20190417 raiz

Intervista al cantante in occasione dell'uscita del nuovo disco con i Radicanto «La nostra musica cerca di dire che abbiamo bisogno di ponti da costruire.»

I Radicanto sono un gruppo barese, il cui nome prende vita dall’idea di unire radici popolari e canto. Parte appunto dalle radici della musica popolare non stereotipata, per evolversi verso la musica d’autore. Hanno iniziato più di venti anni fa, scendendo sul campo per cercarsi le fonti di riferimento e partire soprattutto dal territorio barese che non era stato battuto dai ricercatori, utilizzando il metodo della composizione d’autore. Hanno utilizzato il repertorio della musica tradizionale misto al repertorio squisitamente d’autore, un genere definito “Musica D’Autore Mediterranea”. Hanno pubblicato 16 album, di cui 5 sono colonne sonore. “Raiz”, pseudonimo di Gennaro Della Volpe, è voce del gruppo napoletano di musica underground e dub “Almamegretta”. Nel 2004 pubblica il suo primo album solista “Wop”, interrompendo il rapporto con gli Alma e collaborando con diversi musicisti a livello nazionale e internazionale e facendo anche l’attore. Dopo più di dieci anni torna stabilmente nel gruppo degli “Almamegretta” il quale entro l’anno pubblicherà il nuovo album. Con “Neshama” è il secondo album che pubblica con i “Radicanto”.  Lo abbiamo intervistato per Vorrei.

Come nasce “Neshama”?

È un progetto di musica mediterranea a tutto tondo. Ci divertiamo a mettere insieme cose che sembrano distanti, ma che in realtà hanno un leit motiv molto simile. Canzoni mediterranee di tutte le latitudini a testimonianza di un terreno non solo culturale, ma anche geografico molto omogeneo. Crediamo che il nostro esperimento sia bello e anche edificante, oggi che i confini sembrano sempre più difesi da muri altissimi. La nostra musica cerca di dire che abbiamo bisogno di ponti da costruire. “Neshama” è dedicato agli ebrei sefarditi, che uscirono dalla Spagna nel 1492 e si spersero per tutto il Mediterraneo, Africa del Nord, Francia, Turchia, Iran e Iraq. Noi siamo abituati a fare musica molto spuria, perché la domanda è perché dedicare a una identità molto precisa un disco, cosa avete voluto fare un disco identitario? Io sono ebreo, ma questo è marginale, l’identità dei sefarditi è molto composita, una specie di vaso di pandora, si apre e dentro c’è di tutto, l’ebraico, il latino, l’arabo, ci sono altri dialetti giudeo-francese, giudeo-italiano. Noi abbiamo fatto un esperimento velleitario e ci abbiamo aggiunto anche il napoletano. Altra carne a cuocere. Ci interessa questa identità a campione, oggi ci si inventa la purezza che non esiste. Gli ebrei sefarditi dicevano, noi siamo fatti di tutto, cosmopolitismo a 360 gradi.

Noi ci sentiamo alfieri del cosmopolitismo della cittadinanza mondiale, dell’apertura, dell’antirazzismo, dell’antisemitismo

Un sefardita turco diceva: a casa mia si parla ebreo, latino e francese, cosmopolitismo a tutti gli effetti. Questa identità composita a noi interessa e la prendiamo come campione per la futura umanità, come si diceva una volta, semmai sarà possibile costruirla. I tempi sono molto duri, oggi siamo in un periodo storico difficile, non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, noi ci sentiamo alfieri del cosmopolitismo della cittadinanza mondiale, dell’apertura, dell’antirazzismo, dell’antisemitismo, di tutto quello che è conto la chiusura medioevale. Purtroppo le tendenze alla chiusura sono alte, e noi vogliamo invitarvi ad ascoltare la nostra musica che è apertura, che è aprire il vostro cuore.

 

 

Come nasce il rapporto con i Radicanto?

Nasce per comuni interessi, la musica del Mediterraneo. Ci siamo incontrati sul palco di Teresa De Sio, con la quale collaboravo insieme a Giuseppe De Trizio (fondatore dei Radicanto), più di 15 anni fa, siamo diventati amici e abbiamo iniziato a fare delle cose insieme, prima in maniera sparuta, poi in maniera più organizzata. Ci piace la musica del Mediterraneo e il misterioso connubio tra le sue musiche, per cogliere quel tratto comune e trasmetterlo. È un esperimento musicale, culturale, forse anche un po’ politico, come ho fatto e faccio con gli Almamegretta. Quello di diverse culture che coesistono sul pentagramma, perché non nella vita di tutti i giorni.

La musica deve incontrare le diversità, non escluderle?

