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Dossier: Vecchie povertà, nuovi mestieri. Nonostante 5 anni di crisi del sistema capitalista nessuno lo mette in discussione. E se fosse la cultura la via d'uscita? Sostenibile, irriproducibile dai robot, molto promettente. Un antico nuovo mestiere per i giovani italiani?

Riprendiamo per il nostro dossier dedicato alle povertà di ritorno e a chi si inventa nuovi lavori e mestieri l'articolo di Andrea Danielli pubblicato su Doppiozero con il titolo “La cultura come risposta alla crisi”. Le foto sono della manifestazione Piano City Milano.

 

Il

senso comune vede nella cultura un surplus cui si può facilmente rinunciare nel momento in cui diminuisce il reddito a disposizione e, ora che siamo al quinto anno di crisi, parlarne può sembrare inopportuno, a meno che non si abbiano solidi argomenti.
Nonostante l’entità del disastro economico, si fatica a vedere analisi critiche che consentano di andare oltre l’attuale modello capitalista basato sullo sfruttamento della manifattura esternalizzata e sulla gestione del disequilibrio nel mercato dei capitali attraverso una finanza deregolamentata.

Nonostante l’entità del disastro economico, si fatica a vedere analisi critiche che consentano di andare oltre l’attuale modello capitalista

In questo doppio articolo (la seconda parte comparirà su doppiozero il prossimo mercoledì ndr) intendo in primo luogo dare delle solide giustificazioni a una politica di investimenti culturali, ricavandole in parte avendo sullo sfondo la crisi del sistema neoliberista, e cerco, in secondo luogo, di abbozzare delle strategie di sviluppo coerenti.

Da dove partiamo? Nel 2012 la produzione culturale italiana contribuisce al 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 75,5 miliardi di euro, nonché all’occupazione di circa un milione e quattrocentomila persone, ovvero il 5,7% del totale degli occupati del Paese (Fondazione Symbola, Unioncamere (2013). “Io sono cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”. Rapporto 2013.).

 

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Aumentare i posti di lavoro e i consumi culturali permetterebbe tassi di crescita probabilmente meno spettacolari della speculazione edilizia, ma di sicuro rilievo, in quanto parte dei consumi oggi rivolti a beni materiali può essere spostata ad acquistare esperienze, benessere, auto-formazione, ovviamente nei limiti del tempo libero, che non è detto non possa aumentare.
Per avere un’idea delle potenzialità, pur nella consapevolezza che una sostituzione completa non sia possibile, ci basti pensare che il mercato mondiale dei videogiochi oggi raggiunge i 70 miliardi di dollari o che le ore passate davanti alla televisione nei soli Stati Uniti sono 1500 all’anno per persona. Le famiglie italiane nel 2007 spendevano in consumi culturali il 6,9% contro una media europea del 9% (Beretta, Migliardi, 2012, Le attività culturali e lo sviluppo economico: un esame a livello territoriale”, Questioni di economia e finanza (Occasional papers) n. 126, Banca d’Italia): raggiungere la media europea vorrebbe dire iniettare 19 miliardi di euro.

La ricchezza prodotta dai consumi culturali non produce inquinamento né sfruttamento

La ricchezza prodotta dai consumi culturali non produce inquinamento né sfruttamento (in linguaggio economico, non crea esternalità negative): appare evidente che la spesa culturale è sostenibile, socialmente ed ecologicamente, visto che possiamo produrre cultura illimitatamente, anche grazie alla digitalizzazione, e a bassi costi ambientali; il bene culturale non si consuma e non vive di mode che richiedono un ricambio continuo. Il moltiplicatore appare molto interessante: per ogni euro investito si producono 2,49 euro di valore aggiunto (Beretta, Migliardi citato).

