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Un giovane e promettente musicista, allievo del Liceo Musicale Zucchi, ci presenta la sua musica e il contesto in cui la crea

 

A volte si resta più inaspettatamente colti dalle sorprese nello scoprire realtà superiori a quanto si potesse immaginare, in particolare quando queste sorprese avvengo in ambiti dove già è rivolto un certo livello di aspettativa. E' il caso della Notte Bianca promossa a gennaio di quest'anno dal Liceo Zucchi a Monza. Stiamo parlando di una scuola che è nella classifica delle eccellenze a livello nazionale in quanto a sfornare allievi, ottimamente preparati e pronti a intraprendere prestigiose carriere professionali e di studio in Italia e nel mondo.

Capita quindi di partecipare a un evento, senza dubbio di buon livello, visto la scuola che lo propone, ma con qualche limite di fruizione, difficilmente correggibili anche con tutta la buona volontà. Perché la partecipazione del pubblico è numerosa e gli spazi dell'ex convento non sono in grado di assorbire, tra un evento e l'altro in successione, le voci e il frastuono inevitabile emesso dalla ressa di pubblico felice e contento di esserci.

Così, a un certo punto della kermesse, ho provato a ricercare un attimo di tregua e l'ho prontamente trovato nella piccola aula della V Liceo Musicale, aula contigua alle altre in cui si esibivano performance di alunni e professori. Si trattava evidentemente di concerti di intrattenimento, con valenza dimostrativa a valorizzare i lavori nel sesto anno di attività del nuovo indirizzo di formazione musicale, corso di studi proposto dallo storico liceo classico ed esistente a Monza dal 1871. All'ingresso un cartello annunciava l'esecuzione, prevista per le ore 11, di alcuni brani dal vivo tra cui uno del tardo romantico Sergej Vasil'evic Rachmaninov. Per un fan di Philip Glass e del minimalismo di Brian Eno altro non poteva essere se non una piacevole ancora di salvezza. 

Entrato in anticipo nel rifugio, ho preso posto e ho pazientemente atteso l'orario dell'esecuzione, assistendo alla preparazione della scena sonora ed evitando il rischio di non poter più accedere in seguito. Infatti all'orario di inizio l'aula era già stracolma di un pubblico accalcato e straripante fino ed oltre il corridoio esterno. Dopo l'esecuzione del preludio di Rachmaninov, eseguito da parte del giovane pianista Federico Ferrari (per coincidenza ha la medesima età che aveva all'epoca il compositore, 19 anni) lo stesso ha eseguito un suo brano (Rosa n.10) accompagnato al violoncello da Viola Valsecchi. Già dalle prime note si intuiva di avere di fronte un talento.

 Federico Ferrrari

 

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 Federico Ferrari - Foto di Pino Timpani

 

Studia musica da qualche anno al Liceo Musicale Zucchi, in particolare lo strumento pianoforte con cui vorrebbe realizzare il suo più grande desiderio: dedicarsi alla composizione musicale. Per raggiungere questo obbiettivo, come vedremo nella successiva intervista, il giovane non si è risparmiato a caricarsi di impegni e sacrifici, trasferendosi nel terzo anno di frequenza dalla scuola di Vimercate, comoda e vicina ad Ornago, comune di residenza, al Liceo Musicale Zucchi di Monza, dove per arrivare in orario ogni mattina deve salire sul pullman alle 6,50. E' incredibile, ma in una delle più importanti piattaforme produttive d'Europa, i mezzi di trasporto pubblici viaggiano tuttora con notevole arretratezza: per un tragitto di circa 15 km, occorre un'ora di viaggio. 

 

Suonavo già il pianoforte da autodidatta. Il richiamo della musica è stato così potente da farmi cambiare radicalmente indirizzo scolastico 

Federico, esattamente quando è iniziato questo tuo percorso musicale?

