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A pochi mesi dalla conclusione dei lavori di restauro del corpo centrale della Reggia di Monza, sul Corriere della Sera Carlo Edoardo Valli (presidente della Camera di Commercio briantea) parla di un Museo del design con collaborazione della Triennale di Milano nelle sale progettate da Piermarini. Una idea non nuova: Ezio Rovida e l'ISA l'avevano già proposta nel 2003, per esempio

 20140118-corsera«Ritorno alle origini. A quando, nel 1923, fu inaugurata la prima «Biennale delle arti decorative» nella Villa Reale di Monza. Con questo spirito, in vista di Expo 2015 e della XXI Esposizione internazionale delle arti del 2016, la Triennale di viale Alemagna ha avviato un progetto: allestire nella reggia — in tempi brevissimi — uno spazio permanente dedicato al disegno industriale. E, accanto, creare incubatori di impresa con momenti formativi e informativi per progettisti, industriali, studenti. Il design torna nella sua culla. La Brianza. Il progetto è in fase avanzata, tanto più che è di pochi giorni fa l’ingresso della Camera di Commercio di Monza e Brianza come nuovo socio della Triennale, con dote da 350 mila euro all’anno e un nuovo consigliere, Carlo Edoardo Valli (presidente della Camera brianzola).» È così che sul Corriere della sera del 18 gennaio 2014 si apprende dell'iniziativa “patrocinata” dal sempreverde Carlo Edoardo Valli di “riportare” la Villa Reale all'antica vocazione di spazio dedicato alle arti applicate. L'idea, indubbiamente interessante, non è certo nuova però. Già su queste pagine negli anni è tornata e ritornata (e ne trovate traccia nell'ebook che potete scaricare gratis da qui), ma ancor prima — nel 2003 — fu esposta da Ezio Rovida per l'ISA Monza: «La lessi nella conferenza di servizi fra tutti gli enti interessati svoltasi nell'aula del Consiglio comunale» ci ha ricordato il professore. Torneremo molto presto sulla questione, nel frattempo vogliamo riproporre integralmente il testo dell'intervento e l'articolo del Corriere.

 

Il Museo Italiano del Design e della Comunicazione.

Una proposta per la Villa Reale di Monza

Relazione di Ezio Rovida, per conto dell’Istituto d’Arte di Monza

Premessa

Se si prende in considerazione il territorio della Brianza, la Villa Reale ed il Parco di Monza rappresentano un bene prezioso ed insostituibile, il cui riuso implica tuttavia grandissimi ed impegnativi problemi dovuti alla natura stessa del complesso, nato per fornire l'immagine della maestà e della sovranità regale.

Progettata come reggia arciducale del Ducato di Milano teresiano, la Villa Reale fu a più riprese ampliata, prima per farne la reggia del Regno d’Italia napoleonico, con la costituzione del Parco, poi la residenza dei viceré del Lombardo Veneto ed infine di Umberto I.

Il complesso Villa-parco rappresenta quindi un bene storico unico, un patrimonio collettivo non solo per Monza, ma per la Lombardia e lo Stato Italiano.

La difficoltà nell’ipotesi di riutilizzo di un simile bene è evidente: un palazzo ed un parco reale possono sussistere e hanno uno scopo solo se sorretti dal potere sovrano. Poteri minori, anche con le migliori intenzioni, non hanno una forza decisionale ed economica adeguata a gestirli, rischiano di trasformarli in una sorta di miscellanea di iniziative, privatizzandoli o condominalizzandoli, insomma, di­struggendoli.

La Villa può sopravvivere solo mediante una scelta di livello nazionale, mettendola al centro di un’iniziativa di portata italiana ed europea che fornisca alla collettività un servizio unico e necessario, e che sia in grado, se non di autofinan­ziare comple­tamente i suoi scopi, di reggere in buona parte gli ingenti ed inevitabili costi di gestione. Nello stesso tempo la scelta deve esaudire le esigenze culturali, artistiche e turistiche della città di Monza e fornire un servizio al territorio della Brianza, a Milano ed alla Lombardia.

