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 Sergio Venezia ci guida alla scoperta del Distretto di Economia Solidale della Brianza: la sostenibilità ambientale, l’equità nel lavoro, la solidarietà nei confronti degli svantaggiati, dei poco fortunati, dei fragili.

Chiscrive sul Desbri?”. Non so cosa sia, ma mi propongo. Il dossier sul consumo consapevole per me è una novità assoluta. Mi danno anche un nome: Sergio Venezia. “Parla con lui, sa tutto”. Vado, parlo e scopro un mondo che non conoscevo e soprattutto incontro una persona, Sergio Venezia per l’appunto, che mi affascina.

Desbri sta per Distretto di economia solidale di Monza e Brianza, nasce a Villasanta nel novembre 2004 sulla spinta della locale Associazione culturale e politica, la Mondolfiera, e del Nodo della Rete di Lilliput (movimento nazionale inventato da padre Alex Zanotelli, missionario dell’Ordine dei frati comboniani, direttore di Nigrizia, e vissuto per ben 12 anni in una bidonville a Karogocho, in Kenia, fra i più poveri del mondo).

Ma il Desbri e Sergio Venezia sono la stessa cosa. Per parlare dell’uno occorre parlare anche dell’altro. Cominciamo dal nostro interlocutore. Cinquantacinque anni, un omone, un vulcano di idee, nasce a Monza, frequenta il Liceo Scientifico al Frisi, si definisce un cattolico democratico. Si forma nello scoutismo. Fa parte della Comunità di Base alle Grazie Vecchie, la nota Chiesa allora aveva come parroco padre Arcangelo Zucchi, che Sergio considera uno dei suoi primi maestri.

In Comunità con me c’era anche il futuro sindaco di Monza, Michele Faglia”. Ma cosa facevate? “Preparavamo la messa delle ore 11, allora molto affollata da chi voleva sentire l’omelia di padre Zucchi e anche tutta una serie di interventi di noi ragazzi”. Sergio a questo proposito ci rivela che sua madre non vedeva di buon occhio quella sua infatuazione dello scoutismo. La preoccupava il fatto che proprio in quei tempi la divisione tra maschi e femmine era saltata, temeva le conseguenze di quella improvvisa apertura alla promiscuità. “Avevo 17 anni, fu il terremoto del Friuli (6 maggio 1976) a sbloccare la situazione. Partii per quelle zone sconvolte e di promiscuità non si parlò più. Fu una grande esperienza”.

 

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Scuola e scout sino ai 20 anni, poi la svolta. Sergio si sposa e sceglie il servizio civile, invece di quello militare. Non cerca un posto comodo, anzi chiede di andare nel quartiere più povero di Rossano Calabro, dove operava un prete operaio, don Mario Spinaci, infermiere presso il locale ospedale, con tessera della Cgil. E ci va, con la giovane moglie e uno stipendio di 110 mila lire il mese.“Lei si occupava della non facile operazione di alfabetizzazione delle donne, io invece facevo l’educatore dei ragazzi. In realtà ho fatto tante cose”.

A Rossano Calabro incontra famosi predicatori quali Luigi Bettazzi, il vescovo di Ivrea e presidente di Pax Christi; padre Ernesto Balducci; padre Alex Zanotelli, che influenzerà non poco la sua visione del mondo. Dopo 20 mesi rientra a Monza, si sistema a Villasanta dove diventa capo scout, trova un posto in Comune e si occupa assieme alla moglie di disabili gravi. Cominciano con un contratto da precari, poi vengono assunti e operano nel settore dei Servizi sociali. Sergio Venezia diventa un esperto. E la Cisl nel 2003 gli offre la responsabilità dell’ufficio delle politiche sociali dove noi l’abbiamo trovato. Ma pone una condizione. “Lasciatemi la possibilità di realizzare una idea che da tempo mi frulla in testa: aprire una bottega di commercio solidale, nel centro di Villasanta, nome Equinozio, proprio davanti al Comune”. Padre Alex Zanotelli aveva fatto centro. Tutto era partito discutendo su un progetto educativo sulla mondialità ed aveva avuto così tanto successo che l’associazione, nella quale erano stati coinvolti anche i genitori dei ragazzi, decise ad un certo punto di lasciare sul territorio un segno tangibile delle convinzioni maturate: la bottega. Diventerà una sorta di zoccolo duro ma anche un seme che darà parecchi frutti su larga parte del territorio brianzolo. Cambiano i nomi, aumentano le sigle, le sperimentazioni sono all’ordine del giorno, il tutto all’insegna di tanta solidarietà, della affermazione di un consumo consapevole, di grande rispetto del territorio.

