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Quante definizioni si possono dare alla cultura? cosa intendiamo per la sua valorizzazione? Nell'episodio 5 rispondono Federica Boràgina, Dome Bulfaro, Bianca Trevisan, Alessandra Scarazzato, Ezio Rovida e Massimo Pirotta

La cultura sembra essere tornata al centro dell'interesse di tutti, ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di cultura? che cosa abbiamo in mente quando invochiamo la sua valorizzazione? E cosa non è cultura? Lo abbiamo chiesto a molte personalità attraverso 4 domande secche. Questo è il quinto episodio, qui la raccolta. Buona lettura.

  1. Una sua definizione, personale, della cultura.
  2. Cosa non è cultura?
  3. Qual è la funzione del patrimonio culturale?
  4. Cosa vuol dire, per lei, valorizzare il patrimonio culturale?

 

Federica Boràgina, boîte

  1. Per capire cosa significa cultura mi sono sempre riferita alla sua radice etimologica. Cultus, e quindi una coltivazione di cui prendersi cura. Credo voglia dire questo: una semina che non dà mai dei risultati definitivi ma è in continuo divenire.
  2. la cultura non è informazione. O nozionismo accademico.
  3. La funzione del patrimonio culturale è identitaria, sia per chi si occupa di cultura a livello professionale, ma anche per tutti i cittadini.
  4. Promozione equivale a educazione, in qualsiasi fascia di età, facendo riferimento al concetto di educazione permanente, quanto mai appropriato nell'epoca in cui viviamo.

 

Dome Bulfaro, poeta

  1. La cultura è una lama affilata, che nella storia dell'uomo, si è affermata in particolare in due forme di lame: la lama dell'aratro e la lama della lingua. L'uomo è il frutto della natura più culturale che ad oggi si conosca. Se questa domanda si riferisce all'uomo, non c'è nulla nell'uomo (tra ciò che l'uomo sa di sé) che possa definirsi "non culturale". Tutal più nell'uomo possiamo, approssimativamente, distinguere (non separare) una buona cultura da una cattiva cultura. In generale una buona cultura è quella che indica il limite per incontrarsi, mentre la cattiva cultura indica un confine, superato il quale inizia lo scontrarsi. La buona cultura è dialogica, la cattiva cultura invece ama strusciarsi a braccetto con la negligenza.
  2. C'è chi usa la lama della cultura per smuovere il terreno e conservarlo sempre fertile alla semina e c'è chi, erroneamente, maneggia quella stessa lama per tenere a distanza le altre culture. Il contadino sapiente ara il campo per creare un raccolto altrettanto sapiente da condividere con discernimento, i bifolchi spacciano per raccolto sapiente i loro frutti smunti e insipidi: privi cioè di quel sapore-sapere che è la ragione prima di una qualsiasi opera che possa dirsi di buona cultura. Spesso questi bifolchi, con la faccia da imbonitori della domenica, li riconosci perché ti propinano il miraggio dell'acqua spacciandotela per acqua vera e sana. Si distinguono facilmente come "operatori" parvenus, perché con le proprie mani non hanno mai scavato una solo canale d'irrigazione. Vantano un credito culturale esclusivamente perché hanno un potere contrattuale politico o economico. Esaurito quel potere, all'istante, anche il loro tronfio credito si sgonfia come il pernacchio di un palloncino.
  3. Il patrimonio culturale, se non vogliamo che diventi simbolo di decadenza e distruzione, non va tenuto nascosto sotto la piastrella in attesa che i topi se lo mangino. Il patrimonio culturale, individuale o di un popolo, per essere tale va trattato per ciò che è: una ricchezza straordinaria che alimenta l'ordinario non solo dell'uomo; deve essere un nutrimento essenziale, ben dosato, per continuare il nostro cammino evolutivo intraculturale ed interculturale, vale a dire quel cammino di cucitura in sé e con l'altro da sé, che non rimuove nessuno dei nostri strappi, specie quello sbrego che può farsi sempre più profondo: noi stessi siamo un risultato culturale infilzato tra cielo e terra; noi stessi siamo una lama sempre più affilata, e quindi sempre più precisa nel portare l'affondo tra il bene e il male.
  4. Il primo patrimonio culturale siamo noi, ognuno di noi. Sappiamo bene che lasciare crescere la gramigna nel campo significa che ti resterà presto ben poco da coltivare. La cultura o è un'opportunità di mutamento armonico, in cui l'uomo è solo una parte, o altrimenti rischia di trasformarsi in una sovrastruttura, talmente ingombrante, da precluderci qualunque fluida trascesa del nostro leggerci in filigrana. Abbiamo una ricchezza di suoni combinati in una miriade di parole e ordinati in una moltitudine di lingue per nominare, conoscere e riconoscere il mondo: usiamole tutte queste parole e tutte queste nostre lingue non per escludere ma per comprenderci fino in fondo ed oltre, oltre questo nostro piccolo caleidoscopico infinito, infinitamente grande e variopinto come una biglia.

