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Intervista al cantante dei Perturbazione,
prima del concerto al Tambourine accompagnato
dagli Airportman

Fotografie di Francesca Pontiggia

Parliamo per prima cosa del concerto di stasera. Canterai accompagnato dagli Airportman, con cui hai appena fatto uscire un disco di cover, “Weeds”. Come è nata questa collaborazione e come si è arrivati fino all’album?
È nata per amicizia, perché abbiamo suonato insieme in un disco di Stefano Giaccone. E' un cantautore di Torino, ci ha coinvolti assieme dato che è un amico comune, il disco si chiama “Come un fiore”, uscito nel 2007. Lì ci conoscemmo meglio perché ci eravamo sempre incontrati sui palchi, nacque un’amicizia molto bella che mi portò a scendere a Cuneo e a rivederli, più che altro per scambiarci dischi e cd e confrontare le nostre opinioni su quello che ascoltavamo e avevamo ascoltato crescendo. Da lì nacque un invito a cantare a un loro concerto “2cv”, che è un pezzo di Lloyd Cole & The Commotions, poi ne cantai altri due o tre e decidemmo di fare un concerto intero tutti assieme, il primo giorno di primavera del 2008 a Torino. Ci venne voglia di fare delle take molto semplici per il disco e ci accorgemmo che ci piaceva molto e che stava venendo fuori del materiale interessante. C’erano dei pezzi del concerto che erano più nelle nostre corde e alcuni che invece si potevano tralasciare; abbiamo aggiunto dei brani a quell’ossatura ed è venuto fuori un disco fondamentalmente molto suonato “buona la prima” e poi mixato e manipolato da Paolo Bergese, che è il terzo Airportman, quello più dietro le macchine. Ha creato un po’ di magia, per esempio su “In Between Days”, con la sua sovrapposizione di voci. E’ stato divertentissimo, è un disco veramente fatto molto col cuore e in amicizia: andavo nel loro studio, che è sotto casa di Giovanni Risso, nei weekend o al lunedì sera e registravamo un pezzo per volta. E’ stata una cosa a lievitazione naturale, si può dire.

 

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Il concerto qui al Tambourine verterà solo sui brani del vostro disco o suonerete anche pezzi esclusi o qualcosa dei tuoi Perturbazione?
L’ossatura grossa sarà composta dai pezzi del disco perché l’idea è quella di portare in giro questo progetto; poi in realtà aggiungiamo qualche brano. Dei Perturbazione nulla. Non abbiamo mai scritto brani nostri per questa collaborazione, all’inizio ci avevamo pensato, ma poi ci siamo presi bene con l’idea di ripercorrere brani altrui trasferendoci però un po’ della nostra anima. Loro come Airportman hanno ormai fatto numerosi dischi autoprodotti e non, con varie etichette, e sono un gruppo strumentale; io nei Perturbazione scrivo e compongo; qui l’idea era quella di rivisitare l’anima del compositore originario ma al contempo dare un po’ della propria, con questa definizione bruttissima che è “cover d’autore”. Non mi piace perché è un po’ snob come cosa, perché così sembra che ci siano le cover buone e le cover cattive. Non ho un particolare amore per le tribute band, ma la cover band tradizionale da birreria, che fa le cose con amore, credo che paghi lo stesso tributo all’autore originale: la cosa importante è metterci del tuo, se traspare qualcosa di quello che sei nell’interpretazione di qualcun altro, vuol dire che hai fatto un buon lavoro. Anche nel nostro caso il materiale che abbiamo tenuto è quello in cui c’era più di noi stessi.

