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Speciale 70° della Liberazione. Intervista ad Andrea Bienati, storico e ricercatore sul tema delle Deportazioni presso istituti di ricerca israeliani e polacchi, in vista della sua conferenza sul tema di venerdì 13 marzo a Besana in Brianza

Il titolo della conferenza che terrà è "Dall’inchiostro al sangue": qual è la connessione tra i due termini?
Quando ci si avvicina allo studio e all'analisi degli eventi legati alla Memoria della Shoah e delle deportazioni è importante riflettere sul fatto che ebbero inizio dalle parole della propaganda e delle leggi. Il sangue delle vittime sgorgò dall'inchiostro usato dal regime nazionalsocialista e dei suoi Alleati in una capillare e costante azione di svilimento dell'altro a "diverso" e in tempo di guerra a "nemico". L'allontanamento dalla vita pubblica, la spoliazione dei diritti, la segregazione, la deportazione e lo sterminio furono azioni criminali, ma non reati per le leggi del Reich e degli Stati suoi alleati. Quando si parla di "crimine" s'intende un atto che è contrario alla coscienza del singolo, mentre il "reato" è ció che è contrario alla legge e come tale da questa sanzionato. Una delle caratteristiche del crimine nazifascista risiede proprio nel suo essere sempre ammantato come legale dalle leggi degli Stati che lo perpetrarono.

 

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Immagine tratta (come le seguenti) dall'Archivio Privato Famiglia Bienati (APFB)

 

Come può essere letta e spiegata l’indifferenza da parte della popolazione civile verso le deportazioni, storicamente (e oggi)?
L'indifferenza dinanzi ai piccoli mutamenti quotidiani nel concetto di "cittadino" fu il terreno fertile nel quale crebbe il fenomeno delle deportazioni razzista e politica. Certo, in tempo di guerra egoismi e l'istinto di sopravvivenza aiutarono a distogliere lo sguardo dalle sofferenze altrui, ma già in tempo di pace la fitta campagna di propaganda di odio e leggi repressive trovò per paura, connivenza o indifferenza solamente poche persone che scelsero di opporvisi. Talvolta anche oggi, in un periodo di crisi e sentimenti "mediatizzati", siamo dinanzi a un abbassamento progressivo della soglia di sopportazione del dolore proprio, mentre si è innalzata quella rivolta al dolore altrui, nel quale l'indifferenza è solo in qualche caso scalfita dalla visione della vittima.

 

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Per molto tempo si è scelto di proiettare l'ombra oscura della deportazione solo sulla Germania nazionalsocialista

Quando si parla di deportazioni solitamente le si associa al Nazismo tedesco, nascondendosi dietro il mito degli “Italiani brava gente”. Quale ruolo ha avuto invece l’Italia in questo processo?
Per molto tempo si è scelto di proiettare l'ombra oscura della deportazione solo sulla Germania nazionalsocialista. Le deportazioni dall'Italia coinvolsero differenti categorie di persone: dal 1943 verso il campo di sterminio di Birkenau Italiani ebrei, diventati dopo le leggi del '38 ebrei italiani; verso i campi di concentramento: gli operai delle fabbriche che parteciparono agli scioperi del marzo '44, i partigiani e gli oppositori politici, i soldati che dopo l'8 settembre '43 non optarono per continuare a combattere a fianco dell'ex alleato tedesco. L'Italia del Ventennio e quella della Repubblica Sociale costellarono la quotidianità con un sistema di norme e incentivi che consentirono a milioni di cittadini d'ignorare il destino "dell'altro", per paura, convenienza o connivenza. Accanto a questo apparato burocratico, legislativo, politico e di propaganda vi fu anche la creazione ex lege di campi di concentramento (in base al Decr. 439 il 4 settembre '40 vennero istituiti i primi 43 campi d'internamento) e la collaborazione operosa di coloro i quali effettuarono i rastrellamenti nella R.S.I. o funsero da delatori prezzolati o caricarono sui convogli diretti verso l'universo concentrazionario nazionalsocialista. Analizzando la via italiana per la Shoah, sarebbe riduttivo pensare al ruolo del governo italiano come mero subordinato al volere del l'alleato tedesco. In breve tempo la legislazione razzista raggiunse i picchi di quella della Germania nazionalsocialista fino ad anticiparla nell'espulsione degli studenti ebrei dalle scuole, per giungere alla piena compartecipazione alla logistica per lo sterminio riscontrata nei fatti durante la R.S.I.

 

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parlare delle deportazioni ci porta a riflettere su chi sia il "buon cittadino"

Perché, a suo parere, è ancora importante oggi parlare del tema delle deportazioni?
Perché uno Stato come l'Italia non ha ancora fatto pienamente coscienza di un periodo orribile della propria storia, trovando spesso conforto nell'imputarlo al comportamento de "l'alleato scomodo/nemico non per tutti" tedesco. Spesso si cerca ancora di dimenticare il ruolo dei conniventi, degl'indifferenti e paradossalmente anche gli esempi di coloro che si opposero alle ingiustizie criminali fatte ex lege. Ecco, parlare delle deportazioni ci porta a riflettere su chi sia il "buon cittadino": se chi sceglie di osservare una legge o di obbedire a un ordine  anche quando comporti un danno a dei cittadini incolpevoli, se chi sceglie di non agire o se chi sceglie di disobbedire. Coloro i quali sono oggi insigniti del titolo di "Giusto tra le Nazioni" misero a repentaglio la propria vita, gratuitamente per salvare un cittadino definito ebreo dalle leggi razziste. Costoro scelsero di disobbedire a leggi che ratificavano e innalzavano a comportamento virtuoso la caccia all'ebreo e il suo sterminio.

Chi volesse approfondire il discorso può partecipare alla conferenza che Andrea Bienati terrà venerdì 13 marzo alle 21 a Besana in Brianza, presso Villa Filippini.
Di seguito il volantino della conferenza, con tutte le informazioni

 

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Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.