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otrebbe succedere che fra non molto, fra le tantissime città che ospitano un festival culturale, Monza resti l'ultima ancora lì a guardare. A Mantova, Modena, Sarzana e tante altre, anche più piccole del capolguogo brianteo, ogni anno le strade si animano e si arricchiscono di incontri con scrittori, filosofi e artisti. L'idea di far nascere un festival a Monza circola da tempo, va detto (soprattutto al Festival delle Città Possibili), ma di concreto non si è mai visto nulla. L'ultima apparizione l'ha fatta nei giorni del GP di Formula 1 quando qualcuno ha tirato fuori dal cilindro l'ipotesi di un Festival dei motori. A voler essere cinici si potrebbe invitare l'ideatore a farsi un giro su Viale Lombardia tutti i giorni per assistere al Gran Festival dei Motori. A voler essere pragmatici si potrebbe dire che c'è già il MotorShow a Bologna. A voler essere propositivi c'è da considerare che spesso questi festival portano davvero vantaggi alle città che li ospitano. Di natura evidentemente culturale ma pure economica, anche se non sempre.

 

Per capire meglio cosa succede, abbiamo ripreso due articoli di Emanuele Salvato pubblicati da Diario in cui si parla dei successi, dei flop e soprattutto dello studio elaborato dal professor Guido Guerzoni su "L’impatto economico dei festival di approfondimento culturale". Commissionato da due Fondazioni, Cassa di Risparmio di La Spezia e Eventi, promotrici del Festival della Mente di Sarzana. Impressionante il rapporto investimenti-ricavi del festival di Mantova, per ogni euro speso dalla città, ne sono stati incassati 10. Forse questo farà luccicare gli occhi anche ai potentati economici di questo territorio, commossi dall'idea di una bella, remunerativa fabbrichetta culturale. Questa rivista, nel suo piccolissimo, sarebbe sicuramente pronta a fare la propria parte. Ma per cortesia, tenete spenti i motori o parcheggiateli da qualche altra parte. (AC)

Le foto sono tratte dal sito del Festivaletteratura di Mantova e dal sito del Festivalfilosofia di Modena Carpi e Sassuolo

 

Festival, sei tu la mia felicità.

Ecco cosa resta alle città ospiti, quando le grandi kermesse culturali levano le tende.

Di Emanuele Salvato

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Sono centinaia. Occupano le città italiane per pochi giorni, durante i quail si respira un'aria pregna di contenuti letterari, teoremi filosofici, disquisizioni che vanno daIl'ambiente alla matematica, passando per l'economia, la storia, Ia comunicazione, la poesia e la mente umana.

Sono i festival culturali, che da un decennio a questa parte sono diventati di moda in Italia, dopo che nel 1997 otto amici mantovani scommisero sulla potenza della letteratura urbana e portarono gli autori in mezzo alla gente.

Da allora i festival culturali si sono moltiplicati. Alcuni di questi hanno ottenuto un buon riscontro sul territorio e resistono; altri hanno avuto meno successo e arrancano nel disinteresse quasi generale (vedi, su Diario n.27/2006, "Mamma mia, non mi è venuto il festival").

La domanda, anche per quelle kermesse culturali convincenti e supportate dai numeri delle presenze, è questa: ma cosa rimane sul terntorio una volta che i festival levano - letteralmente - le tende? Aumentano gli affani per i commercianti? C'è un coinvolgimento delle attività, degli esercizi, delle istituzioni di ogni tipo, che operano in loco? Insomma, i festival seminano qualcosa o sul territorio lasciano soltanto lustrini e paillette? Non è facile rispondere. Ma almeno per quanto riguarda l'impatto economico che hanno sulle città che Ii organizzano, qualcosa si sta muovendo, grazie alle ricerche coordinate da Guido Guerzoni dell'Università Bocconi di Milano. Quanto a noi, durante tutto il corso del 2007, ci siamo mischiati fra il pubblico di quei festival, andando agli incontri, entrando nei bar, nei negozi, nei ristoranti, nelle librerie e nelle università.