 

Bianca Trevisan, storica dell’arte contemporanea

  1. La cultura è il punto di partenza per qualsiasi possibilità di cambiamento. Dalla cultura parte la scelta consapevole e, di conseguenza, la libertà.
  2. Non è cultura ciò che non è in grado di parlare agli altri. Non è cultura la narcisistica celebrazione di se stessi.
  3. Il patrimonio culturale è il primo strumento di conoscenza per il cittadino. Attraverso di esso nasce il senso di appartenenza alla comunità.
  4. Valorizzare il patrimonio culturale significa: cura, perché il tempo non lo sbiadisca; potenziamento del suo valore estetico, perché fruendolo si possa goderne; studio e promozione, perché le sue ragioni non vadano perdute.

 

Alessandra Scarazzato, operatrice culturale

  1. È il complesso di conoscenze e competenze acquisite attraverso l’educazione permanente, l’esempio, il confronto con gli altri che ci fa più ricchi.
  2. Non dovrebbe essere un lusso. Tutto è cultura, tranne l'ignoranza.
  3. Il patrimonio culturale è la base dell'acquisizione di conoscenze e abilità che ci rendono cittadini attivi, della crescita sociale ed è fattore di sviluppo locale.
  4. Contribuire alla sua conoscenza, scoperta-riscoperta, fruizione consapevole, creazione di nuove esperienze di godimento e conservazione preventiva. Si tratta di una responsabilità della collettività e del singolo.

 

Ezio Rovida, docente e storico

  1. La cultura è la capacità di indagare la realtà attraverso un sistema di conoscenze consolidate mediante lo studio e l’esperienza.
  2. La principale forma di non cultura deriva dalla mancanza di interesse per il mondo circostante e dalla concezione egoistica dell’interesse personale. A questo si somma la normale dose di stupidità umana.
  3. Il patrimonio culturale è l’insieme delle esperienze umane positive accumulate in ogni campo della conoscenza, oltre che nel territorio e nell’ambiente E’ la memoria del mondo, un gran libro aperto per chi sa e vuole leggerlo.
  4. Valorizzare il patrimonio culturale è prima di tutto evitare che venga distrutto, cosa che avviene continuamente attraverso l’usura del tempo e delle azioni umane. Per farlo bisogna fornire continuamente strumenti per la sua lettura e favorire le attività critiche, creative e innovative.

