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In esclusiva per Vorrei il leader dei Marlene Kuntz parla del suo libro,
del ritorno alle chitarre elettriche, di influenze e di musica indipendente



Q

uesta sera al Tambourine sarai protagonista di una serata speciale, in uno spettacolo diverso dai concerti a cui siamo abituati. Porterai infatti in scena un reading tratto da uno dei racconti presenti nel tuo libro “I vivi”, uscito lo scorso anno. Com’è nata l’idea di confrontarti con uno spettacolo di questo tipo?
E’ stata una ragazza veneta che ha avuto questa voglia di insistere in maniera speciale, cercando di convincermi a fare un primo reading organizzato da lei. Io feci una presentazione, credo del libro oppure del disco, non ricordo esattamente, alla FNAC di Verona. Quando esce un disco di solito si va in giro a presentarlo e si dà la propria disponibilità; se sei un artista viziato e pieno di denaro puoi farne a meno, se invece non sei viziato e non hai tutti quei soldi vai a farlo. Lì a Verona lei mi avvicinò dicendo chi era, di che cosa si occupava, di cosa si interessava: organizzava cose di questo tipo e voleva che io lo facessi. Le dissi che non pensavo di essere all’altezza, perché pensavo che per fare una buona lettura non basta leggere ma bisogna saperlo fare. Però lei è stata più brava di questa mia ritrosia, ha insistito e tutto è nato da lì. C’è stata una prima occasione: ho pensato che in fondo mi ero divertito, mi era piaciuto e che mi stimolava cercare di crescere e di farlo sempre meglio. E’ andata così.

 

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Il ragazzo che si occupa della collana per la quale è uscito il libro, che si chiama 24/7, è un fan dei Marlene Kuntz da tanto tempo

Abbiamo già citato “I vivi”. Cosa ti ha portato a cimentarti con la scrittura di qualcosa che non fossero canzoni? Che difficoltà hai incontrato, se ce ne sono state?
Ho avuto la grossa fortuna di essere stato cercato da un grosso editore; il ragazzo che si occupa della collana specifica per la quale è uscito il libro, che si chiama 24/7, è un fan dei Marlene Kuntz da tanto tempo. Lui era convinto che io avrei dovuto, prima o poi nella vita, fare questa cosa; allora è riuscito a rintracciarmi, la qual cosa non è difficile, basta venire a un mio concerto oppure attraverso i soliti canali discografici, il manager ecc. In pratica mi ha corteggiato anche lui; detto così sembro uno che si fa corteggiare un sacco, può darsi che lo sia davvero; in effetti devo dire che probabilmente io non avrei mai avuto il coraggio, mentre con questo loro corteggiamento mi sono sentito lusingato ed onorato ed ho pensato che fosse un privilegio da sfruttare. Uso la parola privilegio perché credo che ci siano migliaia di persone, non solo in Italia ma nel mondo, che sperano di pubblicare un libro e non trovano chi glielo pubblichi, magari lo pubblicano a loro spese, ma è molto difficile. Invece il mio privilegio consisteva nel fatto che qualcuno di grosso della Rizzoli mi offriva un contratto, mi offriva la possibilità di scrivere: non potevo non sfruttare questa fortuna e quindi mi sono rimboccato le maniche.
Per quanto riguarda invece le difficoltà, devo dire che le conoscevo già a livello teorico. Mi interessano molto tutte le questioni attorno alla letteratura; è da molto tempo che ne leggo, non mi limito a leggere le opere letterarie, leggo anche le opinioni degli scrittori sulla letteratura. Quindi conoscevo molto bene i problemi a cui andavo incontro. Li ho trovati, ho cercato di affrontarli e in qualche modo ho provato a risolverli. Io credo di averli abbastanza risolti, anche se dirò che sono uno scrittore solo dopo aver fatto quattro o cinque libri, solo allora comincerò ad ammettere questa cosa di me. Per ora sono solo un cantante che ha fatto un libro.

 

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Evidentemente avevo delle cose da dire che non ero capace di condensare in un testo.