 

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Tommaso Cerasuolo intervistato dal nostro Fabio Pozzi

Con i Perturbazione portate avanti spettacoli trasversali, che vanno a toccare altri campi della cultura oltre alla musica. Il primo che può essere citato è “Le città viste dal basso”, in cui riportate alla luce canzoni storiche della musica italiana e brani di romanzi. Com’è nata l’idea per questo spettacolo?
All’inizio su commissione, una cosa strana. A Modena veniva fatta una manifestazione che si chiamava “Due giorni per raccontare la città”; ci chiesero di provare a fare qualcosa che parlava di città e a Rossano Lo Mele, il batterista e autore anche di alcuni testi, è venuta in mente questa idea, che poi è stata molto elaborata da Gigi Giancursi, il chitarrista, e un po’ tutti noi, di provare a ripercorrere i classici della canzone italiana sulla città e allo stesso tempo dare la contemporaneità attraverso gli ospiti. C’è sempre stata questa voglia di mettere assieme la classicità e la contemporaneità con 3 o 4 ospiti, a volte meno, a volte di più, a seconda del budget e delle possibilità. Ne faremo un’edizione sabato a Torino con due ospiti, Cristiano Godano e Syria. Si è sempre dimostrato uno spettacolo abbastanza unico, faticoso da preparare, ma sicuramente interessante. Per quanto riguarda la parte sugli scrittori non abbiamo mai messo Italo Calvino e le sue “Città invisibili” perché è un po’ il modello di riferimento, si può dire che abbiamo cercato di fare nella musica quello che Calvino faceva nel suo romanzo.

Gli ospiti di “Le città viste dal basso” sono quasi tutti provenienti dall’ambito della musica indipendente o quantomeno non propriamente mainstream. C’è però stato anche Max Pezzali. Com’è nata l’idea di chiamarlo sul palco con voi?
Noi cerchiamo di chiamare tutti i musicisti che stimiamo in qualche modo. Max Pezzali in particolare è sempre piaciuto a Gigi ed è stato lui a contattarlo, anche perché avevamo come tramite Syria. In realtà noi abbiamo offerto questa opportunità a moltissimi musicisti; ovviamente quelli della musica indipendente sono quelli che abbiamo avuto la possibilità di conoscere meglio negli anni suonando, avvicinandoci e diventando amici, è stato quindi più facile contattarli e avere una risposta. Non sempre tra manager e organizzatori è così facile per nomi più grossi o particolari. C’è stata anche Andrea Mirò che non è esattamente una cantante del mondo più indipendente, ha fatto anche dei Sanremo, però è un personaggio più trasversale e strano, un’autrice che mi fa venire in mente ad esempio più Fiorella Mannoia che altre. Abbiamo sempre pensato che lo sguardo sulle città fosse molto più ricco, divertente e interessante tenendo conto che sono un luogo di incontro e di complessità. Ci siamo accorti che le edizioni meno riuscite sono probabilmente state quelle più “pesanti” dal punto di vista del contenuto, bisogna alternare momenti leggeri e non. In questo senso è stato bello avere ospiti diversi come estrazione e come cultura musicale. Per esempio Max Pezzali è stato tra gli ospiti più disponibili e che più si è messo in gioco: ha creato lui dei collegamenti tra il suo romanzo all’inizio e Joyce, perché parlava del rapporto tra la provincia e la città, ha fatto “Dirty Old Town”, che è un pezzo tradizionale inglese anche se poi cantato sempre dagli irlandesi, come i Pogues. Altrettanto spesso non è vero per musicisti che magari conosci un po’ di più ma sono restii. E’ sempre una sfida, come dicevo prima, fare pezzi storici mettendoci qualcosa dei Perturbazione e imparando qualcosa sugli arrangiamenti.

 

