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Intervista alla band brianzola in occasione dell'uscita del loro secondo disco, tra ricerca di nuove soluzioni musicali e una critica all'uso distorto del web 2.0

La prima cosa che vi chiederei è una breve presentazione dei Decabox: chi siete e da dove venite?

Noi Decabox siamo cresciuti tra l’hinterland milanese la Brianza. La formazione, ormai stabile da cinque anni, è: Davide “Rive” Rivetta (voce e chitarra), Jacopo Giuliano (basso e cori), Claudio Rubicondo (chitarre cori) e Dario Borsati (batteria).

“#dissocialnetwork” è il vostro secondo disco dopo “L’uomo biodegradabile”, uscito circa tre anni fa. Quali sono le differenze principali tra questo disco e il precedente e quali invece i punti fermi della vostra produzione?

Ci sono delle differenze sostanziali: il primo album “L’uomo biodegradabile”, realizzato con la collaborazione tecnico/artistica di Frank Altare, si è concretizzato in maniera molto spontanea: al termine di un lungo lavoro di affiatamento e messa a punto dei brani, siamo entrati in studio e abbiamo registrato tutto in diretta, facendo pochissimi overdub puntando tutto su un sound rock molto essenziale e diretto. “#dissocialnetwork” ha avuto invece un parto (se così possiamo chiamarlo) più dilatato nel tempo: grazie al contributo del nuovo produttore Pietro Foresti abbiamo fatto un percorso fondamentale per meglio comprendere chi siamo come band. Oltre alla possibilità di registrare in un ambiente inusuale (una meravigliosa cascina in aperta campagna), ci siamo concentrati su arrangiamenti più complessi, adottato soluzioni ritmiche inusuali e, cosa mai fatta prima, introdotto sample elettronici. Sicuramente uno dei nostri punti fermi sono i testi delle nostre canzoni, nei quali è sempre presente un preciso messaggio, a volte evidente a volte più tra le righe.

Fin dai titoli di entrambi i dischi sembra di notare un certo distacco tra voi e la modernità. È così? Vi sentite lontani dai valori e dal modo di vivere odierno?

In realtà noi viviamo appieno nella nostra epoca…solo che cerchiamo di mantenere un confine tra la realtà effettiva e il cosiddetto mondo “virtuale”. Oggi accade troppo spesso che reale e virtuale vengano considerati sullo stesso piano, con risultati a dir poco sconfortanti.

In particolare il titolo del nuovo disco affronta il fenomeno sociale, che voi definite con ironia “dissociale”, di questi anni, cioè i social network. Sono davvero il male secondo voi? E come li vedete anche dal punto di vista dei musicisti, per promuoversi e farsi conoscere?

Il problema non è il social network in quanto tale ma l’uso inappropriato che se ne fa. Dovrebbe essere un “mezzo” per comunicare e condividere contributi di vario genere, non il “fine” ultimo della nostra esistenza. Senza dubbio i social network sono un motore efficace per la promozione di un progetto artistico poiché permettono di raggiungere e informare in modo capillare i propri contatti, soprattutto per chi (come noi) non ha alle spalle una risorsa importante come una major label. Come già detto il rischio con i social network è convincersi che costituiscano l’unica realtà a disposizione…anche se di reale c’è poco (per non dire nulla).

Il singolo di lancio del disco è “fingere che tutto sia”. Perché avete scelto quel brano?

Forse perché è il brano che racchiude al meglio il messaggio di #dissocialnetwork. A tal proposito è stato fondamentale il contributo di Luca Adami, che per questo brano ha realizzato un video ricco di colpi di scena e sottili messaggi nascosti.

È di qualche mese fa il video di “a-distorta”, realizzato con i contributi dei fans. Come è nata l’idea di coinvolgerli in questo modo?

Avevamo la necessità di realizzare in breve tempo un video che fosse efficace e coinvolgente: prendendo spunto dalla parola “urlare” (costante ossessiva nel testo di “A distorta”) abbiamo pensato di coinvolgere il maggior numero di persone possibile facendo fare loro un urlo vero. A tutti loro, in premio, abbiamo regalato il singolo “A distorta”!

Avete dei punti di riferimento musicali, band che prendete come esempi, non solo dal punto di vista sonoro ma anche dell’attitudine?

Sicuramente, per quanto riguarda la nostra componente rock, tra i nostri riferimenti ci sono Queen Of The Stone Age e Foo Fighters. Tuttavia prendiamo spesso spunto da gente come Coldplay, Bjork e molti altri.

Com’è suonare oggi in Brianza e a Milano? E come prevedete che evolverà la situazione?

Ci sono tuttora buone opportunità per fare eventi live, anche se tutto è decisamente più complicato rispetto a qualche anno fa. Possiamo solo augurarci che cresca l’interesse per la musica dal vivo.

Vi abbiamo chiesto chi siete e da dove venite, la domanda finale dunque è: dove andate?

Il nostro obiettivo è da sempre intraprendere nuove strade, sperimentare nuove soluzioni (musicali e non) e naturalmente cogliere qualsiasi opportunità che ci si presenti.

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.