Il viaggio parte da Mantova, culIa del Festivaletteratura. Giunta alla sua dodicesima edizione, in programma dal 3 al 7 settembre (fra gli autori presenti segnaliamo Carlos Fuentes, Scott Turow, Daniel Pennac, Eduardo Galeano, Loretta Napoleoni e Nassim Taleb), Ia kermesse può essere considerata un po' come la Settimana Enigmistica del settore: vanta innumerevoli tentativi di imitazione.

Forte delle quasi settantamila presenze del 2007, il Festivaletteratura è forse il massimo esempio di come questo tipo di manifestazioni funzionino. II coinvolgimento del territorio è totale. Lungo le vie del centro si fatica a passare, tale è la mole di gente armata di programma-vademecum che passeggia alla ricerca dell'autore preferito o dell'evento da non perdere. Il volto di Mantova nei cinque giorni di festival è stravolto: alberghi e ristoranti sono off limits, nei bar ci si spintona per un caffè, i negozi e, soprattutto, le librerie, sono presi d'assalto. «In cinque giorni» spiega Luca Nicolini, libraio e presidente del comitato organizzatore della manifestazione letterania «la libreria allestita in Piazza Erbe e gestita dalla Cooperativa librai mantovani vende qualcosa come ventimila volumi e fattura quello che un negozio di libri fattura in tre mesi. L'effetto festival sulle vendite si fa sentire un po' prima dell'inizio della manifestazione e si protrae fino a Natale». E se ne è accorta anche la Feltrinelli, che due anni fa ha aperto una filiale in centro, per la gioia dei librai mantovani...

Un dato che evidenzia come l'iniziativa sia benefica per tutta la città lo ha ricavato anche Guido Guerzoni, il docente di Economia e management delle istituzioni culturali alla Bocconi. Grazie a uno studio cornmissionatogli dalla Regione Lombardia, desiderosa di constatare l'impatto economico delle manifestazioni culturali sul territorio, Guerzoni è arrivato alla conclusione che ogni euro investito per l'organizzazione del Festivaletteratura ne rende dieci alla città. Per stabilirlo, il ricercatore, nel 2006, ha fatto diffondere 150 questionari ad altrettanti turisti letterari. A questo campione è stato chiesto quanti soldi spendesse giornalmente e in che modo. Il volume di entrate, per le attività commerciali cittadine, è stato quantificato in 12.189.600 euro. A questi sono stati aggiunti i 2.252.360 euro prodotti dalle attività organizzative. Sommando le due cifre la ricaduta positiva suIl'economia cittadina è stata di 14.441.520 euro. Se si considera che l'edizione 2006 è costata 1.400.000 euro, ecco che si ottiene l'effetto «moltiplicatore dieci».

Anche il Festival della Mente di Sarzana, nato nel 2004 e in programma per gli ultimi giorni di agosto, ha saputo imporsi a suon di presenze (trentamila nel 2007). L'evento è stato analizzato ancora da Guerzoni che, utilizzando lo stesso metodo d'indagine usato per il Festivaletteratura, ha quantificato in 3.642.554 euro l'impatto economico totale del Festival della Mente per il 2007. Considerati i 500 mila euro d'investimento si può constatare che il festival di Sarzana moltiplica per sette ogni euro investito per la sua realizzazione. «Già dalla seconda edizione» commenta Daniele, che ha un negozio di fumetti in centro «ho notato un cambiamento. La città è più vivace, c'è più gente in giro e anche il mio lavoro è aumentato. Ci sono persone un po' strane, che si atteggiano a intellettuaIi, fumano sigari e leggono per strada, mentre camminano».

Soddisfatte per gli effetti collaterali della kermesse sarzanese sono Roberta e Lorella del pub La fattona: «Nel periodo del festival» dicono «lavoriamo di più. Senza dimenticare che per fare bella figura con i turisti, l'amministrazione comunale ha sistemato parecchie strade, creato parcheggi, abbellito la città ed è anche sorto qualche nuovo albergo». A gonfie vele, nei giorni della rassegna, vanno pure le vendite dei libri, come conferma la titolare di La mia Iibreria: «Ho notato un forte incremento di vendite» ammette «soprattutto per quanto riguarda gli autori presenti a Sarzana. E l'effetto prosegue anche fino a Natale».