Nei racconti del tuo libro si può notare un certo distacco dalla tua esperienza come scrittore di canzoni, sia nei temi affrontati, sia nelle atmosfere che crei, come se si trattasse di esprimere una parte di te che nei testi finora non ha trovato sfogo. E’ un’interpretazione che condividi?
Sì, la condivido. La prosa dà più spazi, puoi scrivere molte pagine, mentre un testo lo risolvi in poche righe di una pagina e devi avere una tecnica ben precisa per condensare in quelle poche parole qualcosa, uno stato d’animo, una narrazione, un’emozione, sono immagini. La prosa ti offre la possibilità di dire un sacco di cose in più. Evidentemente avevo delle cose da dire che non ero capace di condensare in un testo.

Quest’anno ti sei avvicinato anche al cinema, partecipando al film di Davide Ferrario “Tutta colpa di Giuda”. Com’è stato confrontarsi con la recitazione?
Io avevo abbastanza timore di non essere all’altezza della situazione però Davide è un amico, anche lui è un fan dei Marlene Kuntz e mi ha cercato proprio in quanto fan, convinto che io fossi la persona giusta per fare quella parte. Gli ho detto: “Boh, se sei sicuro io vengo…”. Devo dire che la parola “recitazione” è davvero troppo per me, non c’è recitazione lì, c’è quello che io sono stato in grado di fare e tra l’altro è qualcosa che mi ha chiesto specificamente Davide. Il mio personaggio nel film è sostanzialmente assurdo, anche se c’è qualcosa di me che alla fin fine mi rispecchia, però non riesco a pensare che ho fatto della recitazione vera.

 

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Per qualcuno se non fai casino vuol dire che fai musica commerciale, però è strana questa cosa, ho dei dubbi che chi lo pensa sia un buon ascoltatore

Con i Marlene Kuntz sei reduce da un tour estivo in cui avete ri-affrontato dopo qualche anno i brani più elettrici e “cattivi” della vostra discografia. Com’è stato questo “ritorno alle origini”?
E’ veramente un falso problema questo. Io non riesco a vederlo come un ritorno, noi siamo sempre stati anche quello. Intorno a noi si dicono molte cose, per esempio che una volta eravamo bravi mentre adesso facciamo cagare, quindi per chi sostiene questo il nostro suonare elettrici può essere visto come un ritorno alle origini, ma noi non viviamo così questo fatto. Noi siamo quello, siamo quello che facciamo stasera qui al Tambourine, siamo i Marlene in teatro con la chitarra acustica, per noi non è un problema. Forse lo è per qualche ragazzino o per qualche nostalgico strano che crede che noi abbiamo cambiato: noi non abbiamo cambiato un bel niente. Evidentemente per qualcuno se non fai casino vuol dire che fai musica commerciale, però è strana questa cosa, ho dei dubbi che chi lo pensa sia un buon ascoltatore, perché c’è un sacco di musica tutt’altro che commerciale che non fa casino. Nick Drake per esempio, suonava voce e chitarra acustica. Faceva casino? No. Faceva musica commerciale? Nemmeno. L’equivoco è che da noi ci si aspetta rumore; se così è queste persone devono mettersi il cuore in pace, scegliere altri gruppi e ascoltare altra roba.

 

 

Io non sto più ascoltando rock, io sto ascoltando solo jazz e musica classica da almeno due o tre anni