 

Massimo Pirotta, libraio e giornalista musicale

  1. È una parola che va usata al plurale. Anche perché se due sguardi sono opposti, sono entrambi espressioni di intendere e volere. E’ anche una parola che con molta miopia è erroneamente abbinata agli emisferi artistici (letteratura, cinema, musica, teatro, architettura, ecc.). Ma anche l’operare di un idraulico, un operaio, una casalinga, un’infermiera lo sono. Perché è soprattutto grazie ai loro saperi che possono esercitare queste professioni. Le culture sono sogni e incubi che si propagano nell’immaginario, nel virtuale ma anche nel reale. Sono espressioni culturali chi conserva nei propri cassetti tappi di bottiglia come chi decide di passare la domenica a giocare alla “guerra simulata”, sono culture chi decide di spendersi nel variegato mondo del volontariato come chi parcheggia la macchina in doppia fila. Anche quando si va a fare la spesa è un piccolo evento culturale. Che poi interessi solo ai commensali di turno, poco importa. Tutto fa brodo. Se calco la mano, penso che siamo vittime più o meno consapevoli di una menzogna pluri-secolare. Siamo sicuri che il genere umano è buono? Non credo che la sua maggioranza, umana lo sia veramente. E’ la storia a fornire prove inconfutabili: guerre, genocidi, atrocità assortite…. Chi ha subito, ma anche chi l’ha voluto! Mettiamola così: di sicuro è opportunista e cinica e quando deborda è disumana. Religioni, ideologie, mitologie trasformate in reticoli mentali. Si fa questo “in nome di” e il fine giustifica i mezzi. Bella roba e che mezzi! E quando si sproloquia di società civile, significa che ne esiste una incivile, o no? La stessa cultura di Stato è ambigua. Perché più che a insegnarti a condividere regole, ti costringe a rispettare leggi (la loro legge). Così come sono terrificanti dittature e il pensiero unico, anche la cosiddetta democrazia è imperfetta. Non può essere altrimenti. Perché? Semplice: si basa su una maggioranza e su una minoranza, mai sull’unanimità. Al pensiero libertario, utopico (cioè non succederà mai ?!?!) tutte le critiche e i sorrisini che volete. Ma sfido chiunque a dimostrare che è un’ipotesi fuori tempo massimo (ieri, oggi, domani). Poi, esistono le noiose diatribe tra culture “alte” e “basse”. Chi decide e per chi? Le culture sono fonti di emozioni, ecco perché sono querelle sul nulla. Nell’oggi del mercato delle armi, dell’abbondante uso di psicofarmaci, di guerrieri con lo smartphone, delle carestie, delle mafie e delle “pluridecorate” ingiustizie sociali, se vogliamo discutere di culture, mi viene in mente solo una cosa. Che potrebbe essere la vera scommessa futura e da vincere: quella di fare camminare insieme milioni di solitudini che popolano il pianeta
  2. Penso nulla. E’ un termine talmente totale che attraversa tutte le forme di vita esistenti.
  3. Certamente, il suo essere multifunzionale. Nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nell’essere legame tra passato, presente e futuro. Mentre il primo è stato e il secondo è in corso, il terzo è ancora tutto da decifrare. Sarebbe utile partecipare più che delegare, essere fonte di nomadismi cognitivi, fare abbondante uso del lavoro d’inchiesta, di sapere ascoltare più che di blaterale (e al diavolo tutti i tuttologi che appaiono in tv, dicono la propria, ma non sanno né di dati né di date). E’ una strada tutta in salita. Che però nessuno deve vietare di percorrere.
