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Intervista al filmaker, scrittore, poeta e gestore dell'Azzurro Scipioni a Roma: «La normalità è la perdita di controllo dei propri desideri, è l’incapacità di dargli una risposta, quella è la normalità. Il normale non dà più risposte ai suoi desideri, dà risposte solo ai suoi bisogni.»

A chiedergli cosa occorra all’Azzurro Scipioni per andare avanti ti risponde così, Silvano Agosti: “Non serve nulla, tranne me. Quando non ci sarò più io non ci sarà più l’Azzurro Scipioni. Perché nasce da un sentimento di passione, di amore per gli esseri umani che non hanno nulla, neanche una sala dove vedere un capolavoro del cinema. Qui ne vedono trecento. C’è una sala che proietta trecento capolavori della storia del cinema. È come se nei negozi di libri non ci fosse Dostoevskij o Dante, ci fosse solo Dacia Maraini. E Cervantes? E Ariosto?”.

Risponde con le viscere, non con la testa: “Ho passato tutta la mia infanzia e la mia prima giovinezza a piedi nudi sulle colline, ero amico delle volpi, delle farfalle. E da allora rispondo sempre con le viscere. Per cui la mia cultura è completamente diversa da quelli che sono andati a scuola che ragionano con la testa. Mentre la testa la Natura l’ha creata come spazio di passaggio delle emozioni. Che poi durante il sonno vengono parcheggiate nel cervello, dov’è giusto che vadano. Invece gli altri memorizzano le cose a scuola e dopo tre giorni non sanno più niente. E non sanno più niente per tutta la vita. Non perché gli insegnanti siano cattivi, ma perché c’è una perversione, nessuno sa che la scuola è nata con l’industria. C’era il problema: cosa facciamo fare ai bambini dai tre ai dodici anni? Dai dodici anni in su lo sappiamo, mettiamo anche loro a lavorare nelle filande, ma fino a dodici anni? E allora hanno creato dei silos, dove allora c’erano due tre quattro badanti che guardavano i bambini. Poi si sono accorti che se li facevano star seduti… Insomma pian piano è nata la scuola. Che ha rimbambito praticamente dodici generazioni, ha rincretinito il creato”.

Con la calma del persuaso, sguardo dolce ed eloquente, Silvano Agosti, una vita tra cinema e libri, vita autogestita, risponde non senza grazia dal fronte del contro: “Mi sono impossessato del mio ovunque, che è la prima persona che incontro. Il mio ovunque ha sede in qualsiasi essere umano, in qualsiasi luogo, in qualsiasi ricordo. Non ho mai messo i miei film nelle sale perché lì c’è il cinema industriale non c’è il cinema d’autore. Mai messo i miei libri nelle librerie perché lì ci sono i libri industriali, e non i libri. Quindi uno per trovare un mio libro deve fare un’operazione molto complessa, spesso non lo trova”.

 

Un estratto da Il giardino delle delizie di Silvano Agosti, 1967

 

Quando lo trova però rimane folgorato dalla semplicità di una parola diretta, come le sue “Lettere dalla Kirghisia”: dove si lavora tre ore al giorno, ma stanno studiando il modo migliore per ridurre le ore a due. Là, chi ha desiderio di fare l’amore s’appunta un fiore azzurro all’occhiello così tutti lo sanno. Trasparente Silvano, che dalla Kirghisia scrive di un mondo dove i piccoli sono liberi di giocare nei parchi e quando piove, le Case del Sapere li ripara: “Io non sono andato a scuola perché americani e inglesi quando si occupano di una guerra, come antefatto, regolarmente bombardano ospedali e scuole. Apparentemente giustificandosi dicendo che i ribelli si nascondono lì, in ospedali e scuole, ma in realtà loro bombardano scuole e ospedali per far capire che non scherzano. Non gliene frega niente di ammazzare bambini e ammalati. Quindi, attenzione signori, siamo arrivati noi. E loro sono arrivati sulla stazione di Brescia, a venti chilometri c’era Mussolini. E hanno distrutto tutte le scuole, tutti gli ospedali. Per cui non sono andato a scuola fino a quindici anni. Allora non mi hanno tolto l’infanzia come fanno con tutti i bambini. Gli altri bambini fino a cinque anni rispondono a qualsiasi domanda perché il loro sapere è innato. L’essere umano nasce con il sapere del passato del presente e del futuro. E questo passato lo esprime quando ha tre quattro cinque anni. Rispondono con le viscere non con la testa. E io sono andato avanti a rispondere con le viscere”.

Tu dici, rispettare la norma fa diventare normali: cos’è la normalità?

La normalità è la perdita di controllo dei propri desideri, è l’incapacità di dargli una risposta, quella è la normalità. Il normale non dà più risposte ai suoi desideri, dà risposte solo ai suoi bisogni.

