marlene kuntz cover di lunga attesa 541521

BandAutori 16. Il ritorno dei Marlene Kuntz e l'esordio di Mosè Santamaria testimoniano la voglia di fare che resiste nel rock e nel cantautorato italiano. Per "Libri che suonano" andiamo negli anni della disco music per capire com'era vista da sinistra.

 

Marlene Kuntz “Lunga attesa” (Sony Music)

Come tutti sanno, i Marlene Kuntz sono da annoverare tra le eccellenze del rock italiano. Una carriera che non lascia dubbi, grande padronanza live (a tal proposito, vanno pure ricordate le numerose apparizioni dal vivo del concerto-spettacolo “Ex”, ideato da Giancarlo Onorato, ex-leader degli Underground Life, band seminale della new wave italiana e da Cristiano Godano, voce e leader dei Marlene), un nutrito numero di fan, e almeno due album (“Catartica” e “Ho ucciso paranoia”) entrati di diritto nella storia della migliore musica italiana di tutti i tempi. “Lunga attesa” non è da meno. Lo stile è consolidato e inconfondibile quanto le indubbie qualità di paroliere di Godano. Suoni elettrici, impuri che ben si coagulano con il cantato  e chei traghettano dall’informale al dinamismo. Per di più, felicemente intuitivo. Un album che è anche socio-esistenzialista, attaccato com’è alla frase rimbombo, chiave di lettura, ritornello finale (?!?!) contenuta in “Narrazione”, lo splendido brano d’apertura:  “E’ la realtà che ci disintegra e nulla c’è che ci reintegra”. Così come non sono da meno i diversi stati d’animo (e relative animosità) che pervadono l’intero lavoro. Fedeli a loro stessi: tratto caratteriale e fruttifero,  tormento e impazienza. Il loro villaggio interiore ed esteriore, dove i possibili incontri, le eventuali spinte, il correre sotto controllo possono essere magari anche un’incognita rispetto a ciò che uno può aspettarsi. E questo è un bene profondo, un bellissimo dono, l’elogio della sorpresa continua. Con all’attivo una più che ventennale carriera, i Marlene Kuntz, hanno ancora molto da dire, non demordono, non si sottraggono nell’alzare il tiro. Il brano che dà il titolo all’album è veramente toccante, volutamente soffuso con le sue sottolineature poetiche (“Noi non siamo altro che nulla nelle immensità universali, mio Dio…). Così come lo è la successiva “Un po’ di requie” (“I corpi ancora elettrici si vogliono respingere, e allora non forziamoli”). Mentre “Fecondità” è combattimento di suoni, lingua di fuoco, parola e museruola. Nella loro direzione: “Vieni qua a riflettere un po’… di ciò di cui non sai, meglio non dire mai. Molto sa chi non sa, se tacere sa”. 12 episodi in tutto, in cui tutto è di eccelso livello. Sfumature, istantanee e l’ascoltatore trasformato in inseguitore. Di cosa? Beh, dei capitoli di un (ipotetico) romanzo. Perché no? Voto: 8 (Massimo Pirotta)

 

 

Mosè Santamaria “#RisorseUmane” (Dischi Soviet Studio)