Il problema fondamentale della Villa Reale, drammaticamente acutizzatosi nella seconda metà del novecento, fu il venir meno di una forma proprietaria che disponesse dei poteri e dei mezzi culturali oltre che economici per utilizzare pienamente un bene di questa dimensione. Questo problema si ripropone anche oggi in tutta la sua portata.

L’uso della Villa dopo il Legato Umbertino: l’esperienza I.S.I.A..

Per cercare di trovare una destinazione alla Villa Reale sarà il caso di esaminare brevemente la sua storia da quando smise di essere reggia, esaminando quindi i tentativi di riuso prospettati o praticati.

Si tende spesso a dimenticare che il primo e più importante progetto di riuso della Villa è contenuto appunto già nell’atto con cui Vittorio Emanuele III faceva dono al pubblico uso della reggia tanto amata dal padre.

Infatti i Savoia, col Regio Decreto del 30 aprile 1920, affidando la Villa al Consorzio formato dai Comuni di Milano e di Monza e dalla società Umanitaria, destinarono la Villa a

- promuovere e ordinare le esposizioni di Arte applicata all’industria, a istituire e mantenere Scuole d’Arte, Istituti d’Arte, Scuole Superiori di Arte Applicata all’Industria.. a carico del Consorzio stesso, dello Stato, dei Comuni ...creare biblioteche tecnico-artistiche...corsi speciali di completamento e di perfezionamento....-

Fu la Società Umanitaria, in cui si mescola­vano istanze sociali ad esigenze morali, per volontà del suo Segretario generale Augusto Osimo a concepire l'idea che la Villa dive­nisse un museo e al tempo stesso un luogo d'esposizione e di formazione destinato ad educare ed elevare artisticamente gli artefici nel campo delle arti decorative.

Si intendeva fare della Reggia il centro espositivo del meglio della produzione dell'indu­stria artistica ita­liana e il fulcro degli studi artistici del Mila­nese e della Brianza, non arte per l'arte, quindi, ma arte co­niugata al lavoro e all'industria.

Osimo non riuscì ad evitare lo svuotamento della Villa e la dispersione dei suoi arredi, ma i suoi sogni presero corpo: Guido Maran­goni, suo successore, ebbe la Villa in perpe­tuo per organizzare le Biennali delle Arti Decorative, che rappresentano l'esperienza espositiva e cultu­rale più alta degli anni '20, fondamentale per la produzione artistica del novecento italiano.

Nel frattempo nasceva, nell'ala che aveva ospitato la servitù ed i servizi, un convitto artistico, prima Uni­versità delle Arti Decorative e poi Istituto Superiore per l'In­dustria Artistica, che avrebbe accolto ed affinato molti fra i migliori ingegni artistici del periodo che va dal 1922 al 1943.

La scuola era anche convitto: gli allievi allog­giavano nelle camerate dell'ala dei servi, e al piano terreno, nelle scuderie e maneggi e rimesse delle carrozze, furono ricavati grandi studi per la pittura, la scultura, l'ebanisteria, la grafica. Qui lavorarono pittori come De Grada e Semeghini, scultori come Arturo Martini e Marino Marini, ceramisti come Posern, Zi­melli e Fumagalli, grafici pubblicitari come Nizzoli e Nivola, orafi come Ravasco e Vermi, architetti come Pagano e Persico, ebanisti come Buzzi e Romano, artisti del ferro battuto come Mazzuccotelli e Vergerio.

Il centro artistico della Villa fu un'isola feli­ce ma in fondo rimase estraneo alla consapevolezza delle forze che amministrarono Monza. Per questo, col passaggio dall’artigianato artistico al più moderno rapporto arte-industria, fu facile a Milano appropriarsi delle Biennali di Monza e trasformarle nella Triennale di Milano.

