borsetta o si aspettasse che avrei cominciato a mangiarlo. Sembrava uno di quei materiali fatti apposta. Forse dargli fuoco, o cercare un apriscatole. Finalmente lei mi scosta, si alza dal letto e, guardandomi negli occhi, con un elegante e fluida mossa si porta le mani incrociate sui fianchi e si sfila il vestito dalla testa in una sola mossa e lo lancia sul tavolino. Il vestito si appallottola tutto - è elastico - ed è poco più grande di un paio di tovaglioli, e lì mi rendo conto che:

WHAM!  c'e Lou Reed sul suo stereo che canta "A perfect day".

WHAM!  mi tornano in mente tutti insieme Giusy, i gancetti i body le Simca la tua faccia che rideva e mi prendeva in giro.

WHAM! il Prof Pocaroba che mi palesava, con il tono piatto di chi sa che e' fiato sprecato, la mia incapacità di vedere l'essenza delle cose.

WHAM!  che tutte quelle volte la soluzione ce la avevo sotto gli occhi ma non riuscivo a vederla, sotto le mani ma senza sentirla, sulla pelle senza capirla, perchè continuavo a fare i gesti che pensavo andassero bene, in sicurezza, senza mai lasciarmi trasportare, la sicurezza delle zip, dei gancetti che mi aspettavo come l'amore, come i sorrisi, dovessereo essere nei luoghi a loro deputati, bene in evidenza, come caramelle Valda nella loro confezione, porzionate, zuccherate pronte all'uso - che la parte difficile è scardinare la scatola di metallo - e, WHAM! lì  in pedi in una stanza con la moquette a pelo mediolungo ho capito perchè non ho mai detto "Ti amo" e improvvisamente ho sentito il bisogno di aria fresca.

Ho detto solo "scusa, scusa" ho raccolto le mie cose e sono uscito quasi di corsa. Ho guidato fino a Cassano d'Adda dove mi sono fermato in un posto bello e solitario alla confluenza dell'Adda con la Muzza, l'acqua nera e velocissima, il silenzio quasi innaturale, i miei pensieri. Per la prima volta dopo anni la voglia di fumare una sigaretta.

A perfect day, per l'appunto.

 

Gli autori di Vorrei
Paolo Loscalzo
Paolo Loscalzo
capitano reggente presso Officine Libra. È nato a Genova, vive a Monza.