Un altro argomento per sostenere forti investimenti in cultura è del tutto sconosciuto all’opinione pubblica italiana ma viene discusso in paesi tecnologicamente più avanzati (per esempio:  http://www.technologyreview.com/featuredstory/515926/how-technology-is-destroying-jobs/ )
Si tratta della disoccupazione tecnologica, provocata da robot sempre più abili e da algoritmi in grado di gestire la complessità di domini imprevedibili, come lo logistica e la finanza. Nel campo finanziario, i media più specializzati parlano sovente di high frequency trading, di previsioni di borsa basate su twitter sentiment o big data, di siti di investimento sociale (come http://www.estimize.com/about).
Una rassegna aggiornata di robot, giusto per avere un’idea più precisa dello stato dell’arte, è presente in questo sito:  http://robotswillstealyourjob.tumblr.com/

Laddove si nascondano routine manuali e problemi di efficentamento la macchina è destinata a prevalere, è solo questione di tempo, con buona pace di chi suggerisce ai giovani di non studiare discipline umanistiche.

Laddove si nascondano routine manuali e problemi di efficentamento la macchina è destinata a prevalere, è solo questione di tempo, con buona pace di chi suggerisce ai giovani di non studiare discipline umanistiche. Ecco allora che tutto ciò che è creativo, “inutile” agli occhi della logica economica, non risulta imitabile da alcun programma, per quanto complesso: non esistono problemi di ottimo per l’arte, semmai ci troviamo di fronte all’esatto contrario, e il vero artista è tendenzialmente contro-corrente.

Riprendendo a parlare di conseguenze positive, un ulteriore argomento a favore di investimenti in cultura è di tipo sanitario: la cultura fa bene, previene e cura malattie psichiche, aumenta la qualità percepita della vita. Mentre la cura delle malattie gode di un’ampia letteratura, soprattutto psicanalitica, occorre aumentare gli sforzi per comprendere la capacità preventiva e gli effetti sul life style. A parere di chi scrive, i risultati di alcuni studi preliminari scontano la difficoltà di separare l’apporto culturale dall’apporto economico; il fatto che le zone in cui si vive meglio siano anche le più ricche del paese non aiuta a capire se la cultura abbia un influsso positivo sul benessere,  già garantito da maggiori disponibilità sanitarie, maggiore informazione, maggiore attività sportiva.

 

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Più promettenti appaiono studi di neuroscienze che identificano le aree cerebrali coinvolte nei giudizi estetici e le confrontano con l’attivazione legata al piacere; cito dalle conclusioni di uno di questi ( http://www.pnas.org/content/98/20/11818.long):
“we have shown here that music recruit neural systems of reward and emotion similar to those known to respond specifically to biologically relevant stimuli, such as food and sex, and those that are artificially activated by drugs and abuse.” E ancora “[...] music may not be imperative for survival of the human species, it may indeed be of significant benefit to our mental and physical well-being”.
Arrivare a una dipendenza da musica classica può non essere facile, richiede molto investimento in tempo e pazienza e, soprattutto, un approccio educativo al piacere: prima si scopre che il vero organo erogeno è il cervello, prima si impara a nutrirlo con libri, film, spettacoli, quadri, musica di qualità. Dovremmo forse smettere di pensare di essere (solo) organismi biologici che rispondono a sostanze chimiche, come l’attuale psichiatria vorrebbe farci credere, o scimmioni che reagiscono allo stesso modo a stimoli elementari come belle donne e hamburger.

Siamo complessi e relazionali per natura: buona parte della nostra insoddisfazione e delle nostre nevrosi deriva dalla difficoltà di gestire i rapporti umani e gli imprevisti.

Siamo complessi e relazionali per natura: buona parte della nostra insoddisfazione e delle nostre nevrosi deriva dalla difficoltà di gestire i rapporti umani e gli imprevisti. Eppure, la nostra società fa molto poco per educare i giovani alle relazioni interpersonali, e, laddove ci prova, tendenzialmente fa danni proponendo modelli narcisisti, insicuri, parossistici.

