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Debito pubblico, corruzione, evasione, cementificazione: in una situazione come questa un governo con il 41% di consenso elettorale non dovrebbe avere dubbi su cosa fare. La riforma del senato...

Siamo nel maggio del 2008. Berlusconi va al governo e ci trova un debito pubblico a 1,9 migliaia di miliardi e un tasso di disoccupazione del 6,7%. Dopo tre anni del suo governo, a suo dire, i ristoranti ed i cinema sono sempre pieni. Gli italiani, alla sera in Tv, amano molto ballare con le stelle. Nel novembre del 2011, Berlusconi viene sostituito da Monti e lascia un debito pubblico a 2,04 migliaia di miliardi e una disoccupazione all’8,4%. Intanto tra un ristorante e l’altro siamo improvvisamente piombati in piena crisi. Monti sta in carica un anno e mezzo circa. Siamo nell’aprile del 2013. Il debito, nonostante tagli, ritagli, e blocco delle pensioni, tuttora vigente, è salito comunque  a 2100 miliardi e la disoccupazione, grazie anche alla legge Fornero, è schizzata all’11,3%.

Gli italiani continuano a ballare con le stelle.

Letta sta in carica meno di un anno, ma riesce a portare il debito pubblico a 2190 miliardi e la disoccupazione al 12,4%.

Del Pil, che balla in più o preferibilmente in meno di qualche zero virgola, è meglio non parlarne, dato che per iniziare a riassorbire la disoccupazione bisogna arrivare al 2%,  e noi eravamo e siamo anni luce distanti da questo numero.

Tutti, eccetto l’ex cavaliere per il quale splendeva una luce accecante, dopo qualche mese del loro mandato cominciavano a vedere la luce in fondo al tunnel. Luce che non arrivava mai.

Nel frattempo il paese è gravato da uno dei debiti pubblici - con interessi - più pesanti del pianeta (l’unico che l’ha fatto calare è stato Prodi, e per questo è stato mandato a casa) e da una disoccupazione giovanile a livelli record; la corruzione è valutata intorno ai 60 miliardi l’anno; i capitali vanno e vengono dall’estero a loro piacimento (siete mai andati a Sanit Moritz con il treno rosso del Bernina? Andate, nessuno vi controlla…); i comuni non riescono più a riparare neppure le buche per terra per mancanza di qualche migliaia di euro da poter spendere, ma l’evasione fiscale viaggia dai 90 ai 150 miliardi annui, a seconda di chi la calcola. Senza voler criminalizzare nessuno, e per citarli in ordine sparso, studi legali, notai, dentisti, ristoratori, esercenti, albergatori, farmacisti, tassisti, immobiliaristi, addetti ai servizi della persona, ambulanti, eccetera, non brillano certo per le loro dichiarazioni  dei redditi (quanti disegni di legge sulla giustizia fiscale sono stati ritirati, in modo compiacente, per le proteste  di questi elettori?). Abbiamo un settore pubblico che, fra corruzione e sprechi, sta succhiando le ultime risorse di un paese che vede ormai le aziende migliori comprate e portate all’estero e quelle che rimangono, o chiuse, con tanti saluti alla mano d’opera oppure, quando va bene, avviate alla mobilità e alla cassa integrazione. Abbiamo imprenditori che barano sulle gare d’appalto, funzionari pubblici corrotti, bancari compiacenti e generali della GdF intrallazzati, eccetera. Abbiamo un territorio cementificato e disastrato, dove ogni forte acquazzone  provoca sempre gli stessi gravi danni, le stesse frane, le stesse alluvioni, lo stesso numero di morti e feriti.

In una situazione come questa un governo con il 41% di consenso elettorale non dovrebbe avere dubbi su cosa fare.

Renzi entra in carica nel febbraio di quest’anno. E, infatti, cosa fa? Perde quattro mesi di tempo per la “riforma del senato”, poi perde altri mesi di tempo per la “riforma del lavoro” (per quel poco lasciato incompiuto dalla Fornero), infine attacca a spron battuto con la “riforma elettorale”. Tutte riforme concordate e discusse solo con quell’esempio di buon politico che è l’ex cavaliere ed ex senatore Silvio Berlusconi, già condannato per frode fiscale.

Ma chi gliel’ha mai chieste queste riforme?

Un amico imprenditore mi raccontava che da cinque anni ha iniziato un’azione legale per il recupero di un credito abbastanza rilevante, il cui mancato rientro ha rischiato di farlo chiudere. Sono cinque anni che, fra scontrini persi dalle poste, il debitore che non risponde alle raccomandate o non si fa trovare, una ragnatela di burocrazia che sembra fatta apposta per favorire chi non vuol pagare, quest’ amico sta vanamente aspettando di rientrare in possesso del suo credito. Nel frattempo il debitore è morto, il debito è passato agli eredi che si sono trasferiti all’estero, e il timore dell’amico è di dover anche lui “passare” il credito ai suoi figli, prima di vederne la fine. Gli unici che non si preoccupano sono gli avvocati, che sguazzano fra pastoie legali e “tempi tecnici” vari.

E gli imprenditori stranieri dovrebbero investire in un paese come questo? Non mi risulta che siano cooperatori della San Vincenzo italiana... Chi pensa di investire in Italia vuole trovare un paese sano, strutture efficienti, leggi adeguate (ma la “riforma della giustizia”  a quando?), un paese ripulito dalla corruzione  e dalla burocrazia e una politica industriale complessiva che faccia girare il tutto. Lo sanno i politici? No, non lo sanno. La preoccupazione prevalente è la conservazione del loro posto di lavoro, del potere e dei privilegi che ne derivano.

Intanto gli italiani continuano, tra fiction, soap, reality, e talk show, profusi in abbondanza, a ballare con le stelle e, sempre più, giù nelle stalle. In un paese come questo è giusto che quelli che manifestano per difendere il proprio posto di lavoro vengano manganellati. E chi altri, se no?