  4. Quando si pensa alle tradizioni, si ha in testa che esse siano vissuti  ancorati al tempo che fu. E’ vero il contrario: le tradizioni sono in perenne mutamento e movimento. E sono sempre legate ai contesti socio-politici che le circondano. E’ anche qui una storia di sguardi, come nel cinema. Va anche detto, che in Italia abbiamo a che fare con assessori (di centro-destra come di centro-sinistra) che ricoprono questi incarichi in quanto pedine dei partiti. Hanno scarsa conoscenze in materia, vedono tutto come costo e non come fonte di emancipazione per gli individui. Finanziano eventi “massificati” perché sono elementi consoni ad una loro eventuale prossima elezione. E sono avari nell’appoggiare realtà di base che si muovono quotidianamente nel territorio. E tutto (quel che poco che c’è) è inglobato  nella stagione estiva. E’ un fattore che mi sorridere. E’ una questione di metodo, di linguaggi, di luoghi comuni. Come quando senti dire “oggi c’è brutto tempo” perché piove. Ma la pioggia è necessaria, provate a vivere in siccità e ditemi. Ma non bisogna mai generalizzare, esistono situazioni che si muovono bene. Ma sono minoranze, anche molto attive, ma sempre minoranze. E veniamo all’Expo. Nessuna prevenzione a priori, ma non ci vuole molto ad intuire che sarà una kermesse con centinaia di contraddizioni. Si dice che è un’occasione per dibattere di come “nutrire il pianeta”, si dà una parvenza “glocal”, ma se a prevalere saranno il conteggio dei biglietti strappati, i fatturati più che le questioni etiche (alimentazione, eco-sistema, produzione, lavoro, tempo liberato, una più equa distribuzione dei beni della Terra e non solo), sarà l’ennesima bolla di sapone. E ci sono tutte le premesse: tutti quei posti di lavoro promessi non ci sono stati, si fa uso di volontari (perché fa curriculum?) in un gioco a scacchi in cui ci sono le multinazionali. Si è scelta una locazione che certamente non è delle più felici. Nessuna certezza dell’utilizzo dei padiglioni a Expo conclusa. Molti verranno abbattuti, abbandonati, lasciati lì…. che senso ha? E poi: un dubbio mi attanaglia da mesi, e spero di avere torto marcio. Nel Paese in cui le morti bianche sono all’ordine del giorno, non ho mai letto o saputo di incidenti nelle fasi preparatorie dell’Expo. Proprio quando i turni di lavoro sono serrati, faticosi, massacranti, perché tutto deve essere pronto allo scattare dell’ora X (ma non sarà così). Strano o sono io troppo sospettoso? Cosa faccio? Non posso che stare con quanto scritto nel voluminoso e bellissimo libro “Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile” di Naomi Klein e con tutti quei segnali di contro-tendenza che si stanno materializzando. Vorrà pure dire qualcosa che in vetta alle classifiche di vendita dei libri ci sia “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli (non tutti sanno che fu uno degli animatori di “Radio Alice”, l’emittente del Movimento bolognese del ’77) e ne approfitto per dire un’altra cosa. Nei primi giorni di maggio verrà pronto un altro interessante libro. Lo pubblica Agenzia X e si intitola “Re/search Milano. Mappa di una città a pezzi”. Una guida ipertestuale dedicata alla Milano meno conosciuta. La Milano dei luoghi che produce cultura indipendente e che sperimenta ogni giorno nuove forme di socialità e partecipazione. Un “viaggio” erratico attraverso la metropoli (le sue cinture e periferie) e che vede i contributi di scrittori, saggisti, musicisti, artisti, registi, giornalisti, gente che opera nei quartieri e nell’associazionismo socio-culturale. Più di 120 contributi, tra i quali, quelli di Dario Fo, Aldo Nove, Marco Philopat, Marina Spada, Alessandro Bertante, Federico Dragogna (Ministri), Enrico Gabrielli (Calibro 35), Manuel Agnelli (Afterhours), Mauro Pagani, Giulia Cavaliere, Gianni Biondillo, Matteo Guarnaccia, Andrea Scarabelli, Matteo Speroni, Sergio Bologna, Nicola Del Corno, Giovanni Bai, Livia Satriano ecc ecc. Ci saranno anche due miei interventi “musical-ironici, da tavolata” (ah…ah….) inseriti in una topografia di percorsi tra psiche, collegamenti, casualità e segnaletiche “spinte”. Un libro con più angolature e più sfumature per la condivisione dei saperi. Perché la posta in gioco non è tanto il resistere, resistere, resistere ma l’esistere, esistere, esistere.

 

Nell'immagine un dettaglio di Rissa in galleria di Umberto Boccioni (1910, Pinacoteca di Brera, Milano)