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Com’è noto, negli ultimi decenni le disuguaglianze hanno fatto registrare un aumento continuo, apparentemente inarrestabile

 

Molti sono gli studi sulle cause di questa tendenza, che ha avuto inizio negli anni 80 del secolo scorso, e le proposte per invertirla. Ma questi studi e proposte tardano ad essere tradotti in azione da parte dei vertici politici, anche di sinistra. La causa principale di questa riluttanza sembra consistere nel timore degli esponenti politici di porsi in contrasto con un’opinione pubblica soggetta a vecchie ideologie, preconcetti e disinformazione, e nella mancanza di leadership capaci di smentire le relative narrazioni. Tra queste narrazioni è frequente il collegamento che i mass media stabiliscono tra disuguaglianza e povertà da una parte e le ingenti ricchezze dei maggiori protagonisti della rivoluzione digitale, le cui "corporation" hanno sostituito ai vertici delle quotazioni di borsa le sette sorelle del petrolio e le grandi marche automobilistiche: come Mark Zuckerberg con Facebook, Bill Gates con Microsoft, Jeff Bezos con Amazon, Tim Cook, e prima di lui Steve Jobs, il fondatore scomparso, con Apple.

 

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Molti denunciano gli effetti negativi per i mercati, e addirittura per la democrazia, dei comportamenti delle aziende di questi personaggi: il loro costituire monopoli lesivi della libera concorrenza (ad esempio con l’acquisto di brevetti o aziende avversarie); le loro pratiche fiscali elusive, approfittando della competizione al ribasso  praticata dai diversi paesi nella tassazione  delle imprese; lo scambio asimmetrico e iniquo tra i servizi che  esse forniscono ai clienti/utenti, spesso gratuitamente, in cambio di dati personali di ben superiore valore commerciale; il diventare depositari di enormi masse di dati che consentono di “profilare” e condizionare le scelte di ogni persona; l’acquisizione di un enorme potere comunicativo che potrebbe essere usato contro i regimi democratici. Tutte critiche ineccepibili, che esigono la messa in atto da parte degli stati di azioni per contrastare e regolare i loro comportamenti.

Ma occorre anche considerare il fatto che la nascita e  crescita di questi colossi digitali, che hanno generato addirittura una terza rivoluzione tecnologica, sono dovute  a una eccezionale combinazione tra creatività e fortuna (Machiavelli docet). E che le prospettive positive di questa rivoluzione (si pensi solo alle possibilità di acquisire conoscenze immediate e di comunicare senza confini e spostamenti fisici, possibilità che la crisi Covid-19 ha fatto esplodere) sono oggi solo agli albori.

Inoltre, è noto che almeno in parte i protagonisti del cambiamento non hanno mostrato di voler usare le loro innovazioni per impadronirsi di un potere incontrollato. Quando le loro creature sono divenute strumenti di pratiche inaccettabili (fake news, linciaggi verbali, turpiloqui, truffe, …), si sono adoperati per assicurarne il buon uso, pur riuscendoci solo parzialmente. Ma soprattutto si sono fatti promotori di iniziative che vanno al di là del classico “scarico di coscienza dei baroni ladri” di una volta. Zuckenberg è arrivato a proporre, con una buona dose di ingenuità e utopismo, un manifesto in cui  Facebook avrebbe svolto la  funzione di una “infrastruttura sociale” per la collaborazione tra tutti gli esseri umani nella lotta contro i grandi problemi globali, dal terrorismo al cambiamento climatico alla lotta alle malattie e alla povertà, e come uno strumento di progresso della democrazia. Quanto a Bill Gates con la moglie Melinda, insieme a Warren Buffett, un investitore a sua volta ai vertici delle ricchezze del pianeta, hanno promosso la più grande fondazione assistenziale del mondo, dotata di oltre 50 miliardi di dollari, destinati a migliorare l'assistenza sanitaria e ridurre la povertà estrema in diversi paesi e, negli Stati Uniti, a espandere le opportunità educative e l'accesso alle tecnologie dell’informazione dei meno abbienti. Ed è di ieri la notizia che la fondazione contribuirà ai programmi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Unione Europea per finanziare l’acquisto e la distribuzione del vaccino anti-Covid 19 nel sud del mondo. Voler disconoscere queste azioni, o considerarle come strumentali al predominio economico e politico, è un preconcetto malvagio non sostenuto da prove. Peggio, l’instillare nell’opinione pubblica sospetti sulla sincerità e buona volontà che ispirano questi comportamenti, insieme alla disinformazione, fa pensare a un obiettivo deliberato di ostacolare la realizzazione di un mondo più equo e solidale. L’analogia con la delegittimazione delle ONG impegnate a salvare dal naufragio i migranti sui barconi nel Mediterraneo è evidente, pur tenendo conto delle differenze.