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A Trento, dal 2006, è l'economia a essere protagonista. Una scommessa vinta in fretta, questa del Festival Economia, forte delle settantamila presenze dell'anno scorso. Anche in questo caso nei giorni del festival la città non è più Ia stessa: c'è più gente per le strade, nei bar della piazza del Duomo piovono quantità industriali di spritz e c'è da aspettare a lungo prima di potersi sedere ai tavoli.

Cambia la città, ma cambiano anche i contenuti dei discorsi della gente. In una pizzeria vicina al centro storico, due signore del posto parlano di «territorialità» mentre aspettano la pizza. E s'innervosiscono perché questa non arriva e rischiano di perdersi l'incontro con Eliana La Ferrara sul «capitale delle diversità etniche». Scene mai viste prima, giura una cameriera del locale. Ma c'è anche chi l'economia la fa per se stesso. A un incontro con Esther Duflo su come migliorare il capitale umano nei Paesi in via di sviluppo, ci avvicina un signore barbuto, Diego Zeni, artigiano che lavora il ferro a Folaso Isera, paesino in provincia di Trento. Ci racconta del festival. Gli incontri li ritiene interessanti: «Certo, non posso essere d'accordo con tutti i relatori, ma li ascolto. Intanto tenga il mio biglietto da visita, questa forchetta è lavorata da me, e se le interessa mi venga a trovare che ho tante belle cose da venderle ». Che si tratti di un incontro estemporaneo sull'economia domestica? il dubbio rimane.

Ma c'è anche chi la kermesse trentina la contesta. È il caso di Valerio Tonolli, consulente anticorruzione, antispreco e antipotere arrogante, che si muove per le vie del centro agitando un cartello sul quale campeggiano le argomentazioni del proprio dissenso: «Questo festival» spiega «è uno spreco di soldi, che potrebbero essere impiegati per migliorare i servizi ai cittadini».

Ma, contestatori a parte, c'è un interessante risvolto: si tratta dell'effetto che la rassegna pare abbia sulle iscrizioni universitarie. I numeri parlano chiaro: negli ultimi tre anni le matricole a Economia e commercio all'Università di Trento sono aumentate del 5 per cento. Se nell'anno accademico 2006-2007 gli iscritti alla facoltà sono stati 2.455, in quello successivo sono aumentati a 2.560. «Si tratta», spiega Paolo Collini, preside delta facoltà, «di fenomeni ciclici, che non Iegherei alla presenza del festival sul nostro territorio. Anche se grazie a quest'evento si è creata molta più attenzione attorno a una materia considerata ostica, e non posso escludere che ciò abbia avvicinato un maggior numero di studenti alla nostra facoltà».

Cambiando città, e festival, ma collegandoci sempre al discorso universitario, un'altra rassegna che sembra aver favorito la ripresa delle materie umanistiche è il Festival della Filosofia di Modena. Anche in questo caso dall'università della città emiliana sono prudenti e non associano il dato positivo alla presenza della manifestazione, che dal 19 al 21 settembre celebrerà l'ottava edizione dedicata alla fantasia. Comunque sia, l'anno scorso l'incremento di iscrizioni a Lettere è stato del 10 per cento. Università a parte, la kermesse, che oltre a Modena coinvolge i territori di Carpi e Sassuolo, gode di ottima salute e ha chiuso l'edizione 2007 con oltre 120 mila presenze. Anche in questo caso it festival sembra essersi integrato perfettamente con la città e chi la abita, creando un movimento di persone e affari più intenso rispetto al resto dell'anno. «Dati precisi sull'impatto economico e sul comvolgimento del territorio non li abbiamo ancora», precisa Roberto Franchini, presidente del comitato promotore, «ma è evidente che i modenesi sono coinvolti dalla manifestazione, e per la città c'è un ritorno economico e di immagine. Albergatori, commercianIi e ristoratori beneficiano dell'effetto festival. E se per Mantova l'impatto è un euro investito, dieci di ritorno, direi che per Modena siamo sull'ordine dell'uno a cinque».