L'I.S.I.A. rimase sola e, quando, nel 1943, l'Italia fu occupata dai tedeschi, l’edificio fu requisito per le SS. Alla fine della guerra Riccardo Bauer, commissa­rio dell'Umanitaria, nel nome dell'ideale ar­tistico e sociale, si batté perché l'I.S.I.A. fosse riaperta, ma le amministrazioni locali propendevano per una gestione diretta dell’edificio: per tutta risposta il sindaco di Monza a più riprese protestò perché il materiale didattico dell'I.S.I.A. era ancora alla Villa Reale e com­portava spese di custodia. L'I.S.I.A. non riaprì mai più.

Dal 1945 ad oggi.

La gestione della Villa restò ai Comuni di Monza e Milano. Ma questa non ebbe mai tempo o voglia di occuparsi seriamente della reggia e Monza fu sostanzialmente l'unica ad investire denari per il suo mantenimento e restauro, anche se spesso lo fece in modo con­fuso e sporadico: ne usò l'ala Nord per la Pinacoteca Civica, l'ala Sud per scuole di vario genere, gli ammezzati per i profughi, la parte nobile per iniziative temporanee, o per feste e per la Mia, il serrone ed il giardi­no adiacente furono dati in uso ad un magna­te locale per crearvi il bel roseto.

In fondo l'idea di Osimo fu la migliore, anzi l'unica idea in cent'anni in grado di far rivivere la Villa, e anche dopo la chiusura dell'I.S.I.A. e la fine della Biennale generò nuovi virgulti.

Prima nacque la Mia, la Mostra Internazio­nale dell'Arredamento. Era ancora una volta il discorso dell'industria arti­stica, collegato in particolare al mobile, di cui la Brianza è tradizionalmente ricca, a riproporre il tema del rap­porto fra la cultura del fare e il bello, fra arte e mercato.

Ma la storia tende a ripetersi, come nel caso di Biennale e Triennale, il neonato Salone del Mobile di Milano svuotò sempre più di si­gnificato la MIA, che, ridotta ad iniziativa di sempre minor rilevanza, fu infine allontanata dalla Villa in nome della necessità di tutelare l’edificio dai danni provocati dalle attività espositive.

Anche l'idea della scuola d'arte rigermogliò: col primo centrosi­nistra a Monza fu la sinistra, e in particolare il socialista Giulio Redaelli, a battersi per ridar vita ad una scuola dedicata al rapporto arte industria, l’Istituto Statale d'Arte (I.S.A.), che aprì nel 1967 nella sua sede naturale, quell'ala della servitù che già aveva ospitato l'I.S.I.A.. Nella Villa rinacquero studi per la scultura ed il dise­gno, laboratori di ebanisteria e modellistica, di fotografia e grafica.

La scuola conquistò la sperimentazione e s'indirizzò alla progettazione dell'ambiente, del design e della comunicazione visiva. Sotto la direzione di perso­naggi come Marcolli, Moneta, Marchi, Provinciali, Tevarotto, A.M. Criscione, l'I.S.A. diede origine a quel filone di ricerca inizialmente riferito all'esperienza del Bauhaus che ancor oggi costituisce uno dei fondamenti della didat­tica in campo artistico a livello nazionale.

Qui insegnarono, producendo opere e pub­blicazioni, designer, artisti e storici dell'arte, come Pontiggia, Birolli, Fronzoni, Silve­strini, Grassi, Nava, Orefice, Ramous, La Pietra, Pansera, Spagnulo, Nanni Valentini, Berardininone, Tosatti, Vitta, Meneguzzo.

Il progetto di che creò l’istituto, e di chi vi operò contemplava anche la riaper­tura di un I.S.I.A., naturale sbocco superiore dell’I.S.A., ma invano furono lanciati appelli, mostre, convegni, pubblicazioni.