 

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Il Desbri non è una costruzione virtuale ma una cosa concreta con sede presso la Casa della Cultura di Monza. Vale a dire un insieme di persone fisiche e giuridiche: ci sono, ad esempio, anche due consorzi di cooperative sociali, una aderente alla Lega delle Coop, l’altra alla Confederazione delle Cooperative (c’è insomma sia il rosso che il bianco). Dietro una lunga serie di sigle, spesso indigeste (Ces, Desbri, Gas o gruppi di acquisto, Cs&l, Res ovvero rete di economie solidali, e tante altre), c’ è un progetto di cambiamento necessario che afferma alcuni principi di fondo: la sostenibilità ambientale, l’equità nel lavoro, la solidarietà nei confronti degli svantaggiati, dei poco fortunati, dei fragili.

La natura si è stufata, sta ponendo dei limiti che vanno presi in seria considerazione.

Il capitalismo produce e vende, consuma territorio, quasi sempre lo trascura, spesso lo offende e lo inquina. La natura si è stufata, sta ponendo dei limiti che vanno presi in seria considerazione. E soprattutto lancia degli allarmi. Guai non ascoltarli. Ecco perché lo sviluppo economico deve cambiare direzione. Piuttosto che da una offerta spesso insensata, è meglio partire dalla domanda eco sostenibile”.

Monza e la Brianza occupano il primo posto nel consumo di suolo: siamo al 57 per cento. Ed è un lusso che non possiamo più permetterci. Ad un paio di realizzazioni Sergio Venezia tiene in maniera particolare: uno riguarda la produzione del pane biologico, l’altra la banca del tempo. “In Brianza non si produce più grano e non si mangia più pane come si faceva una volta. La nostra michetta che costa 4 euro il chilo è fatta ormai con farina manitoba del Nord America che qualcuno considera dannosa alla salute. Il gruppo Spiga e Madia ha trovato otto ettari di terra a Caponago, un piccolo mugnaio di Briosco, una cooperativa panificatrice a Cernusco e da sei anni, ogni mercoledì, 600 famiglie attraverso i vari Gas, possono consumare pane biologico garantito. Prima di produrre il nostro grano abbiamo studiato bene il terreno, controllato il molino, verificato la qualità dell’acqua e l’igiene nella fase della panificazione. Filiera rispettata con scrupolo, prodotto ottimo, biologico al cento per cento, costo 3,20 euro al chilo, ottanta centesimi in meno del pane che si vende in panetteria. E nel nostro prezzo figurano anche piccoli contributi a due fondi, quello che sostiene i costi della filiera e l’altro le spese del distretto. Ma c’è di più: se il contadino portasse la sua farina sul mercato del biologico spunterebbe 31- 32 euro al quintale, noi gliene diamo 40. Come vedete, l’ affare è per due”.

La banca del tempo è una sorta di baratto nel quale la mia ora di insegnante vale come la sua di idraulico

Infine la Banca del tempo. Esempio, io ho bisogno dell’idraulico, lui viene, mi risolve il problema e io lo pago dando una lezione (di italiano, di inglese, di latino o di matematica ) di un’ora a sua figlia. È una sorta di baratto nel quale però la mia ora di insegnante vale come la sua di idraulico, non c’è differenza alcuna. Sergio mi racconta anche di una giovane donna, affetta da una grave invalidità al punto di essere costretta a vivere in un polmone di acciaio. Aveva bisogno ovviamente di tanta assistenza, ma poichè era una brava traduttrice, attraverso la banca del tempo, e con le sue traduzioni, ha potuto pagarsi parte delle cure di assistenza. Il suo commento? “È una grande trovata. Adesso non devo più dire grazie a nessuno”.