Meno feeling con il territorio sembra avere un'altra nobile arte espressiva. A Parma si è da poco conclusa la quarta edizione del Festival della Poesia. Gli organizzatori ostentano soddisfazione per il successo di pubblico, ma quando nel 2007 siamo andati nella città emiliana per osservare da vicino la kermesse, abbiamo avuto l'impressione di un certo distacco dei parmensi dall'iniziativa. Alcuni non sapevano neppure cosa fosse questo festival. Come la ragazza a cui abbiamo chiesto indicazioni su un evento in cartellone, caduta dalle nuvole quando gliene abbiamo parlato: «Lo so adesso che esiste, perché me lo dici tu», ha risposto. Al Bar Lounge Cafe è appena terminato un aperitivo con I'autore: «Di gente ce n'era abbastanza» confida un cameriere «e per un quarto d'ora abbiamo anche aumentato le consumazioni, ma per il resto... chi vuole che venga, con 'sto caldo, ad ascoltare i poeti?» Va meglio per i libri, come affermano alla libreria Fiaccadori, vicino al Duomo: «Per tutta la settimana abbiamo avuto un volume di affari superiore alla media, in particolare abbiamo venduto libri di poesia, cosa che capita raramente durante il resto dell'anno».

Se a Parma si può parlare di clima freddino, a Riva del Garda il Festival Radio Incontri sembra essere proprio un corpo estraneo alla città. La gente passa quasi senza accorgersi di Riva Radio Incontri. I molti turisti sono tedeschi e lo ignorano. Se ne rendono conto benissimo anche gli organizzatori, ma più di tanto non fanno per camblare le cose: «Guardi» spiega Enzo Bassetti, uno dei promotori dell'evento «se avessimo voluto coinvolgere il terntorio avremmo organizzato un'edizione bis del Bike Festival, che a maggio è stato letteralmente preso d'assalto. Ma quello che ci interessa fare con Radio Incontri è diffondere nell'etere il nome di Riva per attirare più turisti italiani. Ora come ora il 75 per cento del turismo, qui da noi, è straniero».

Vogliamo fare un tentativo per renderci conto di quanto il festival sia lontano dal territorio. Entriamo in un negozio che vende elettrodomestici e domandiamo al titolare se, per caso, in questi giorni, abbia venduto più radio. Ci guarda con aria stranita, poi si fa serio: «Se non esce subito, chiamo i carabinieri». Più chiaro di così...

Da Diario n. 13 del 25 luglio 2008

 

 

Mamma mia, non mi è venuto il festival

Di Emanuele Salvato

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Dopo il festivaletteratura, il festivalfilosofia, il festival dell’architettura, il festival degli elementi (aria, acqua, terra, fuoco), il festival dell’economia, i vari festival della storia, della creatività, della musica, della scienza, dei diritti umani…

Ecco affacciarsi all’orizzonte del mare magnum festivaliero italiano il Festival del manovale. Proprio così. La manifestazione si è da poco conclusa (il 18 giugno) a Calvisano, in provincia di Brescia, ottenendo grande successo. Fra le peculiarità della kermesse – «costruttiva», ça va sans dire – il premio Cazzuola d’oro al manovale più abile, l’elezione di Miss Cazzuola e lo spettacolo scoppiettante dei campioni della gara Rutto Sound da anni organizzata a Reggiolo.

Negli stand ospitati nel centro sportivo San Michele di Calvisano) era possibile degustare l’eccezionale e corroborante birra «doppia malta ». Gli organizzatori hanno dichiarato che la seconda edizione è già… in cantiere. Per fortuna c’è chi ha voglia di sorridere, altrimenti quella dei festival, quelli culturali o pseudo tali, rischierebbe di trasformarsi in una moda a rischio di banalità. Una moda che ha già ripetutamente generato mostri dalle grandi teste, ma dalle gambe talmente piccole da non reggersi in piedi.