La diffidenza delle amministrazioni locali per una scuola "diversa", considerata estranea al tessuto della città, non permise ai monzesi di apprezzare o comprendere le potenzialità dell'I.S.A. e di approfittarne come importante risorsa della città, un giacimento culturale ricco di artisti, progettisti, designers, storici dell’arte etc.

La politica nei confronti della scuola fu, con rare e positive eccezioni, di sopportazione, e spesso volontà di espulsione più o meno larvata. L’unico ente vitale presente nella Villa Reale fu spesso considerato il primo da allontanare, non tenendo alcun conto che il resto della Villa Reale è solo vuoto e degrado, come ben sa chi ci vive, e che la causa della rovina della Villa è proprio il vuoto e l’abbandono.

Problemi e prospettive oggi

Il periodo dal 1945 ad oggi è sicuramente stato quello in cui la Villa ha subito i danni maggiori, un crescente degrado la cui responsabilità può essere fatta risalire in linea generale ad alcuni elementi fondamentali:

  • la carenza di interventi di manutenzione e restauro, sempre più numerosi e necessari per il naturale invecchiamento dell’edificio

  • la frammentarietà ed intempestività degli interventi di manutenzione effettuati

  • l’inadeguatezza della vigilanza e della custodia da parte degli enti preposti

  • l’episodicità e il mancato coordinamento degli interventi di restauro

  • il contenzioso sulla proprietà della Villa fra i vari enti preposti, che ha causato contrasti, contraddittorietà e lentezza degli interventi conservativi.

Questi argomenti meriterebbero un approfondimento ulteriore, ma in questa sede ci limitiamo ad enunciarli per giungere rapidamente alle conclusioni che c’interessano.

La prima causa di degrado della Villa è stata la mancanza di un vero progetto d’uso.

Ciò appare paradossale in quanto non passa settimana senza che la stampa parli, con grande risalto, delle varie proposte di enti, autorità o altri. Non intendiamo qui esaminarle, anche se alcune lo meriterebbero, ma solo evidenziare che il loro principale effetto è quello di creare confusione e nascondere il vero problema. Senza un progetto di riuso globale, senza un finanziamento di grande rilevanza, senza un intervento urgente, il degrado della Villa è destinato ad accentuarsi mettendone a rischio la stessa esistenza.

Le somme necessarie al restauro, l’importanza sociale e culturale del progetto d’uso, sono tali per cui la scelta, che deve essere promossa, discussa ed effettuata da Monza in accordo col territorio brianzolo e la Regione Lombardia, deve avere una portata nazionale.

Riteniamo utile ed importante che si proceda come si sta facendo, alla consultazione delle forze attive sul territorio e ringraziamo il Comune di Monza perché è la prima volta che all’I.S.A., si richiede di parlare delle prospettive della Villa Reale, della quale fa parte per storia e tradizioni, e non soltanto di sloggiare in nome di qualche progetto più o meno casuale, mirabolante o avventato.

A questo confronto l’I.S.A. è disponibile, come pure a partecipare con i propri progettisti ed artisti, e con gli studi professionali cui costoro sono collegati, ad ogni fase della progettazione e della discussione per la salvezza e l’uso pubblico della Villa Reale ed in particolare ad un eventuale concorso di idee, cui chiediamo fin d’ora di poter partecipare.

E’ in questo spirito che presentiamo una prima idea, un primo contributo, con la proposta che segue.

Per un Museo Nazionale del Design e della Comunicazione.

Partendo dalla considerazione che solo un grande investimento economico e culturale a livello nazionale può permettere la salvaguardia, anzi addirittura la salvezza della Villa Reale, riteniamo che l’idea migliore degli ultimi cento anni sia ancora quella prospettata nel Lascito Umbertino, in buona sostanza quella di Osimo e Marangoni: un’impresa culturale in cui si fondano la tradizione e modernità, l’arte e l’industria lombarde ed italiane, istruzione ed uso sociale della cultura e dell’arte.