In realtà solo da tre anni: prima di trasferirmi al Liceo Zucchi ho frequentato tre anni del Liceo Banfi, il liceo scientifico di Vimercate. Suonavo già il pianoforte da autodidatta. Il richiamo della musica è stato così potente da farmi cambiare radicalmente indirizzo scolastico ed ha avuto impulso dopo aver visto un film, Quasi Amici, con la colonna sonora di Ludovico Einaudi: si tratta di una genere musicale di minimalismo contemporaneo, possiamo anche dire commerciale, ma è un grande punto di riferimento per me. In questa espressività ho colto alcuni concetti interessantissimi, tra cui l'idea di trasformare le immagini in suoni, in un intreccio simbiotico avvolgente. Durante la frequenza del terzo anno ho maturato l'idea di cambiare indirizzo scolastico e ho preso contatto con le scuole musicali. In questo periodo ho scoperto l'esistenza del liceo di Monza, ho avuto alcuni colloqui e alla fine ho deciso di iscrivermi.

La tua missione non era diventare scienziato?

Più che una missione, ho seguito un richiamo interiore. 

Hai fatto il passaggio dopo la frequentazione del biennio, ma così hai perso un anno?

Purtroppo si. Durante la frequentazione del terzo anno ho studiato praticamente il doppio: fino a marzo ho continuato a frequentare lo scientifico. Se avessi proseguito a concludere l'anno, non sarebbe servito ai fini didattici, perché comunque sarei stato ammesso al III° Liceo Musicale. Da marzo in poi e durante l'estate mi sono preparato accuratamente per superare gli esami e recuperare le materie musicali e le altre specifiche non previste nell'indirizzo scientifico. 

Hai perso un anno ma ne è valsa la pena?

Assolutamente si! La mia vita è cambiata completamente e ora è nella prospettiva più consona a realizzare i miei desideri e le mie aspettative. Non sarà facile, ne sono cosciente: so che dovrò impegnarmi, studiare moltissimo e superare ostacoli, ma c'è una determinazione che mi aiuta. Sto spingendo molto nel campo della composizione e andrò avanti a suonare il pianoforte: è uno strumento necessario non solo per la composizione ma in generale per tutta la musica. 

Terminato il liceo cosa farai?

Continuerò a studiare a Milano. 

Al Conservatorio?

No, alla alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado, seguirò il corso di musica per l'immagine, per le colonne sonore dei film. La mia aspirazione è andare successivamente negli Stati Uniti a perfezionare. Ho davanti diversi anni di studio, sono armato di pazienza e pronto ad affrontarli.

E' un lavoro molto professionale?

E' professionale e anche molto difficile. 

Immagino che anche Ennio Morricone sia un tuo punto di riferimento.

Beh, si. Vado a sentirlo il 19 maggio in uno dei probabili ultimi concerti della sua carriera. Ha 91 anni. Lui è uno dei miei principali punti di riferimento, ma lo è anche John Willliams. L'intenzione è diventare un compositore di musica per colonne sonore, ma ho anche l'aspirazione di diventare un compositore concertistico. Quando compongo procedo per immagini. Nei primi pezzi che ho composto l'impostazione si basa a partire da un immagine, da un'esperienza di vita.

La tua musica è strettamente legata alle immagini?

Quando compongo procedo per immagini. Nei primi pezzi che ho composto, ma anche in quelli scritti più di recente, come Porcelain, l'impostazione si basa a partire da un immagine, da un'esperienza di vita. A proposito di concerti e orchestre, il 17 Maggio suonerò con l’orchestra del liceo musicale proprio un nuovo arrangiamento di Porcelain: si chiamerà Il tuo film

Sei appassionato di Cinema?

Sì, ma non ho il mito dei registi. Mi piace l’immagine più che la cultura dei film, una cultura generale del cinema. Sto attento alla cattura dell'immagine, un attimo che può avere un grande valore indipendentemente da chi lo coglie, sia un grande regista che un ragazzo improvvisato. Adoro l'immagine nella sua più genuina semplicità, spogliata da complicanze e nel suo esprimere una naturale sensibilità cromatica. La musica che al giorno d’oggi più si avvicina a interpretare in modo fedele le sensazioni che emettono tali immagini è a mio parere il minimalismo. 

Il riferimento è alla musica minimalista di Philip Glass e Terry Riley o delle avanguardie come John Cage?