Così, se alcuni festival culturali crescono e si moltiplicano, altri (non pochi) bevono l’amaro claice dell’effetto flop. L’imitazione, la ripetitività – caratteristiche non necessariamente negative se messe bene in circolo – sono alla base di questo tipo di manifestazioni. La dinamica è questa: una città, un’istituzione, un’associazione decidono di organizzare un festival: il centro storico «si anima» per definizione, le piazze e le vie si riempiono di tensostrutture, perché sarebbe spiacevole per il pubblico assorbire nuovi concetti sotto la pioggia, maledetta dagli organizzatori, ma sempre dietro l’angolo e pronta a rovinare la festa. E con i festival arrivano puntuali anche gli ospiti «carta carbone».

In genere poche donne, con la vistosa eccezione di Lella Costa, in ogni caso è quasi impossibile pensare a una rassegna che non abbia avuto fra i protagonisti Claudio Magris, Umberto Eco, Alessandro Bergonzoni, Michele Serra (con immancabile Giovanna Zucconi), Bruno Gambarotta, Moni Ovadia, Giuseppe Cederna, Tullio De Mauro, Umberto Galimberti, Remo Bodei, Piergiorgio Odifreddi, Edoardo Boncinelli, Vittorino Andreoli, Tahar Ben Jelloun, Vincenzo Cerami, tanto per citare i più gettonati. La spettacolarizzazione è un altro must di questo tipo di manifestazioni che vengono così costellate di concerti, spettacoli teatrali e performance varie, per giustificare i quali gli ideatori si esibiscono in acrobazie semantiche, utili a trovare collegamenti fra il tema della kermesse e gli spettacoli (più o meno gli stessi) in programma.

E che dire delle dimensioni? Un festival, in quanto tale, non può durare meno di tre giorni, gli eventi non possono essere meno di 150 e, alla fine, le presenze «ufficiali» non possono mai essere al di sotto delle 20 mila, altrimenti che figura ci farebbero gli organizzatori? Infine, il capitolo scuole e studenti. Non c’è festival degno di tale marchio che non ne preveda un coinvolgimento: per loro i solerti «festival-maker» organizzano laboratori ed eventi ad hoc. In molti casi la risposta è spontanea e sincera, in altri c’è come il sospetto che i ragazzi di elementari, medie e superiori vengano utilizzati per fare numero e gonfiare le presenze di cui sopra, come al Festival della scienza di Genova (per cui si parla di 35 mila persone), Scrittorincittà di Cuneo, o al recente Elementi di Parma, dove il 20 per cento dei 10 mila presenti era rappresentato da studenti (con platee piuttosto vuote per gli incontri fuori dalle ore di lezione). I ragazzi soddisfatti sottolineano con qualche sbadiglio la gioia di una mattinata fuori dall’aula.

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Imitate e moltiplicatevi. Quando si parla di festival di successo, è impossibile non fare riferimento al sopraccitato Festivaletteratura di Mantova, il capostipite di tutte le kermesse culturali italiane, capace di sdoganare la letteratura e i libri dalle fiere. In dieci anni la manifestazione, che quest’anno si svolgerà dal 6 al 10 settembre, è stata capace di registrare consensi crescenti, nonostante all’inizio persino gli addetti ai lavori storcessero il naso. Una formula semplice, ma ritenuta rischiosa, quella delFestivaletteratura, che ha nell’incontro, con prenotazione e biglietto a pagamento, tra autore e lettore in luoghi caratteristici e storici della città dei Gonzaga l’asse portante. Modena, ispirandovisi, ha creato nel 2001 il Festivafilosofia, anch’esso un successo, che ha ottenuto il non trascurabile risultato di avvicinare la filosofia alla gente (l’anno scorso gli organizzatori hanno dichiarato 100 mila presenze).