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L’altro spettacolo “trasversale” è il concerto per disegnatore e orchestra, in cui la band mette alla prova le sue capacità di accompagnare un racconto che tu disegni. Puoi raccontarci la nascita di questo concerto particolare?
Anche questo è nato su uno stimolo esterno, del Cafè Liber, un locale di Torino che organizza una rassegna in cui chiede a dei gruppi di sonorizzare dei cortometraggi di muto o che hanno già un sonoro, ma che gli viene tolto e ricontestualizzato. A me venne invece in mente di scrivere una cosa noi ex-novo, una specie di “animazione in diretta”, che non è il termine esatto, lo si potrebbe definire “teatro di figura”, un termine che abbiamo conosciuto dopo, quando vedemmo filmati e ci accorgemmo che in realtà non avevamo inventato nulla. Utilizzando delle calamite per muovere i personaggi abbiamo creato questa storia di un uomo e un ombra, con la mano che è il personaggio che crea le situazioni. L’abbiamo scritto tutti insieme; io ci ho messo il “trabiccolo” tecnico, mentre ad esempio l’idea dell’importanza della mano nella storia l’ha data Gigi, che pensava fosse molto affascinante, così che poi ho cercato di darle maggior teatralità nei gesti. E’ cresciuta edizione per edizione, alla fine c’è una traccia molto chiara e viva e ci inseguiamo a vicenda, perché loro suonano girati verso lo schermo, seguono me mentre io seguo loro e ci diamo dei ganci precisi durante i pezzi. Amo raccontare la storia di questo spettacolo perché sia in questo caso sia in quello di Modena abbiamo la dimostrazione che una sana industria culturale, un sano humus culturale, dovrebbe sempre investire quando c’è un po’ di “zuppa”, così che qualcosa di buono nascerebbe sempre. Spesso questo in Italia è difficile, è sempre lasciato all’iniziativa personale. Abbiamo provato nel tempo a fare cose come queste che però non sono andate bene, per esempio ad adattare disegnatore e orchestra alla montagna, assieme alla rivista Alp, un’unica edizione a Varese che si rivelò un insuccesso. Non sempre quindi può andar bene, ma avere qualcuno che ci mette un minimo di capitale e di interesse nel portare avanti cose di questo genere è qualcosa che all’estero succede più facilmente, al contrario che in Italia. Per esempio ritornando al concerto per disegnatore e orchestra nacque da una manifestazione con un budget davvero minimo, quello di un concerto normale, ma con lo spunto di provare a fare qualcosa di diverso.

 

Cerasuolo con i Perturbazione con il video di "Un Anno in più" di cui è anche regista con Giovanna Russiello

 

I tuoi disegni sono presenti anche in un libro dedicato ai Radiohead, “Narradiohead”. Può essere considerato un atto d’amore verso la band di Thom Yorke. Quali altri band ti piacerebbe omaggiare allo stesso modo?
Sono tantissime, ma non so se sarei all’altezza, anche perché non sono pienamente soddisfatto del risultato finale in quel caso. Ho sempre avuto delle difficoltà con la tavola, per come sono io tendo sempre ad immaginarmi le storie come già animate, a pensare al disegno che si sta muovendo e quindi a muovermi nell’animazione. Per quanto riguarda “Narradiohead” è stato Edoardo Acotto, che è il curatore del volume, oltre che un amico, ad insistere e ad incoraggiarmi. Tra le band da omaggiare cito innanzitutto i R.E.M. perché sono un mondo tra la politica e l’onirico; poi il mio gruppo del cuore, che però trovo sia già collegato all’immaginario del disegno, quindi non mi permetterei mai, sono i Minutemen e i fIREHOSE, gruppi della SST, che avevano Raymond Pettibon, un grande artista e fumettista americano, che ha fatto molte loro copertine. Mi è sempre piaciuto il rapporto tra arti figurative e musica.