Il caso di John Cage è forse esagerato per esprimere il concetto di minimalismo: il suo approccio alla musica è fortemente immerso nello sperimentalismo, pratica che nel corso del ‘900 è  stata spesso da lui intesa come provocazione nei confronti della tradizione musicale europea. Esiste un luogo comune verso il minimalismo che viene considerato troppo semplice se non eseguito da incapaci, quando invece le opere minimaliste sono composte in genere da persone molto colte con diversi diplomi in composizione alle spalle. Per loro il minimalismo è una scelta, il mezzo espressivo per eccellenza.

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Federico Ferrari - Foto di Margherita Carvelli

  

Sei più portato a comporre per la musica acustica o elettronica?

Acustica. Ho il mito della grande orchestra. Preferisco scrivere più sulla carta che non sul computer. Non a caso ho come grandi riferimenti Ennio Morricone e Nino Rota. Purtroppo non è sempre possibile. Dico purtroppo perché il processo creativo tradizionale è certamente più potente, ma è dispendioso, richiede molte risorse economiche e d'altro canto la tecnologia, che si spinge sempre più avanti, viene in soccorso: infatti sto già utilizzando delle Daw (digital audio workstation), sono software che permettono la riproduzione musicale attraverso l'utilizzo del linguaggio MIDI (e non solo). Molte colonne sonore, molta musica contemporanea, da Hans Zimmer in poi, utilizzano il computer con suoni campionati dal vivo. Si inserisce il suono di un volino vero in MIDI (Musical Instrument Digital Interface) e attraverso la partitura si crea una performance. Nei miei lavori sto già utilizzando questa tecnologia per riprodurre l'orchestra che accompagna il pianoforte. Quando è possibile preferisco l'esecuzione acustica: il mio brano Il tuo film che eseguirò al concerto del 17 maggio nel Liceo Zucchi, sarà eseguito con l'orchestra dal vivo.

 

Non è più possibile collaboratore e interagire, nella professione di musicista a cui ambisco, se non si hanno adeguate conoscenze  

Da quanto mi pare di capire in questa conversazione, per te essere musicista coincide con un processo di conoscenza. E' la conoscenza che produce buona musica?

Un tempo senza la cultura e la conoscenza si era al massimo un eccellente strumentista, un esecutore di musica. Oggi non siamo più a questi estremi, perché anche lo strumentista deve obbligatoriamente frequentare scuole e corsi in cui si viene arricchiti da cultura generale. Non è più possibile collaborare e interagire, nella professione di musicista a cui ambisco, nel mondo dello spettacolo, del cinema, del teatro o della danza, se non si hanno adeguate conoscenze. 

Sei interessato anche al teatro oltreché al cinema?

Il 7 giugno, presso il Teatro Manzoni di Monza, suonerò al pianoforte i miei brani in accompagnamento musicale a un musical del saggio annuale di una scuola di danza. Il mondo del teatro è bellissimo: spero in futuro che possa accoppiarsi all'intesse che ho per il cinema e che resta quello principale. Nel teatro, luogo di carica umana reale e immediata, si può esplorare ancora meglio il tema essenziale del mio modo di fare musica, come accennavo prima, dove l'immagine è portante e la musica entra in sinergia con essa in forme espressive semplici, che definisco “minimalismo”, ma non tanto come genere o corrente musicale, ma proprio come modalità comunicativa in se. 

Presumo che in questo tuo concetto rientri un poco l'esempio tardo romantico di Mahler?

Prendo ad esempio il celeberrimo“Adagietto” della sua Quinta sinfonia: non si può parlare di minimalismo, ma la scelta di utilizzare solo la sezione degli archi, con alcuni interventi di un’arpa e riservare all’interno della sinfonia un momento carico di sensibilità, intimità e riflessione, abbandonando le complessità di un organico più ampio, sia il modo più semplice e diretto per far partecipare l’ascoltatore alle stesse emozioni del compositore. In questo senso, l’Adagietto di Mahler potrebbe trovarsi all’apice del mio intendere musica. 

Rosa n.10

 

Qual'è il primo brano che hai composto e pubblicato?