Il gigantesco contenitore della Villa, oppor­tunamente restaurato può divenire un museo unico a livello italiano ed eu­ropeo: il Museo Nazionale del Design e della Comunicazione.

Se l'Italia ha dato qualcosa all'Europa ed al mondo nel novecento è stato il suo design, l'utopia del progetto in grado di unire la bel­lezza della forma ed il rigore della funzione, di inserire il piacere della fruizione estetica nel prodotto seriale, ma manca all’Italia un grande museo nazionale dedicato a questa essenziale forma dell’arte contemporanea.

Milano, la Brianza, la Lombardia sono state le capitali del progetto e della realizzazione: qui sono vis­suti e vivono i più noti designer e creativi, qui operano le firme più prestigiose dell'in­dustria del mobile, dell'oggetto, gli artigiani ed i produttori più qualificati, i settori più avanzati nel campo della comunicazione e da tempo si parla di un Museo del Design, ma la situazione è ancora assai aperta. In effetti manca ancora la scelta di costituire un nucleo forte “storico” delle collezioni esistenti, che appare ormai matura e necessaria.

Dove dunque realizzare in modo più degno un momento espositivo e museale su questo settore?

La Villa Reale di Monza, luogo storico in cui prese le mosse il rapporto arte-industria, potrebbe essere una sede di grande significato e potenzialità. Nella Villa sarebbe possibile costituire un museo unico in Italia, partendo dall'artigianato artistico, di cui l'I.S.I.A. è stato momento promotore, per arriva­re al meglio della produzione contempora­nea.

Accanto alle esposizioni delle opere e degli oggetti che hanno fatto grande la tradizione italiana e che oggi vengono contesi dall’antiquariato e dal modernariato, dai mercanti d’arte, sarebbe possibile mostrare la ricerca nel campo, ospitare esposizioni e show room temporanei in cui vengano presentati i prodotti migliori degli artisti e delle industrie italiane contemporanee nel campo del design, della comunicazione, della moda etc.

Il Piano Nobile della Villa l’ala sud, con gli appartamenti reali potrebbe costituire un settore specificamente dedicato alla storia della Villa Reale, i grandi saloni centrali potrebbero essere dedicati alle esposizioni temporanee, alle manifestazioni ed ai congressi, l’ala nord, tutti piani superiori e quello del sotterraneo potrebbero ospitare le collezioni stabili.

La Villa non sarebbe solo un museo ma ospiterebbe anche un polo artistico vivo nell'ala sud:

L’Istituto d’Arte sta rinnovandosi ed ha scelto di completare il suo quadro formativo dedicandosi non solo al design ed alla comunicazione visiva ma anche alla progettazione della conservazione dei beni artistici ed ambientali e alle arti illustrativo-figurative. All’I.S.A., nella stessa sede, va collegato un centro di studi superiori collegato all’università ed all’accademia, ma autonomo, in grado di dotare la Monza e la Brianza di un centro un centro di studi superiori d’eccellenza dedicato alla ri­cerca in questi campi artistici, collegato direttamente a studi ed industrie del settore.

L’ala Nord dei servizi, oltre al teatrino e alle sale collegate dedicate a convegni ed attività culturali. Potrebbe ospitare uffici e servizi.

Il Serrone, con il suo spazio espositivo, potrebbe completare e meglio articolare il quadro delle esposizioni e degli eventi temporanei.

Nel grande spazio verde attualmente utilizzato per orti e serre, di fronte al giardino delle rose, potrebbe essere eventualmente realizzato un ulteriore complesso sotterraneo di auditorium e servizi.

L'unicità di questa istituzione in Italia, potrebbe farne un centro di interesse europeo e mondiale, la sua importanza culturale, la sua capacità di attrazione, garantirebbero la vi­talità della proposta e della gestione.

Monza, gennaio 2003