Certo, la diversità è una ricchezza, nel senso che uno può decidere di mantenere la propria diversità, a patto che la faccia dialogare con la diversità degli altri. Questo l’ho sempre fatto, intorno poi ci ho messo quello che di artistico so fare.

La musica del Mediterraneo, il suo ritorno mi ricordano gli anni ’70, quando Raffaele Cascone (giornalista, critico musicale e psicoterapeuta, la cui intervista è qui), ha coniato per primo la formula “musica rock del Mediterraneo”. E si riferiva ai Napoli Centrale, Osanna, Pino Daniele, Teresa De So. Quale rapporto c’è con questa musica?

Gli “Almamegretta” hanno preso la staffetta di questi gruppi, un sound contaminato con i neri d’America. L’esperimento con i Radicanto è Mediterraneo puro. Prendiamo il Mediterraneo del Sud Italia e lo facciamo dialogare con gli altri Mediterranei , trovando sempre qualcosa in comune.

Un rapporto quindi con i paesi arabi e africani?

Certo il Mediterraneo è quello. Fondamentalmente siamo esposti, non siamo nemmeno tanti.

Come si inserisce tutto questo oggi con la politica del sovranismo?

Malissimo, i sovranisti vogliono distruggere ogni forma di meticciato. Mi fa tristezza pensare all’idea della purezza a partire dagli anni ’40 e oggi il problema si riaffaccia in maniera aberrante e rivoltante. Un sovranista prende il disco dei Radicanto e si accorge che è il contrario del sovranismo. Il sovranismo non è solo europeo, ma anche arabo e di molti paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Vai a parlare ad un paese arabo di contaminazione. Ti rispondono che questa è terra conquistata con la spada dell’Islam e non può essere ceduto neanche un metro. Non è solo il Nord del mondo ostile, ma anche il Sud. Noi pensiamo che in generale, le porte dovrebbero essere aperte alla cultura, alla contaminazione, alla diversità.

Noi pensiamo che in generale, le porte dovrebbero essere aperte alla cultura, alla contaminazione, alla diversità.

Questo album si chiama “Neshama”, cosa vuol dire?

“Neshama” in ebraico vuol dire anima. Si occupa della musica degli ebrei dei paesi arabi, i sefarditi. Questa dell’anima è la soul music del Mediterraneo.

Tu hai sempre fatto musica dell’anima.

Certo c’è molta musica nera, molta spiritualità laica non riconducibile a una religione organizzata.

 

 

Tu sei un ebreo, come vivi questo rapporto con la questione palestinese? Qualche volta ho letto posizioni critiche nei tuoi confronti.

Io sono per la convivenza e per la coesistenza. Due popoli, due stati. Se sono due popoli e due stati, vuol dire che la Palestina ha diritto di esistere, ma anche Israele ha diritto di esistere e vivere in pace. Mi hanno attaccato quando io ho detto che la guerra si fa in due, ma anche la pace si fa in due. Ci sono alcuni che hanno un punto di vista un poco strano su questo problema.

Pensi veramente che sia realizzabile l’obiettivo due paesi due stati?

Ci vorrebbe molta molta  buona volontà da parte dei contendenti. Chi regge le sorti dei popoli palestinese e israeliano, non li vedo tanto inclini, ci vorrebbe qualcosa che li potesse convincere veramente. Che potesse convincere i palestinesi ad accettare il fatto che Israele esiste, è un vicino con il quale devi avere a che fare ed è inutile far finta che non esiste, o che dovrebbe scomparire per far posto al proprio paese. Ci vorrebbe qualcosa che potesse convincere gli israeliani che è una buona chance per fare la pace e concedere ai palestinesi la possibilità di vivere in quello Stato.

L’arte, la musica, cosa pò fare?

Niente. Può solo parlare alle persone, sensibilizzare. La politica si fa con la politica, io non credo che si faccia con le canzoni.

Dopo più di 10 anni sei tornato con gli “Almamegretta”. Cosa è successo?

È stata una cosa gestita male da tutti quanti noi. Avevamo l’idea di essere un collettivo aperto, poi ognuno faceva quello che voleva, nel momento in cui lo riteneva giusto. Io volevo fare un disco più pop. Gli altri non lo volevano fare, allora l’ho fatto da solo. Gli Almamegretta hanno continuato ad andare avanti da soli, usando delle voci che non erano la sostituzione della mia voce, era un progetto diverso da quello che stavo facendo io. In Italia è tutto così, l’ideale di un collettivo musicale non c’è. Non abbiamo saputo comunicare o abbiamo comunicato male. Quando facevo i dischi solisti e mi facevo accompagnare da alcune band in tour e venivo a Napoli, i componenti dell'Alma, venivano ad ascoltarmi. Non c’è mai stata una interruzione dei rapporti, ma musicalmente per un po’ non abbiamo lavorato insieme. Ad di là della musica, quello che abbiamo costruito è una grande amicizia, indistruttibile.