Domanda quasi obbligatoria in questo 2009. Cosa pensi degli Afterhours a Sanremo e della conseguente compilation sul “paese reale”?
Io penso che a Sanremo dovremmo andare tutti il più possibile, perché credo sia un mondo che o riesce a mettere al suo interno tutti i cambiamenti o diventerà talmente per dinosauri che cadrà. Secondo me gli Afterhours hanno fatto bene, è stata strana la scelta del pezzo, nel senso che è proprio di rottura e non era neanche facile eseguirlo in quel contesto. Il disco non lo trovo invece particolarmente brillante, ma sono gusti totalmente personali. C’erano alcuni pezzi che mi piacevano, per esempio quelli di Paolo Benvegnù e di Cesare Basile, mentre tutto il disco non mi ha molto colpito. Mi sembra comunque una bella iniziativa, il fatto è che è molto difficile fare delle compilation tutte belle, dove tutti riescono a dare il meglio di sé. Spesso potrebbero essere dischi incredibili per il cast che hanno e invece c’è qualcosa che non funziona, manca una regia forte. Se penso ad esempio a “Dark Was The Night”, la compilation curata dai National per Red Hot, l’associazione per la lotta all’AIDS, ci trovo dei pezzi incredibili, come quello cantato da Feist assieme a Ben Gibbard, quello di Iron & Wine o dei National stessi, ma non mi è piaciuto per niente nella sua completezza, l’ho trovato pesante.

Cerasuolo e Airportman, "2cv" dei Lloyd Cole & The Commotions

 

Hai spesso collaborato con gruppi della scena indipendente, sia nei loro dischi sia come ospite ai concerti. Quali sono i gruppi italiani che reputi maggiormente sottovalutati? E su quali invece punti per il futuro?
Su questa domanda sarebbe più preparato Gigi, che mi prende sempre in giro perché dice che voglio la “Repubblica della Musica”, in cui tutti devono essere contenti e felici. Io continuo a crucciarmi perché i 24 Grana non riescono a fare uno scalino in più perché amo la loro musica, credo che quello che fanno Francesco Di Bella e gli altri sia fantastico. Mi piacciono tantissimo i Tre Allegri Ragazzi Morti; se uno ascolta i dischi da fuori potrebbe dire che si assomigliano tutti e invece non è vero. Se segui il blog di Davide Toffolo, i suoi fumetti, i suoi racconti, capisci come sta maturando sempre più; è un amico e un artista che stimo tantissimo, adoro “invecchiargli” accanto e vedere come riesce a raccontarci la sua vita. Poi mi piacerebbe tanto che Marcilo Agro e il Duo Maravilha ottenessero di più, però hanno problemi al loro interno, hanno fatto un po’ di casini. Sono poi molto contento per gli Zen Circus e per come vanno avanti, sono sempre delle macchine da guerra e sono divertentissimi; il loro nuovo disco è apparentemente pieno di cinismo, in realtà di tutt’altro. Un altro nome è Esterina, che non conoscevo; mi ha fatto sentire il suo disco Giovanni degli Airportman e ho deciso che devo cercarlo perché mi piace tantissimo. Non so chi altro citare, io sono lentissimo a metabolizzare le cose, mi accorgo di riuscire ad apprezzare la contemporaneità dopo e di essermi perso gruppi che nel frattempo magari si sono sciolti; non sono una buona cartina di tornasole del presente.

 

Cerasuolo e Airportman, "In between days" dei Cure

 

Tra pochi giorni passerai da Milano con il “Preliminari tour” assieme ai Perturbazione. Come nasce un nome così evocativo per una serie di concerti?
Stiamo scrivendo un disco nuovo e vorremmo farlo uscire nella prossima primavera, anche se non sappiamo ancora con chi e come. Abbiamo sempre pensato ai dischi un po’ come a un grande parto, in cui arriva la prima data, sei lì e hai questa specie di ansia da prestazione, per usare un parallelo tristemente sessuale ma non solo. Invece stavolta abbiamo deciso di fare questo “Preliminari tour” per dirci che non dobbiamo arrivare lì e spaccare tutto, ma che possiamo fare qualcosa come riscaldamento. Così proveremo il nuovo bassista, Alex Baracco, e roderemo la sezione ritmica, faremo qualche pezzo nuovo e rifaremo tutto il repertorio in sei, che non facciamo dal 2006. Quindi torniamo per cinque belle date, nelle città più grandi, con calma e senza la voglia di dire “Ehi, siamo tornati!”, che tanto chi ci aspetta? Ormai siamo invecchiati, sono nati anche dei figli e prendiamo la vita con filosofia, con più calma.

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.