Al concerto del Primo Maggio si è concretizzata la tua apparizione sul palco con gli Afterhours, che purtroppo non poté avvenire a Sanremo. Apparizione poi ricambiata da Manuel Agnelli nel vostro concerto milanese il mese scorso. Cosa pensi del progetto “Il paese è reale” portato avanti quest’anno da Manuel e compagni? Pensi che ci siano anche altri modi per migliorare la diffusione della musica indipendente italiana?
E’ un discorso complesso questo. Nel senso che se devo dire quello che penso, dico cose che probabilmente sono scomode, soprattutto partendo dall’ultima affermazione. Io non sto più ascoltando rock, io sto ascoltando solo jazz e musica classica da almeno due o tre anni, e sono veramente poco interessato alla musica cosiddetta indipendente. Da un punto di vista dell’empatia io sono a favore di qualsiasi tentativo di riuscire, io sono nato in un gruppo che tentava di farcela, quindi c’è tutta la mia simpatia, tutto il mio appoggio per queste situazioni. Il problema è che io non le seguo, non sono particolarmente interessato al discorso relativo alle scene, sono sempre stato interessato al singolo talento. Cioè non mi interessa la “scena indipendente”, mi interessa il gruppo figo, non necessariamente indipendente. La parola stessa “indipendente” mi mette molto in difficoltà, non so più cosa voglia dire. Indipendente da cosa? Identifica un genere? E se lo identifica, quando una cosa è indipendente e quando non lo è? Se uno firma un contratto con un’etichetta già non lo è più? Quali sono le etichette che vanno bene e quelle che non vanno? Ci sono milioni di necessità di chiarire la questione che a 42 anni non mi interessano più. Questa cosa non piace al 24enne tutto preso dagli idealismi per la musica, che leggendo queste risposte sul vostro sito dirà che sono uno stronzo. Se invece lui mi sentisse e io gli parlassi cercherei di fargli capire che non sono uno snob, sono semplicemente una persona di 42 anni che sta ascoltando altre cose. Il discorso su “Il paese è reale” viene di conseguenza. Io penso che sia un’operazione che gli Afterhours hanno dovuto fare perché quando sono andati a Sanremo non avevano un disco. Quando tu vai a Sanremo ci vai per promuovere qualcosa. Se però non hai nulla da promuovere a parte una canzone, e dato che i 45 giri non esistono più, hanno inventato questa operazione, che è stata un’operazione importante per poter dare un certo rilievo alla scena. Ma io sono sicuro che se avessero avuto un disco, avrebbero promosso il loro disco. Tengo a precisare che io ho dato una risposta alla tua domanda, non c’era intento polemico in ciò che ho appena detto, sono amico di Manuel e parlerei con lui di questo senza problemi, non gliela sto mandando a dire.

 

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Non credo di aver mai pensato in vita mia a un pezzo dei Marlene Kuntz pensando a Paolo Conte o a De André o alla PFM.

Nella vostra musica è possibile notare negli anni un avvicinamento alla tradizione italiana, esemplificata anche dalle cover che avete affrontato negli ultimi tour, vale a dire “La libertà” di Gaber, “Impressioni di settembre” della PFM e “Siberia” dei Diaframma. Si può dire che nel tempo vi siate resi maggiormente conto di quanto di buono sia stato fatto anche nella musica italiana?
Sì, credo di sì. E’ una buona osservazione questa, mi piace. E’ una cosa giusta e in fondo me l’hai anche fatta notare. Anche se continuiamo a non essere influenzati, quando faccio musica credo di essere sempre influenzato da modelli stranieri. Non credo di aver mai pensato in vita mia a un pezzo dei Marlene Kuntz pensando a Paolo Conte o a De André o alla PFM. Quando suono nella mia onda mentale ci sono gruppi stranieri, oltre alla mia personalità.

 

 

In un vostro brano affermate “Noi cerchiamo la bellezza ovunque”. Dove si può trovare la bellezza oggi in Italia secondo te?
“Noi cerchiamo la bellezza ovunque” vuol proprio dire che la si può trovare anche nelle cose brutte. La si può trovare forse con molta difficoltà, per esempio ci può essere un qualche gesto particolarmente ed inusitatamente strano di Berlusconi e uno può dire “guarda che bel gesto”. Cerchiamo e troviamo la bellezza ovunque, anche in una cosa brutta… Quindi volendo è ovunque, bisogna captarla e bisogna sintonizzarsi con essa. Credo sia uno dei messaggi della canzone, questo invito a vivere la vita positivamente, essere predisposti a vedere il bello e non il brutto nelle cose, avere una specie di ingenuità. Io credo molto come valore positivo all’ingenuità, che invece è solitamente considerata negativamente. Per esempio fin da piccolo i tuoi genitori ti dicono di non essere ingenuo, di stare attento. Ma l’ingenuità, nell’indole di una persona, è quella cosa che ti permette di affrontare il mondo senza malizia e senza vedere un potenziale nemico in esso, ma vedendoci anche la parte bella, e credo sia una caratteristica fondamentale per il vero artista.

Clicca sull'immagine per avviare la fotogallery. © Paola Rizzi

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.