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L’aggettivo oggi più di  moda è “liquido”. Tutti parlano di vita liquida, società liquida, perfino, da noi, di partiti liquidi. Tutta colpa di Zygmunt Bauman

 

L’aggettivo oggi più di  moda è “liquido”. Tutti parlano di vita liquida, società liquida, perfino, da noi, di partiti liquidi.
Come sempre i termini strausati rischiano il fraintendimento e la banalizzazione.
Per andare alla fonte ho letto “La vita liquida” dell’autore che ha inventato il concetto: Zygmunt Bauman.
Secondo Bauman, “ ‘Liquido’ è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita ‘liquido-moderna’ se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure”.
Da questa premessa Bauman fa derivare una descrizione del mondo in cui viviamo irredimibile, una sorta di “bufera infernal che mai non resta”. Tanto per citare qualcosa di meno impegnativo del sommo poeta, mi viene in mente il titolo di un musical americano di circa ottant’anni fa: “Fermate il mondo: voglio scendere”.
Tutto viene posto in questione, sfuggendo al nostro controllo: l’identità (ricercata in un jeans griffato   destinato ad omologarci e presto superato), la vita pubblica (immiserita dal consumismo privato), l’uguaglianza (solo  in pochi riescono a cavalcare il cambiamento sfrenato), la libertà (disgregatrice), la sicurezza (in nome della quale gli uomini rinunciano alla libertà).
Il tutto dominato dal mercato e dal consumo, in un processo inarrestabile che produce cumuli di rifiuti la cui eliminazione diventa un problema assillante, con il rischio continuo di passare anche noi nella schiera degli esclusi, e quindi trasformati in rifiuti (viene in mente il cartoon Toys, nel quale i giocattoli regalati in occasione di  un  Natale vivono nel terrore di essere buttati via per essere sostituiti dai nuovi regali del Natale successivo).
A chi, come me, si occupa di economia, questa visione appare in radicale contrasto con quella di chi fa del cambiamento e dell’innovazione non solo un must, ma addirittura un mito esaltante. Cioè un fatto comunque positivo, anche se da conciliare con quello (altro termine di moda) della sostenibilità. Possibilmente  guadagnando anche su quest’ultima.
D’altra parte non si può negare del tutto questa positività. Dai tempi di Prometeo gli uomini hanno sempre avuto il gusto di conoscere e di faticare meno. Di creare qualcosa, il che implica “l’arte del levare”, cioè i rifiuti. E il consumo non è solo consumismo e solitudine, è anche il modo  attraverso il quale gli uomini sviluppano le proprie vocazioni e il loro contributo al vivere civile. Bauman risponderebbe che questo andava bene fino ai tempi della società solido-moderna, e non più in quella  attuale, liquido-moderna. Ma si potrebbe contro-rispondere che se è bello raggiungere una meta (programmare) per molti è anche bello gustarsi il cammino in quanto tale (contemplare). E il panta rei attuale è l’ideale per farlo, e i giovani sanno farlo meglio dei vecchi.
Del resto, se il mondo liquido-moderno non presentasse anche delle positività, la conclusione di Bauman non potrebbe essere che nichilista.
E invece, la sua conclusione parte,  a p. 174, con una bella  citazione di Adorno, secondo il quale  “compito del pensiero critico (esercitato alla grande da Bauman nelle pagine precedenti) non è conservare il passato, ma realizzare le sue speranze”. Quali speranze?  Secondo Bauman, “la speranza di raggiungere un equilibrio accettabile tra libertà e sicurezza”.  Ma un equilibrio per tutti, nella consapevolezza che la libertà (come del resto  la sicurezza) è tale solo se è condivisa, ricreando uno “spazio pubblico” globale oggi troppo compresso dallo spazio privato.  Attraverso un recupero di solidarietà e di responsabilità (terzo termine oggi di moda, molto citato e poco praticato) planetarie.
Non posso concludere questo commento senza mettere in evidenza la genialità e  la lucidità straordinarie con cui “il pensiero critico” di Bauman  esemplifica i misfatti della società e della vita liquido-moderna. Tra i quali debbo limitarmi a citare le pp.104-108, che parlano del contrasto, commercialmente  molto redditizio, tra la diffusione dei libri che trattano di ricette culinarie (109 siti web),  di alimentazione (308 mila), dell’’arte di dimagrire (719 mila), e infine del problema del grasso (32 milioni di siti). Con un collegamento indiscutibile tra la paura del grasso, che si insinua “nella superficie del corpo e attraverso le sue aperture”, come una invasione di ultracorpi, e la paura del terrorismo.