La cultura umanistica pare rispondere a questo bisogno (un tema tipico dell’opera di Martha Nussbaum; cfr. anche Dutton, D. (2009), The Art Instinct, Oxford, Oxford University Press):
 offre spaccati di vite nella loro complessità emotiva, ed è pertanto capace di accrescere la nostra sensibilità e comprensione empatica dell’altro - presupposto fondamentale di qualunque relazione funzionante. L’arte, nella prospettiva evoluzionista di Dutton (citato) consente di addestrare le persone alle pratiche sociali, ai riti, di trasmettere conoscenza utile per la vita di tutti i giorni; l’arte di finzione allena il nostro cervello ad affrontare situazioni impreviste e sviluppa la nostra creatività - fino ad anticipare eventi epocali:  http://it.wikipedia.org/wiki/The_Lone_Gunmen)
Considerazioni di sicuro interesse per qualunque studioso di management e gestione risorse umane.

 

Per un florilegio artistico

Non sono un economista, e quindi mi è difficile andare oltre alcuni spunti per tradurre in pratica l’analisi introduttiva. Esistono già molte ricette di sicuro valore, mi piacerebbe pertanto accennare solo ad alcune strategie che consentano al Paese di incentivare la propria domanda culturale: di offerta ce n’è molta, si vedano le statistiche sui libri pubblicati  http://www.istat.it/it/archivio/62518  sugli spettacoli proposti (507.155 spettacoli di ballo in Italia nel 2007, Beretta, Migliardi 2012), nonché le considerazioni sul cinema:  http://www.linkiesta.it/industria-cinematografica#ixzz2XDv9ztCX

L’intervento pubblico deve allora essere finalizzato ad accrescere la domanda, partendo dalla formazione delle nuove generazioni: le scuole devono arricchire la propria offerta di percorsi artistici, magari pomeridiani, attingendo con forza ad associazioni culturali e volontari, in un’ottica di sussidiarietà. Pensando ancora ai giovani, credo che uno strumento sotto utilizzato in Italia sia il cosidetto edutainment: Art Attack, per intenderci. Non è impossibile creare fiction di qualità sulla Rai, né pensare a dei Simpson italiani. Un campo che offre notevoli opportunità sono i videogiochi: primo, perché vi si dedica molto tempo, secondo, perché alcuni sono un potente strumento per trasmettere conoscenze e accrescere le capacità di ragionamento: penso a tutti gli RTS (real time strategy), sulla scorta di Civilization. Il settore non gode in Italia di player rilevanti, soprattutto perché richiede grandi investimenti per dar vita a nuovi titoli, nell’ordine di alcuni milioni di euro. E’ necessaria allora una strategia di sviluppo su settori knowledge intensive, attraverso una programmazione politica intelligente, al fine di dare luogo a un distretto dei videogame in aree, come il milanese, dove abbondano risorse finanziarie, informatiche e artistiche. Gli esempi di successo sono molteplici: società come Fishing Cactus (Belgio), il cui numero di dipendenti é passato da 3 a 30 dal 2008 al 2012 occupando artisti, scenografi, game developers, ingegneri, o 3D Duo (con sede a Lille, nel cluster Plaine Images), studio di animazione con un turnover di 1,5 milioni di euro, con circa 25 dipendenti, nata appena nel 2008.

Perché la cultura diventi più divertente il mondo culturale italiano deve uscire dalla propria autoreferenzialità, abbandonando antiche concezioni elitarie.

Perché la cultura diventi più divertente il mondo culturale italiano deve uscire dalla propria autoreferenzialità, abbandonando antiche concezioni elitarie. Allo scopo, potrebbe essere utile ripensare gli investimenti oggi garantiti da spesa pubblica, sovvenzionando solo gli spettacoli ritenuti strategici (l’opera lirica, per fare un esempio, dove la nostra tradizione è ancora apprezzata mondialmente), e favorendo una logica basata su voucher, che hanno minori rischi anti-redistributivi e, anzi, potrebbero rivolgersi a studenti meritevoli e agli abitanti di zone degradate. Il Brasile ha riconosciuto le politiche culturali come strumento per uno sviluppo equilibrato e proposto i propri buoni:  http://www.ifacca.org/international_news/2013/01/30/culture-voucher-will-boost-economy-cities-says-mar/
Una società specializzata nei ticket restaurant ha invece introdotto il ticket cultura:  http://www.edenred.it/employee-benefits/ticket-cultura/ un modo decisamente intelligente per formare i propri lavoratori.