E bene sta andando il Festival della Mente di Sarzana, elogio della creatività nato nel 2004, frequentato l’anno scorso, secondo gli ideatori, da 20 mila persone, il 66 per cento in più di quelle della prima edizione. Clamoroso, infine, il Festival dell’economia appena organizzato a Trento dalla Provincia trentina, dal Sole 24 Ore e dalla casa editrice Laterza.

In cinque giorni ha richiamato 70 mila persone che si sono appassionate al rapporto Ricchezza e povertà, ascoltando il sociologo Zygmunt Baumann, l’economista Richard Layard e il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, scoprendo il fascino della «scienza triste».

Non a tutti i festival, però, è andata bene come a quelli appena descritti, i cui organizzatori, è bene precisarlo, peraltro, non hanno mai nascosto di essersi ispirati ad altre manifestazioni. Festivaletteratura ha preso spunto da Hay on Way in Galles (quest’anno alla ventesima edizione), Modena, Sarzana e Trento hanno applicato il modello Mantova adattandolo ai propri centri storici. Ma qualche volta il trapianto non riesce. Il pubblico non si vede ed è flop.

 

L’importante è crederci. Due anni dopo la prima edizione di Festivaletteratura, lo scrittore Roberto Pazzi, folgorato sulla via Mantova, ha deciso di creare qualcosa di simile a Ferrara. Appoggiandosi alla giunta comunale guidata dal sindaco Roberto Soffritti, Pazzi ha dato vita all’associazione Ferrara Letteratura, che avrebbe dovuto, nel giro di poco tempo, mettere in piedi un appuntamento permanente. Il primo atto dell’associazione è stato quello di organizzare, dal 21 al 23 maggio del 1999, il convegno letterario L’immaginario contemporaneo, a tutti gli effetti numero zero della futura rassegna. Tra i partecipanti Claudio Magris, Tahar Ben Jelloun (vedi sopra a proposito dei soliti noti) o James Hillman, ma il riscontro di pubblico è stato scarso, il coinvolgimento della città quasi nullo, per cui l’anno dopo, l’assessore alla Cultura Alberto Ronchi, ora assessore regionale, ha taglianto i finanziamenti, all’incirca 200 milioni di lire secondo il quotidiano Il Resto del Carlino, 500 mila euro secondo Ronchi, 500 milioni di lire secondo Pazzi: «Abbiamo preferito investire risorse in altri settori, come Ferrara Musica e Ferrara Arte», spiega Ronchi, che aggiunge, «Ferrara Letteratura ci avrebbe obbligato a investire sempre più risorse economiche per creare una struttura permanente in grado di assicurare continuità. Abbiamo preferito concentrarci su altre iniziative. Con questo non voglio affermare che la rassegna del professor Pazzi non fosse interessante o fosse andata particolarmente male».

Il dubbio che se l’iniziativa fosse venuta bene l’amministrazione in qualche piega del bilancio i finanziamenti li avrebbe trovati è legittimo. Roberto Pazzi invece attribuisce l’annullamento «all’infausto cambio del sindaco e dell’amministrazione comunale. Il festival era andato bene registrando 30 mila presenze in tre giorni, ma l’insensibilità della nuova amministrazione e dell’assessore Ronchi, esperto di cinema, ma non di letteratura, ha impedito la sua prosecuzione », e sottolinea, «la scelta della nuova giunta di abbandonare la letteratura e di puntare su altre forme culturali è stata dettata da utilitaristiche considerazioni di visibilità politica, ben maggiore con l’organizzazione di concerti e mostre».

Se a Ferrara è andata male con la letteratura, a Firenze non è andata per niente bene con la creatività. La Regione Toscana, in particolare l’assessore alla Comunicazione Chiara Boni, e la nota creativa pubblicitaria Anna Maria Testa, dopo essersi ispirate frequentando diversi festival da Mantova a Sarzana, hanno deciso di dare vita, dal 18 al 22 maggio 2005 nella Fortezza da Basso, a Nuovo e utile, il primo festival della creatività e dell’innovazione. «Ho visto il successo dei festival di Mantova, di Modena e di Genova», ha dichiarato Chiara Boni presentando la rassegna, «e ho pensato che qui un’iniziativa del genere potesse diventare ancora più speciale». Nel 2004, circa un anno prima, per preparare al meglio la kermesse, era stato messo in piedi anche un megaconvegno di studi sulla creatività.