Mosè Santamaria sulla sua pagina Facebook si definisce “cantautore cosmico”, descrizione che potrebbe portarci sulla strada sbagliata: nel suo disco d’esordio #RisorseUmane non c’è infatti nulla di legato ai corrieri cosmici tedeschi degli anni ’70 o di new age o di hippie, o almeno non nel senso più diffuso del termine. I 9 brani dell’album sono però permeati da un senso di spiritualità particolare e post-moderno, legato alle contraddizioni del mondo d’oggi, affrontate con fare trasognato ma non ironico, avvicinando Jean-Paul Sartre al vicino di casa (come accade in “I colori di Francoise”) e le chiacchiere da bar ad analisi molto più profonde della realtà che ci circonda. Anche musicalmente ci si distacca dai maestri dichiarati, cioè Franco Battiato e Juri Camisasca, dei quali rimane l’approccio sempre curioso alla parola e alla materia musicale ma filtrato da suoni più legati all’odierno, ad esempio ma non solo a certo cantautorato indie britannico sporcato dall’elettronica e dal pop anni ‘80 (vedi “A Nizza – Non era amore “ oppure “L’altra parte della città”), con un lavoro bello e vario in sede di produzione da parte di Martino Cuman dei Non Voglio Che Clara. Sullo sfondo delle canzoni c’è quasi sempre Genova, la città di Mosè, perfetto palcoscenico per i racconti del cantautore a causa delle sue mille contraddizioni, ad esempio il mare che nessuno va a trovare, come cantato nella già citata “L’altra parte della città”. Questo “#RisorseUmane” è quindi un buon esordio, personale e mai scontato, la dimostrazione che si può ancora fare qualcosa di nuovo e forte nel cantautorato italiano. Voto: 7.5 (Fabio Pozzi)

 

 

 

Libri che “suonano” (un estratto)