All’interno dell’attuale fermento intorno al tema start up sarebbe utile sviluppare il tema delle start up culturali, situandole idealmente al confine tra arte e piacere di vivere, in modo da creare modelli di business economicamente sostenibili. Non vorrei sembrare blasfemo di fronte ai puristi, ma penso che una strada da seguire debba portare a una costruzione di benessere a trecentosessanta gradi, in cui l’eccellenza enogastronomica sposa, senza complessi reverenziali, musica classica o teatro, magari anche all’aperto, sull’ottimo esempio di Piano City.

Mi immagino ristoranti e bar che si animano con jam session di pianoforte e violino, suonati da studenti provenienti dagli oltre 300 conservatori italiani: un modo per avvicinare alla musica e riportarla nella quotidianità. Me li immagino anche in zone periferiche: perché possono installarsi in locali a basso prezzo, e riqualificare così l’economia, la vita e l’immagine del quartiere. D’altra parte, le dimensioni considerevoli raggiunte dal fenomeno dei foodies o il successo di iniziative come Slow Food - oltre a una naturale condivisione del piacere di vivere - rendono questa sinergia quasi spontanea.

Infine, come insegna l’esempio di Liberos, premiato dal bando CheFare, la sopravvivenza delle piccole librerie - e magari dei piccoli teatri, in una sinergia crossmodale - passa per sistemi innovativi di fidelizzazione. In generale, un’attenta opera di coordinamento, stimolata dalle istituzioni locali con un occhio al turismo, può usare leve tecnologiche per produrre importanti risultati: mi immagino applicazioni per cellulari e tablet che offrono servizi unici di prenotazione degli spettacoli, integrati nella rete di fidelizzazione succitata. Come Eventbrite mi consente di vedere quali mie amici vanno a quali eventi, lo stesso principio, applicato per gli spettacoli teatrali, può scatenare una positiva imitazione tra pari.

 

Vantaggio competitivo

Ho cercato di trasmettere l’idea che la spesa culturale non si debba limitare a conservare un patrimonio ingombrante o attirare turisti annoiati: è vitale nel senso etimologico.

Abbiamo 95.000 chiese monumentali, 40.000 fra rocche e castelli, 30.000 dimore storiche con 4.000 giardini, 36.000 fra archivi e biblioteche, 80.000 autori di musica: numeri semplicemente impressionanti, che ci pongono in una situazione di vantaggio competitivo unico.

Ho cercato di trasmettere l’idea che la spesa culturale non si debba limitare a conservare un patrimonio ingombrante o attirare turisti annoiati: è vitale nel senso etimologico. Per questo, considerare la politica culturale come strategica per il paese non significa mantenere separazioni tra centri di eccellenza e cultura “popolare” né limitarsi a salvaguardare rovine, ma richiede di inserire le proprie iniziative nel più ampio contesto socio-economico con una visione a medio-lungo termine. La cultura crea ricchezza in modi a volte imprevedibili, se è vero che può favorire l’inventiva e l’originalità di chi deve affrontare la concorrenza internazionale, migliorando il capitale umano d chi si trova a progettare nuovi prodotti e servizi esattamente sulle esigenze dei propri clienti. Una società più colta è probabilmente una società più aperta, innovativa e sana.
La sfida per aumentare l’inclusione culturale richiede il coinvolgimento delle parti più dinamiche  del paese: perché questo possa avvenire è importante mettere in rilievo il ritorno occupazionale e le opportunità di incidere positivamente sul tessuto socio-economico italiano.

Da doppiozero