Ma non è stato sufficiente: il flop era in agguato. Agli incontri è andata pochissima gente, alcuni sono rimasti desolatamente vuoti, il tanto sbandierato incontro fra creativi e imprenditori non si è quasi mai verificato.

Va detto che aver concentrato gli eventi nell’unica, benché suggestiva, della Fortezza da Basso, ha limitato molto la capacità del festival – costato alla Regione e a sponsor con la S maiuscola come Monte dei Paschi e Ferrovie dello Stato, poco più di un milione d’euro – di coinvolgere la città. E se i fiorentini non si sono appassionati a Nuovo e Utile – nonostante la presenza, nei 200 eventi, di personaggi come Claudio Magris (ma dai?), Paolo Prodi, Franco Carlini, Moni Ovadia, Valerio Adami, Pupi Avati, il cestista Gianmarco Pozzecco e il signore degli anelli Jury Chechi – meglio non è andata con chi poteva venire da fuori.

Poco dopo la conclusione, il presidente della Regione Toscana, Carlo Martini, ha dichiarato: «Non misuro il successo dell’iniziativa dalla quantità di gente che è venuta (che in parole pover vuol dire poca, almeno rispetto alle aspettative, ndr), paghiamo un po’ il fatto che, a causa della campagna elettorale, non siamo riusciti nei mesi precedenti a dedicare la necessaria attenzione alla propaganda dell’evento e poi c’è anche da considerare che la struttura è molto grande e dispersiva».

Con a disposizione un carro armato della comunicazione come Anna Maria Testa, non riuscire, come dice Martini, «a dedicare necessaria attenzione alla propaganda dell’evento», appare quasi impossibile. Ma tant’è. Di Nuovo e Utile non si è più parlato e quest’anno in ottobre è in programma il Festival della creatività. A occuparsene, però, non sarà più Anna Maria Testa: «Con la Regione Toscana i rapporti rimangono ottimi, ma non c’erano più le condizioni per riproporre Nuovo e Utile, poiché mancavano soldi, tempo e la volontà di ripeterlo. Non per questo si può definire il festival un insuccesso, anche se è stato accolto da una Firenze un po’ distratta dalle elezioni».

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Diritti (dis)umani. Il re dei flop a tutti gli effetti, è il festival dei diritti umani ovvero Le giornate dei diritti a Mantova dal 27 al 30 maggio 2004. Per rendersi conto del fallimento dell’iniziativa, basta un dato: dopo quattro giorni d’incontri contro la barbarie, le ingiustizie, il razzismo e la violenza, il libro più venduto nella libreria allestita in piazza Erbe era La rabbia e l’orgoglio, che com’è noto non è proprio un invito alla tolleranza e alla convivenza pacifica, di Oriana Fallaci. Il festival, voluto da Vittorio Bo (all’epoca per breve tempo direttore del Centro internazionale d’arte di Palazzo Te) e dalla giunta dell’allora sindaco Gianfranco Burchiellaro, pronta a investire 400 mila euro, è partito in modo anomalo fin dalla presentazione a Verona, nonostante l’intera manifestazione si sarebbe poi tenuta a Mantova.

Sfogliando l’elenco dei sostenitori balzava agli occhi l’assenza d’organizzazioni umanitarie storiche come Amnesty International o Emergency, fatto che ha privato di quel tocco di credibilità che sarebbe servito, forse, a farlo funzionare. E, infatti, non ha funzionato: agli incontri (circa trenta, ai quali hanno partecipato relatori come Gad Lerner, Tahar Ben Jelloun, Salvatore Veca, Ignacio Ramonet, Italo Moretti) si è recata pochissima gente, tanto comunque rispetto alle proiezioni dei film «umanitari», organizzate in varie location della città, dove in sala si contavano una media di cinque-sei persone a pellicola, per non paralre delle mostre collaterali andate deserte e degli spettacoli di contorno, con l’eccezione della brava cantante portoghese Misia, il cui malinconico fado è stata paradossalmente l’unica occasione di allegria per gli organizzatori.

