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Intervista a Pier Adduce, leader della band attiva tra la Brianza e Milano giunta al sesto disco: “Abile Labile”. Un'occasione per scoprire una formazione fuori dagli schemi e con molte cose da dire.

 

Inizierei l’intervista chiedendoti qualcosa su “Abile labile”, che è il vostro sesto disco. Ci sono stati un paio di cambi di formazione, dopo lo stravolgimento che aveva accompagnato il precedente “Ore piccole”. Questi cambiamenti influiscono sulla scrittura delle canzoni o hanno un peso solo a livello di arrangiamenti e produzione?
Hanno un peso solo in fase di arrangiamenti e produzione, oltre che di messa a punto del set che decidiamo di portare in concerto, quindi nel lavoro che svolgiamo in sala prove. Le canzoni le scrivo io, in separata sede, a casa, spesso accompagnandomi con una chitarra oppure solo con carta e penna e lavorandoci sopra subito dopo. Dipende.

Tu stesso hai detto che le canzoni del disco possono dividersi in tre gruppi. Il primo è fatto di canzoni che “trattano la disumanizzazione, la violenza, lo sfruttamento, il ricatto come elementi sistemici, endemici alla società in cui siamo e il suo livello di alienazione e indottrinamento fra propaganda ansiogena e disgregazione di tutti i collettori sociali”. Credi che la musica possa essere un freno a tutto ciò? Quanto può essere “resistente” la musica oggi?
Non saprei, non credo francamente. La musica non incide più come una volta nell'immaginario collettivo... non credo abbia un potere salvifico in generale, non credo l'abbia mai avuto.  Soggettivamente invece sì, può essere un elemento di rivolta esistenziale e non, notevole e determinante... Ciò è però molto relativo e attiene alla sfera personale di ognuno. La musica, come anche altri linguaggi, può essere certamente uno stimolatore o un catalizzatore formidabile per dinamiche di “resistenza” già per il fatto di sottrarre tempo e terreno, per contro,  alle dinamiche di sfruttamento, omologazione, alienazione e all'ossessione ideologica della “produttività” a tutti i costi. Tutto ciò dipende però da come la vivi, da quanto autenticamente ti corrisponde, ti rappresenta, da quanto fedelmente si accompagna alla vita. Si deve “essere arte” e non solo “fare arte”! Se diventa unicamente una scappatoia o una posa credo sia meglio lasciar perdere.

 

 

Il secondo gruppo contiene invece  canzoni che “tratteggiano figure a loro modo 'imprendibili', resistenti o vicine al collasso, ma libere”. Cosa ti ha spinto a descrivere proprio questo tipo di figure? Hai la fortuna di conoscerne molte o è stato difficile trovarle?
Sono attratto da sempre dall'elemento di mistero e forza legato all'individuo, specie se preso fuori dal branco o dalla cerchia o dal luogo comune dove spesso va a confondersi o dove viene più  o meno forzatamente confuso.  Potenzialmente, chiunque (o quasi) potrebbe avere le caratteristiche che hai elencato se solo credesse di più in se stesso e ne fosse poi consapevole.  E' quindi prerogativa di pochi ma non così pochi come si potrebbe pensare o credere... Ho avuto la fortuna di conoscerne alcune, altre le ho perfino cercate e frequentate... Personalmente è stato molto formativo e la cosa non finisce qui. È il lavoro di una vita probabilmente.

Il terzo e ultimo gruppo è formato da brani che “riguardano invece la sfera più personale, quella delle proprie inadeguatezze e debolezze, dei propri demoni da esorcizzare”. La musica e lo scrivere canzoni può essere quindi una sorta di terapia psicologica per te?
Lo è, o vorrebbe esserlo. Non è detto sortisca dei risultati sempre positivi... A volte scoperchia, appunto, degli strani Vasi di Pandora, a volte ti offre solo una prospettiva più ampia, sfaccettata e anche un po' rischiosa. Direi che vale la pena provarci.

Tra i tre tipi di brani appena analizzati, quali sono i più facili da scrivere per te?
Nessuno in particolare.  Dipende da cosa mi prende al momento, dall'ispirazione del momento, dalle circostanze spesso casuali o da altro che mi attraversa lì per lì. Non ci sono argomenti o canzoni più facili di altre ma tutte, egualmente, possono sorprenderti e portarti per mano a un certo punto. Devi essere lì pronto a coglierle.