Questo ritorno perché?

Dovevamo fare la colonna sonora del film di John Turturro, “Passione” (film-doc-musicale uscito nelle sale nell’ottobre del 2010) e registrammo il brano “Nun te scurdà”, perché il master originale era difficile da ottenere. In quella occasione, proposi al gruppo di fare un disco insieme, avevamo già qualche idea, ma in maniera naturale e senza forzature, abbiamo iniziato a lavorare. Stiamo preparando un nuovo disco che uscirà quest’anno, sarà molto dub, parlerà come tema di ecologia e sostenibilità, della civiltà umana sul pianeta, insomma sarà un disco un po’ filosofico.

 

 

Com’è il rapporto con i giovani?

Noi abbiamo dei fan fondamentalmente della nostra età, dai 35, 40 anni in su. Ma ci ritroviamo un sacco di giovani che hanno ascoltato i dischi dai genitori o dai parenti e questo è meraviglioso. Ma è difficile il rapporto con loro. Mentre noi eravamo abbastanza simili ai nostri genitori, oggi i nostri figli, sono molto diversi da noi, perché la generazione attuale, con le nuove tecnologie ha aumentato le distanze. Per esempio io avevo i miei dischi a casa, la stessa cosa aveva mio padre. Mio figlio oggi non ha dischi, ma una pennetta con molta musica dentro ed è questo che ci differenzia, sembra uguale, ma è diverso.

Quale rapporto ha con la tecnologia?

Il rapporto è molto buono, con gli iPod, gli smart e i computer. Sono strumenti importanti per la comunicazione. Esiste una vita reale in cui quasi non ci si parla e una vita virtuale, quella dei social, in cui ci si fa la guerra, ci si insulta, insomma i social non sono il mio forte.

Qual è il tuo giudizio sullo stato della musica in Italia?

Si parla di cose interessanti, ma bisogna pescare di più nell’underground , in particolare nell’Indie, certo ci sono gruppi poco conosciuti, le major fanno cose solo commerciali. Per esempio a “X factor” ci sono cantanti interessanti che lavorano ben, ma che debbano passare da quell’imbuto è molto frustrante.

Cosa puoi dire ai giovani che si avvicinano all’arte, alla musica in particolare?

Fate sempre quello che volete fare, non pensate sempre alle visualizzazioni, alle tentazioni del mercato. Se noi siamo riusciti a fare delle cose, non eravamo condizionati, se non dai nostri gusti. Quindi partire con la propria testa, con la vostra libertà artistica e trovare i canali giusti per farlo. Noi siamo stati gli ultimi che abbiamo trovato il canale tradizionale, il discografico che sceglieva il disco e poi faceva il tour. Oggi è molto più difficile, ma ci sono dei piccoli circuiti indipendenti, con i quali si può fare musica andando in giro, ma bisogna avere delle belle idee.

Hai fatto tante collaborazioni con altrettanti musicisti, per aprirti a nuove esperienze. Ma in Italia non c’è questa cultura di apertura verso le collaborazioni. Cosa ne pensi?

Ma in alcuni ambiti c’è collaborazione, nell’underground ad esempio c’è sempre stata. Noi abbiamo fatto tutto con tutti e questo mi ha dato molto. Mi ha fatto conoscere maestri dai quali ho preso molto e ai quali ho regalato qualcosa del mio piccolo.

Mi auguro di incontrarti agli eventi di Time Zones, che sono molto sperimentali. Quanto conta la musica sperimentale?

Conta molto. Noi ad esempio abbiamo inventato un genere, il Dub Mediterraneo, certo prendevamo molto dai nostri illustri predecessori, James Senese, Pino Daniele, che  mettevano insieme la musica afro-jazz-rock americana, con quella napoletana, noi l’abbiamo fatto con il dub. Senza l’idea ad aprirsi, sperimentare, non è possibile. Come in cucina, ci sono ricette tradizionali che sono buonissime, ma se uno vuole fare lo chef, deve inventarsi cose nuove e deve provarle, magari può venir fuori che è uno schifo, ma ci possono essere cose buone, insomma bisogna provare, sperimentare.

Gli autori di Vorrei
Michele Lospalluto
Michele Lospalluto
Speaker e giornalista di Radio Regio di Altamura. Appassionato di musica rock, blues, jazz, etnica, d'autore e sperimentale.