Perché è poetico seguire i desideri anziché i doveri?

Perché il desiderio deriva dalle stelle de-sidera, cioè da regioni remote dell’Universo, mentre il dovere deriva da qualsiasi forma di potere e il potere è marcio.

 

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Tu ami l’amore, le donne?

Io amo la donna, esattamente come uno che ama la musica, non ama una musica, ma ama qualsiasi musica che sia vera musica.

Sensualità e sesso, c’è un abisso?

Un abisso assoluto. Il sesso è l’imbroglio che il potere ti offre con la sua cultura scolastica televisiva biblica. Il sesso è il crimine d’identificare le zone dell’affetto negli organi genitali. Una cosa orribile. Invece la sensualità si riferisce al sentire dei cinque sensi: vista tatto udito olfatto gusto. Anzi dei sei, persino sette sensi: il sesto senso è quando uno dice: Ah mi sa che tu hai capito quella cosa lì, sesto senso. Il settimo senso l’ho inventato io e si chiama il senso del mistero: perché tutto è avvolto nel mistero.

Sei nato nel 1938, quanti cambiamenti?

Sono nato la prima volta nel 1938, poi praticamente, rinasco tutte le mattine. Sono solito da sempre morire nel sonno tutte le sere e risorgere il giorno dopo con il risveglio. Per cui non so quante decine di migliaia di volte ho vissuto. Per me la vita è quella che chiamo la piccola eternità. Va dall’alba al tramonto. In questo percorso io incontro una schiera inenarrabile di handicappati, di handicappate, di gente che non sa niente del proprio corpo, del pianeta su cui vive. Che non sa niente di niente perché è andata a scuola e chi è andato a scuola, dopo i quattordici anni accetta di non sapere nulla per tutto il resto della sua vita.

Il cinema in esilio: perché?

Il cinema è in esilio perché tutte le sale sono occupate dal cinema industriale, che non è cinema. È una formula per fare denaro, un po’ come la Coca Cola e io non suggerirei a nessuno di berla, è un liquido che distrugge l’intestino, fa molto male. 

La follia, cos’è?

La follia è l’ultimo tentativo che la persona mette in atto per riconquistare la propria creatività. Che è la sua identità vitale. Quando una persona è impedita nella creatività, esplode nella follia. Per disintegrare questo involucro che è la normalità, che è sottoporsi alle norme. Le norme proibiscono tutto. Per esempio: Mio fratello mi voleva toccare, tutti no, perché la norma dice che il fratello non deve toccare la sorella. Un uomo che non conosco mi voleva dare un bacio, ma io ho seguito la norma ho detto no, se non lo conosci non farti dare un bacio. Così a furia di conoscere, le persone vengono uccise. Da quelli che loro conoscono, si chiama femminicidio. La cosa più comica che si sia inventata. Come se quando uccidono uno zoppo si dicesse che si è trattato di uno “zoppicidio”. La parola dev’essere omicidio. Sennò è come dire sì, ha ucciso una persona ma non era così importante. Fino a vent’anni fa, gli uomini potevano ammazzare le mogli perché dicevano, eh, mi ha tradito! E la norma diceva: ah lo ha tradito, allora non merita l’ergastolo, un due tre anni di galera e basta, poi esce. Si chiamava delitto d’onore, pensa.

Cos’è importante per te?

Tutto. Persino negli oggetti penso che non esista un oggetto più importante di un altro. E ho scritto un racconto che si chiama “Il delicato trionfo di un vecchio chiodo arrugginito”, per far capire che in caso di estrema precarietà, l’essere umano si salva perché trova per terra un chiodo arrugginito che gli apre la porta della sua vita. Il chiodo arrugginito gli ha dato la vita, come una madre. E così nelle persone, non esiste una persona più importante di un’altra.

Grazie, una domanda ancora, la domanda che faresti a te stesso.

“La domanda che mi sono fatto a cinque anni: ma perché i grandi vanno a lavorare e non hanno mai tempo per vivere, e ogni volta che uno li invita rispondono no, grazie non ho tempo, devo andare a lavorare. Mi sono chiesto, perché accettano di lavorare, accettando di investire otto dieci ore della loro vita per mangiare e dormire. Perché accettano? E da lì in poi mi sono chiesto, sempre perché, non essendo andato a scuola non mi hanno tolto lo strumento meraviglioso che tutti i bambini fino a quattro cinque anni hanno, che è “perché?”

Perché la luna non ha la coda?”

Gli autori di Vorrei
Monica Perozzi
Monica Perozzi
Vive a Roma e coltiva interessi artistici. Cura animali, piante e cucina per gli amici. Ha spento la televisione nel 1990, non l'ha più riaccesa. Legge tanto, ascolta musica, scrive.