 

 

Nel disco c’è una cover de “Il merlo” di Piero Ciampi. Cosa vi ha spinto a riproporre quel brano di quell’autore?
Lo suonavamo già da tempo e  ci piaceva stravolgerlo un po', a modo nostro. È un brano che ho sempre trovato molto esemplificativo del personaggio e dell'uomo che era Piero Ciampi. Ciampi perché è stato uno dei più grandi e colpevolmente meno celebrati autori della canzone italiana. Un punk ante-litteram... imprevedibile e imprendibile, anarcoide, geniale, capace di grandi slanci e di capitomboli rovinosi.

Ciampi tra l’altro è l’unico autore italiano assieme a De André nella lista delle vostre influenze su Facebook. Sono davvero gli unici italiani che secondo te possono stare in quel gruppo?
No! Non ricordo bene la lista su Facebook... ma tra gli italiani io ho amato molto anche: Ivan Graziani, Edoardo Bennato prima maniera, De Gregori, Rino Gaetano, Paolo Conte, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber... Sono stati tutti a vario titolo parti integranti della mia, nostra, malaeducazione alla musica.

Come dicevo all’inizio, questo è il sesto disco per i Guignol, quindi si può tentare di tirare le fila del discorso e fare qualche bilancio. C’è un disco che preferisci tra quelli fatti? Perché?
Sono tutti come figli per quello che mi riguarda. Qualcuno ha superato  meglio la prova del tempo, qualcun altro peggio... a seconda dei momenti in cui vado a riascoltarli - se ci vado, anche perché generalmente non amo riascoltarmi.  Direi che preferisco l'ultimo, Abile Labile, unicamente perché mi rappresenta meglio nel presente.

Se invece dovessi scegliere cinque canzoni per tratteggiare un primo ritratto della band, quali sarebbero?
Molto difficile... di getto: Festa di Pepe da “Guignol” (2005), Il sole si fa rosso da “Rosa dalla faccia scura” (2008), 12 Marmocchi da “Una risata ci seppellirà” (2010), La Scimmia da “Addio Cane!" (2012) e L'uomo senza qualità da “Abile Labile” (2016).

 

 

Siete attivi da una dozzina d’anni ormai, con molti concerti in giro per l’Italia. Come vedi la situazione musicale nel nostro paese oggi, anche in confronto ai vostri inizi?
Siamo attivi da quasi 17 anni! Non era facile nemmeno allora, quando iniziammo. ora pero' tutto si è molto deteriorato: la qualità dei luoghi, del pubblico (la domanda di musica è sempre più in calo rispetto all'offerta...), la burocrazia necessaria per organizzare luoghi ed eventi, il clima culturale generale del paese, l'omologazione di troppe proposte cosiddette “indipendenti” che assomigliano sempre più alla media delle proposte mainstream, l'appiattimento e l'inflazionamento creato dalla rete, ecc... Salvo rare eccezioni, il quadro è piuttosto desolante, eppure oggi, più che mai, la musica dovrebbe incanalare l'energia repressa e il senso di precarietà-pericolo che ammanta le nostre esistenze. Dovrebbe prorompere nelle strade, come un fiume in piena, invece... Per quello che ci riguarda, noi abbiamo sempre marciato (e continueremo così suppongo!) per la nostra trincea, pagando sempre tutto in prima persona, in virtù di un'urgenza che  penso non sia venuta mai meno... fregandocene e avendo un'attitudine forse molto più affine a quella dei musicisti di altri luoghi  d'Europa o d'America. 

Guardando invece a Milano e alla Brianza, com’è fare musica da queste parti?
È esaltante o deprimente, dipende da te in primis. Poi dipende dalle solite mille dinamiche relative a promozione, organizzazione tecnica, convinzione, entusiasmo ecc... Non ultimo dalla benevolenza o meno delle autorità locali che in genere sono sempre più ostili, ottuse e oscurantiste.

Ultima classica domanda: progetti per il futuro?
Per il momento, suonare il più possibile in questo tour, finire e mettere in campo alcuni progetti paralleli da realizzarsi con amici (Cabaret Schengen, Julitha Ryan). Il resto lo scopriremo vivendo. 

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.