Questi ultimi in ogni caso alla fine hanno manifestato soddisfazione e hanno cercato di convincere l’opinione pubblica (e forse loro stessi) che le 5 mila presenze registrare agli incontri (diventate magicamente 7 mila qualche giorno dopo sul sito della manifestazione) erano sintomo di una buona riuscita del festival. In ogni caso il sindaco Burchiellaro, in sede di chiusura della kermesse, aveva dichiarato: «L’esperienza, fatte le dovute correzioni, sarà sicuramente ripetuta e diventerà appuntamento fisso per Mantova ». Così fisso che non se n’è saputo più nulla.

 

Un po’ sì e un po’ no. Come si diceva all’inizio, non ci sono solo i festival andati bene o quelli andati male. Esistono anche quelli altalenanti, andati così così e ancora alla ricerca di una precisa identità. È il caso del Mantova Musica Festival, il famoso «controfestival» di Sanremo organizzato nel 2004 da Nando dalla Chiesa come risposta alla tradizionale rassegna rivierasca che in quello era stata affidata a Tony Renis. Il primo anno il Mmfse l’è cavata bene, richiamando 30 mila persone grazie alla risonanza mediatica garantitagli dall’opposizione. Il secondo anno, perso l’antagonista, il Mmf ha smarrito anche la bussola: spostato da marzo a giugno, imbarca varia umanità e diversi comici di area Zelig con il risultato che l’eccesso di contaminazione combinato con la dispersione in luoghi lontani dal centro della città fa scattare l’effetto flop sia pure nella variante mini. Gli organizzatori però si fanno coraggio e alla fine non esistano a dichiarare 30mila presenze.

Giunti alla terza edizione, quest’anno, però, apportate le opportune modifiche, eliminati i comici e aumentati i cantanti (tutto sommato una buona scelta per un festival di musica) il Mmf, concentrato nel centro cittadino, ha richiamato più gente (50 mila presenze secondo gli ideatori) ottenendo un buon successo.

Anche la storia e la scienza, sono state prese di mira dai festival-makers. A Correggio, Mirandola e Reggio Emilia, nel 2000 è stato organizzato, il primo Festivalstoria: non esattamente un trionfo, ma nemmeno un flop totale, che si è esaurito nel giro di qualche anno a causa di litigi fra gli organizzatori e cambi di giunte non più interessate alla kermesse. A Gorizia, invece, la storia ha funzionato e continua a riscuotere un discreto successo se è vero, come lo è, che a oggi il Festival della storia ha da poco messo in archivio la seconda edizione e sta già preparando la terza; un’eco positiva sta avendo anche un appuntamento storico a Cuneo, il cui secondo capitolo si scriverà a ottobre, mentre nulla si è più saputo del Festival della storia di Bologna tenutosi sotto le due torri fra il 10 e 16 ottobre 2004.

Venendo alla scienza, del successo di Genova si è in parte già detto, così come dei numeri di presenze (35 mila visitatori e 216 mila presenze) garantitegli, in parte, dal massiccio coinvolgimento delle scuole. Bene sta andando anche Bergamoscienza, se è vero, come affermano gli organizzatori del festival nato nel 2003, che nel 2005 i visitatori totali sono stati 61 mila, il 74 per cento in più rispetto all’edizione del 2004. Anche in questo caso, bisogna dire che una grossa mano (circa 15 mila persone) è stata data dalle scuole.

Tanti sarebbero ancora appuntamenti e rassegne (non si può sempre usare la parola festival) e forse non basterebbe una minienciclopedia. Si potrebbe dire che non tutte le ciambelle riescono col buco o che il troppo «stroppia». Proverbi famosi. Oddio, non è che qualcuno in questo momento starà pensando a fare anche un festival dedicato a questi?

Da Diario n. 27  2006