Indigestione disko. Altri ragazzi cercano rifugio e sballo sulle piste delle discoteche (del resto il 1978 sarà spesso ricordato, più che l’anno del Caso Moro, come quello de “La febbre del sabato sera”), affogando nel sudore liberatorio la paranoia e lo squallore della vita quotidiana. Anche i “compagni” ritornano a ballare, dopo anni di ostracismo verso una forma di divertimento ritenuta troppo disimpegnata, magari, aborrendo la musica “disco”, preferiscono frequentare le cosiddette “rockoteche”, locali in cui ci si dimena al suono dei classici della musica rock (“accettati”, in quanto ritenuti patrimonio del mondo giovanile di sinistra). Su un numero del quotidiano Lotta Continua viene pubblicata la seguente emblematica lettera, firmata da “un gruppo di compagni di Milano”: “Il solito sabato sera, ci incontriamo e ancora prima di salutarci ci chiediamo: cosa facciamo? Andiamo al cinema? No, è squallido e monotono. Huè, andiamo a ballare? Dubbi, decisioni, poi si parte. Cinque minuti d’ambientamento e poi tutti in pista. I primi momenti sono drammatici, poi visto che l’ambiente è buono, ci facciamo prendere da una crisi di “travoltismo” e via, avvolti nelle “spire della danza”. Sinceramente ci siamo divertiti un casino ed abbiamo deciso di tornarci un’al/Travolta”. Forse scossa dalla missiva, nella redazione del quotidiano parte il confronto e, nell’edizione del 27 ottobre 1978, all’argomento vengono dedicati il paginone centrale e un articolo intitolato “…e Travolta creò il mondo” in cui si analizza il fenomeno del boom delle discoteche. Eccone alcuni passi: “La musica è perfetta: la colonna sonora di uno stile di vita. In molti i giovani, mangiata con gli occhi lei, divorato lui, visto il film, mangiata la foglia e assimilato il feeling con la febbre del sabato e di ogni sera. Il dito corre sulla ruota delle FM e ricerca in megahertz la febbre che sale. Con una mano si ravviva il capello corto e ben tenuto, con l’attenzione finale al ciuffo. Ci si ritrova con gli amici nei bar di periferia o di pieno centro, per scendere poi in 1100, 127, Dyane o A 112 dai colori sobri, nei locali chiave del travoltismo italiano. Sono a gruppi ma misti (…) La testa d’ariete del travoltismo è stata riproporre la figura del giovane come eroe, come sempre e comunque vincente perché parte di un’età d’oro. E’ questo che ha coinvolto i giovani, tutti, anche parte di quelli del ’68 e della primavera (…) Il tipo di identificazione che il film propone non ha più nulla a che vedere con quella coscienza infelice che i movimenti giovanili, ideologici o autocoscienti, si sono sempre portati appresso: per questo il fenomeno Travolta ha avuto tali termini di diffusione. Un altro punto di forza è stato senz’altro portare sullo schermo nel ruolo di protagonista quelle classi sociali che sullo schermo non avevano mai avuto spazio, né voce. Il travoltismo è sempre esistito, è nella strada, ma non aveva mai avuto prima la sua rappresentazione eroica nel cinema”. Commenta lo scrittore e giornalista Pio Baldelli, teorico della comunicazione di massa, sempre su “Lotta Continua”: “E perché mai la “febbre del sabato sera”, poniamo, deve essere spiegata come fosse una sbronza, una rozza scappatoia e non, invece, come un furioso bisogno di scaricarsi, di stare insieme a tanti altri giovani, in mancanza d’altro (il “sociale”), di sentire la gioia del proprio corpo, di scacciare per una sera le angustie del “lavoro nero”, della disoccupazione, del dormitorio di periferia e il resto”. Anche Città Futura, periodico dei giovani comunisti, tenta un’analisi del fenomeno discoteca: “Forti sono gli aspetti negativi del fenomeno discoteca, la dimensione alienata e irreale che per certi versi vi si determina, i rapporti “violenti” che feriscono i caratteri più timidi e restii a gettarsi nella mischia, l’uniforme rumore che soffoca le parole e induce a gesticolare e a muoversi tutti in sintonia (come in una memorabile scena di “La febbre del sabato sera” prima dell’assolo di John Travolta sulla pista del 2001 Odissey dove volteggia come un rigido monolito kubrickiano (…) Prima di tutto le discoteche sono un grande luogo d’incontro per i giovani, di aggregazione nella disgregazione se si vuole, ma pur sempre d’incontro e di massa. E lo stesso discorso si può fare per il fenomeno delle sempre più numerose radio libere attorno alle quali, specie nei paesi, i giovani si aggregano (…) Noi pensiamo che anche se meno macroscopicamente il fenomeno delle discoteche si evolverà secondo lo stesso schema. I privati, il cui unico scopo era il lucro, hanno aperto le prime radio libere e solo dopo i gruppi politici hanno pensato di sfruttare questi mezzi di comunicazione/socializzazione. Analogamente verranno aperte discoteche “di sinistra”, magari non in centro, magari con impianti luci e hi-fi scarsi, inizialmente a prezzi modesti e con il solo apporto di musica rock, ma la sostanza non verrà intaccata. Chi ricorda gli anni in cui venivano aperti negozi d’abbigliamento “di sinistra”, bar e ristoranti “di sinistra” ma soprattutto quando la sinistra entrava nel campo della produzione e della gestione della musica… ora i rimasugli di tutte queste iniziative si riconoscono solo per i prezzi alti e per la scarsa qualità dei prodotti (…) Si può “fare politica” ovunque i giovani organizzino i propri bisogni, veri o falsi che siano. Anche nei locali nei quali domina l’immagine sicura ma fragile di John Travolta”. Insomma la pista da ballo, per altro cemento del tempo libero e dell’aspetto ludico di vecchie generazioni di militanti di sinistra, vedi le balere nella “rossa” Emilia o le serate danzerecce nelle Case del Popolo in Toscana, non sono più considerate tempio del disimpegno, ma luogo in cui anche il giovane proletario può ritrovarsi e gestire i propri bisogni. (da “Lo stivale è marcio” di Claudio Pescetelli, Rave Up Book, 2013)

 

Novità, ristampe, prossime pubblicazioni

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TOP 5. I dischi (di ieri e di oggi) più ascoltati negli ultimi giorni

Statuto “Amore di classe”, Jena “Bruklin”, Io E La Tigre “10 e 9”, Boda “Sfuggire alla peste”, Le Orme “Ad Gloriam” (Massimo Pirotta)

Calcutta “Mainstream”, Ronin/Uyuni “Area51 Split EP #1”, Dead Shrimp “How Big Is Your Soul?”, Juri Camisasca “La finestra dentro”, Ricky Gianco “Arcimboldo” (Fabio Pozzi)

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi & Massimo Pirotta