Rosa n.10. Non è il primo in assoluto che ho scritto, ma è il primo a cui sono arrivato con grande passione. Parla di me in una relazione con l’altro, tema ricorrente dei brani che scrivo. Lo spunto è partito da una storia d'amore con una ragazza che non è finita nel modo migliore. Nonostante il pianoforte sia accompagnato da un orchestra d'archi, ho sperimentato per la prima volta l'idea di interpretare le immagini e le emozioni con i suoni, per esempio una lacrima che scende sul viso. Con questo brano ho preso coraggio e ho deciso di esibirmi e di pubblicare video in un canale YouTube. Ho constatato un buon numero di viste e apprezzamenti all'ascolto del brano, non tanto per il brano in se, quanto per quella riuscita trasmissione dell'immagine che vi è contenuta: l'emozione e il calore umano espressi in suoni. Nel secondo brano ho narrato invece di me in forma autobiografica e si intitola Fade, un richiamo al mio nome e al significato della dissolvenza. Qui racconto in musica l'avventura esperienziale successiva a Rosa n.10. Tecnicamente si muove su un idea fissa, una nota ripetuta in cui si sviluppano conseguenzialmente degli accordi che trasportano alla parte centrale e più espressiva, con l'accompagnamento degli archi e di qualche fiato.

Ci parli anche degli altri brani? Per esempio con Evergreen, brano che ho ascoltato in YouTube, ho percepito l'immagine del territorio, degli spazi aperti nel verde dove ci si rigenera con maggiore facilità.

In un certo senso sì, potremmo fare un’analogia tra gli spazi aperti e la speranza. Anche Evergreen è un brano che si lega a Rosa n.10 . Ho provato a ricordarne il tema, scritto nella stesa tonalità, ma cercando di introdurre un’idea di speranza, una proiezione verso il futuro. Evergreen non parla di una delle storie che siamo abituati a sentire, quelle che cominciano e portano ad un lieto o a un tragico fine. Racconta dell’avventura di cui non parla mai nessuno, quella che comincia proprio quando una storia finisce e ti trascina verso nuovi orizzonti, verso nuove mete. Certo, queste mete sono spesso piene di domande, richiedono un’enorme fatica. Ma, dopotutto, il verde è il colore della speranza e la speranza si lega alla ricerca di una rinascita. A proposito di territorio, Evergreen ha accompagnato il video del progetto“Valorizziamoli”, promosso da parte della Fondazione Cariplo e della Cooperativa Sociale Aeris, a favore della ristrutturazione di beni comuni in alcuni territori della Brianza.

 

 Evergreen 

 

Sono seguiti altri brani fino ad arrivare a Porcelain: si tratta di un brano per pianoforte e orchestra in cui il pianoforte non è del tutto protagonista. Porcelain è il nome inglese di porcellana. Il concetto è di esprimere la mia essenza in modo delicato.

 

In che senso delicato?

E' scritto per diversi strumenti: gli archi al completo, alcuni legni, qualche ottone e ultimamente, nella rivisitazione, sto pensando di aggiungere altre percussioni. Il brano vuole trasmettere un'idea di delicatezza e lo fa in un ambiente orchestrale completo e solido, ma in cui i suoni non prevaricano mai nell'irruenza, nel rumore e nella ridondanza. Restano sempre delicati e nello stesso tempo forti. Ho cercato di rendere l’immagine della porcellana attraverso l’uso del pianoforte che diventa nel brano uno strumento come lo può essere il pennello del decoratore di manufatti in porcellana. Qui la decorazione di una porcellana bianca si trasforma grazie all'azione discreta di un pennellino. Il pianoforte non segue un andamento molto diverso dall'orchestra, ma disegna delicatamente linee, colori e forme, proprio come un pennello. La fragilità della porcellana, proposta nel brano, si esprime nella delicatezza, nel modo di condurre la descrizione del profondo del proprio essere, dove la fragilità va trattata con estrema attenzione e cura. Nel brano il “minimalismo”, esalta la delicatezza nella relazione con se e con gli altri: è un modo di comunicare con rispetto la nostra parte più importane e fragile. 


 Porcelain

 

Questo brano sembra riassumere maggiormente la tua concezione della musica?

Penso di si. Gli altri brani parlano del mio passato, delle esperienze emotive, questo va oltre, traccia delle nuove modalità di esplorare ed esprimere un mondo complesso, utilizzando la musica in forma semplice e facile per essere compresa.

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Chiosco del Liceo Zucchi - Foto di Pino Timpani

 

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Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.