 

This picture shows the logo of US online retail giant Amazon at the distribution center in Moenchengladbach, western Germany, on December 17, 2019. (Photo by INA FASSBENDER / AFP) (Photo by INA FASSBENDER/AFP via Getty Images)

 

Come ho avuto occasione di rilevare, eventi recenti hanno testimoniato un cambiamento di una parte dei ceti più ricchi verso una maggiore consapevolezza del fatto che i propri interessi nel gioco del mercato non sono in contraddizione, ma anzi posso trarre vantaggio da una maggiore assunzione di responsabilità sociale. La Business Roundtable, una associazione internazionale di miliardari , ha formalizzato in una dichiarazione pubblica il principio secondo cui l’obiettivo principale delle imprese non deve essere  “il profitto dell’azionista”, dello shareholder, bensì il valore aggiunto di tutti gli stakeholder dell’impresa, dai fornitori ai dipendenti, ai clienti, alla collettività in cui opera l’impresa. E addirittura un influente sodalizio di associazioni denominato “Millionnaires for Humanity Project” ha invitato i proprietari di ingenti ricchezze a firmare una lettera ai governi in cui si esprima la disponibilità ad essere tassati maggiormente.

Questi nuovi orientamenti non sono frutto di una sopravvenuta generosità, ma di una nuova consapevolezza e un interesse a ridurre disuguaglianze e povertà crescenti, in quanto potenziali elementi dirompenti della stabilità politica ed economica globale.

Colpisce la coincidenza di questi nuovi orientamenti con il dettato dell’art. 41 della nostra Costituzione, secondo cui «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Questo articolo, a lungo criticato dai sostenitori del liberismo economico come un cedimento all’ideologia marxista imposto dal partito comunista, conferma oggi la lungimiranza dei padri fondatori della nostra Repubblica.

Tutto questo discorso non costituisce, ovviamente, una “difesa dei ricchi”. E’ un invito a distinguere, a non accomunare forze economiche potenzialmente interessate a una convivenza sociale equa e collaborativa, con altre forze che al contrario prosperano sulle disuguaglianze e  sui conflitti. Per usare una efficace espressione della lingua inglese, è un invito a evitare un  “barking up the wrong tree”, un abbaiare all’albero sbagliato.

Certo, distinguere non è facile, per le contraddizioni “dostoewskiane” che caratterizzano anche gli attori economici. Lo abbiamo visto con i protagonisti della rivoluzione digitale. Ma anche da noi esistono esempi significativi: si pensi al gruppo Benetton, le cui attività originarie nel settore tessile davano veridicità all'immagine di sostenitori dell’uguaglianza tra persone di diverso colore, immagine oggi stravolta a causa dei comportamenti predatori praticati nelle concessioni autostradali.

 

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Foto di Elisabetta Raimondi

 

Ma occorre comunque riuscire a distinguere tra chi è disponibile, magari contraddittoriamente, ad appoggiare politiche miranti ad obiettivi fondamentali come la riduzione delle disuguaglianze, uno sviluppo compatibile con la tutela ambientale, l’elevazione culturale delle popolazioni, e chi al contrario ostacola il conseguimento di questi obiettivi. Tra coloro che considerano giusto e utile migliorare le condizioni di vita dei meno abbienti in vista di una convivenza pacifica, e coloro che al contrario alimentano e praticano la teoria, rivelatasi fallace, secondo cui favorendo i ceti più ricchi (spacciati indiscriminatamente come i più produttivi) si otterrebbe "per sgocciolamento” (thrickle down) il benessere di tutti. Per usare l’espressione  di un personaggio che di queste cose se ne intendeva, Cesare Romiti, occorre distinguere tra “poteri forti” e “poteri oscuri”, alla fine tra poteri che prosperano nella pace e poteri che prosperano nel disordine e nella guerra.
Si può vincere? La recente vittoria di Joe Biden su Donald Trump è rivelatrice: una vittoria che rivela la forza persistente degli interessi da battere, ma che comunque è stata conseguita anche grazie agli ingenti finanziamenti che Joe Biden è riuscito a raccogliere per la sua campagna elettorale, superiori a quelli dell’avversario.

 

Ora si vedrà se il cambio della guardia al vertice degli USA e il nuovo corso dell’Unione Europea, che sembra preludere a una maggiore unità e solidarietà politica, daranno i loro frutti. Molto si giocherà sulle politiche fiscali, che dovrebbero essere coordinate a livello internazionale e che dovrebbero essere orientate verso una maggiore progressività e un maggiore contributo richiesto ai ceti più ricchi. Il che significa anche imposte sul patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni.

A questo scopo ccorre smontare la percezione diffusa ad arte che queste tasse vadano a colpire chiunque abbia un piccolo patrimonio e po’ di soldi da parte, come la proprietà di un’abitazione e un conto corrente. Occorre far capire che si tratterà di chiedere un equo contributo solo ai maggiori “decili” della popolazione, diciamo il 20%, nei quali si concentra ben più della metà dei redditi e delle ricchezze globali.

A questo proposito vi sono due proposte che mi sembrano interessanti, e che seguono il criterio adottato per il fondo MES, vincolato ad interventi per la sanità: destinare i gettiti delle imposte patrimoniali alla diffusione dell'istruzione, e i gettiti delle tasse sulle successioni e donazioni dei ceti più ricchi a una “eredità” universale, condivisa tra tutti i giovani che compiono vent’anni.

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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