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 Il sindaco leghista di Trezzo rifiuta una collezione d’arte che curatori museali di tutto il mondo farebbero carte false per avere. Cultura? È il dialetto, la salamella e gli elmi con le corna di plastica.

Immaginate che a Natale vi sia arrivato un regalo inatteso. Un pacco grande grande, impacchettato con una elegante carta dorata. A mandarlo è un semplice conoscente, non vi aspettavate che si disturbasse così. Lo aprite e dentro – sorpresa! – ci sono 800 tra dipinti, sculture e disegni d’autore: Guttuso, Morlotti, Sassu, Treccani, Trubbiani, Dova... il meglio del Novecento italiano. Tutti originali. Un patrimonio inestimabile.

Passato lo stupore iniziale, vi guardate in giro e…. in soggiorno non fanno pendant col divano… in camera da letto figurarsi, coll’armadio rococò di nonna… in camera dei bambini no, poi ci scarabocchiano sopra…. La cantina è piena… il garage pure… eh no, a casa mia non c’è proprio posto, mi spiace. Richiudete il pacco e lo rispedite al mittente con un biglietto di cortese rifiuto.

Roba da pazzi, vero? Eppure è esattamente quello che è successo a Trezzo d’Adda dove il sindaco leghista Aldo Villa ha rifiutato la donazione degli eredi di Mario de Micheli, stimato critico d’arte che nell’arco della sua vita aveva raccolto le 800 opere. Autore di un testo considerato una pietra miliare della storia dell’arte, Le avanguardie artistiche del Novecento, de Micheli aveva già donato alla locale biblioteca la sua collezione di oltre 30 mila libri e circa 100 disegni d’autore (che già richiama a Trezzo studiosi da tutto il mondo) ed è sepolto con la moglie nel locale cimitero. Per questo gli eredi avevano trovato logico completare la donazione con le opere artistiche.

A rendere ancora più assurda la vicenda è il fatto che, in realtà, la donazione era già stata accettata: dalla precedente giunta di centrosinistra. E i maligni sostengono che proprio qui stia la vera ragione del gran rifiuto. De Micheli, ex partigiano, era un militante di sinistra e critico d’arte de L’Unità. Il sindaco Villa, riconoscendo che si tratta di una collezione “cara alla sinistra” (e, quindi, ammettendo implicitamente “non cara a noi”) controbatte che le ragioni sono economiche e pratiche: il Comune non ha posto e non ha i soldi per costruire un museo ad hoc. Ma a Trezzo non c’è il Castello come sede espositiva?, hanno pensato in molti. Sì, ma è destinato a “iniziative culturali d’altro tipo”. Quale “altro tipo” di iniziative culturali possa avere in mente la Lega temiamo di immaginarlo.

 

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"L'ira di Achille" di Aligi Sassu. In apertura, "La Vucciria" di Renato Guttuso.

 

A questo punto si potrebbe pensare che gli eredi de Micheli, dopo aver salutato il signor Villa con una sonora pernacchia, abbiano offerto la loro collezione, chessò, al Guggenheim di Bilbao. Del resto vicende simili non sono nuove per l’Italia: proprio per il secondo Guggenheim fuori dagli Usa, prima di finire in Spagna, si era pensato a diverse città italiane. E qualcuno ricorderà la vicenda della collezione Thyssen-Bornemisza, per la quale erano girati i nomi di varie località italiane prima che, per indisponibilità di queste, da Lugano la collezione finisse definitivamente a Madrid. E invece no. Con un encomiabile (e, a questo punto, immeritato) attaccamento alla cittadina sull’Adda, gli eredi de Micheli hanno costituito un Comitato civico per trovare un’altra collocazione a Trezzo per la collezione.

È incredibile come la giunta trezzese si dimostri insensibile anche alle ragioni economiche, oltre che a quelle culturali. Non occorre essere dei guru del marketing territoriale per capire che una simile collezione, adeguatamente valorizzata (pensate al contrasto affascinante che si creerebbe esponendo opere del ‘900 nel rudere del Castello visconteo, a picco sul fiume…), genererebbe interessanti flussi di visitatori con conseguente valore aggiunto per la città.

Si dice spesso che il paese reale è migliore della classe politica che lo governa: a Trezzo la gente ha un’occasione in più per dimostrarlo.

 

Nota: le immagini sono rappresentative degli autori citati in generale e non riproducono opere della collezione de Micheli.