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 Bruno Palermo a Monza ha presentato con Libera il suo libro. “Una parte dello Stato lotta contro le Mafie, ma altre no, l’Italia è un paese fortemente corrotto, ma ognuno di noi può fare qualcosa per sconfiggerle”

 

Meno di 200 pagine per raccontare più di 100 minori uccisi dalle mafie, 108, per la precisione. “Al posto sbagliato” di Bruno Palermo (Rubbettino Editore) è un libro di dolore e di speranza che non racconta tanto per il piacere di farlo, e nemmeno per il “solo” dovere di cronaca. Questo volume riesce a suon di fatti, documentati e spiegati, a “smitizzare” la maggior parte dei luoghi comuni che oggi esistono sulle mafie. Esistono e proliferano anche, permettendo alle stesse di proliferare da Nord a Sud. È una delle prime cose che l’autore tiene a precisare quando presenta “Al posto sbagliato” e, puntuale, lo ha spiegato anche agli alunni della V B del Liceo Classico e Musicale Zucchi di Monza quando li ha incontrati lo scorso venerdì, 24 marzo, ospite della libreria Feltrinelli di via Italia.

Valerio D’Ippolito di Libera Monza e Brianza, ha dialogato con l’autore che, anche a Monza, visto che nessun posto è un “posto sbagliato”, ha voluto raccontare ai giovani come “in Calabria sta succedendo una rivoluzione. Un giudice di Reggio Calabria sta facendo cadere la patria podestà a chi è condannato per mafia. C’è poi un gran numero di mamme che telefonano per dire ‘prendete mio figlio’. Sono segnali di una rivoluzione vera, questi. Sul territorio continua a esistere una commistione strana: affianco a queste donne, che si ribellano, ce ne sono altre che, quando il marito va in carcere per mafia, prendono le redini della cosca”.

Sia l’idea sia il titolo del libro nascono dall’incontro con i genitori di Domenico Gabriele, Dodò, un bambino che a 11 anni è stato ucciso con un colpo in testa mentre giocava su un campo da calcio, a Crotone. “Colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato” si usa dire, senza soffermarsi a pensare che un bimbo di questa età non è per nulla né colpevole né nel posto sbagliato se si trova su un campetto a giocare con gli amici a pallone. Nel posto sbagliato, erano gli assassini, colpevoli sono chi ha sparato e le Mafie, non certo Dodò.

Il libro di Palermo è un inno all’importanza delle parole, come subito sottolinea Don Luigi Ciotti nella prefazione, è intriso di memoria e impegno ma mai retorico. “Non è palloso”, detto alla maniera di chi lo legge da studente 16enne come quelli presenti alla serata in libreria a Monza. Ogni capitolo riporta il nome delle vittime, le loro storie sono scandite da nomi e numeri, partono tutte da un piccolo particolare della vita dei bambini uccisi che, sapendo la fine che gli ha fatto fare la mafia, ha l’effetto di un pugno in faccia. Rende tutti e 108 i nomi raccontati delle vite reali, ormai spente, rende forte la rabbia in chi legge, rende vivo l’interesse dei ragazzi che sono curiosi di sapere come l’autore si è documentato, se è stato minacciato per “Al posto sbagliato”, se secondo lui “nel nostro Paese la Mafia è presente fin dalle basi” e “se questo fenomeno potrà mai per lo meno diminuire – hanno chiesto – perché abbiamo l’impressione che sia nelle radici”.

“Una parte dello Stato lotta contro le Mafie, ma altre no, l’Italia è un paese fortemente corrotto, ma ognuno di noi può fare qualcosa per sconfiggerle” ha risposto Palermo mettendo in chiaro che “ognuno di noi” non è inteso con “noi in Calabria” e nemmeno con “noi al Sud” ma noi “TUTTI”.

 

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Nato a Crotone, giornalista professionista e scrittore, Palermo ha iniziato a scrivere nel 1998 per “Il Quotidiano della Calabria”, oggi è direttore di crotonenews.com e collabora con Sky Sport e Tuttosport e, allo stesso tempo, è un volontario di Libera. In tutte queste vesti e con grande disponibilità, dopo l’incontro con i ragazzi a Monza, ha risposto anche alle mie domande, sul libro e sulla serata.

C'è qualche domanda o affermazione che ti ha colpito durante l'incontro con i giovani?

Mi ha sorpreso il grado di preparazione sull'argomento da parte degli studenti. Era chiaro che avevano letto molto, e non solo il mio libro, e che soprattutto hanno assorbito molto di quanto letto. Così come era evidente che c'è stato un grande lavoro dei loro docenti che evidentemente hanno sensibilizzato le ragazze e i ragazzi su argomenti che quasi mai vengono toccati a scuola.

Che grado di consapevolezza della presenza della criminalità organizzata riscontri in Brianza? E in generale tra i giovani?

Non conosco così bene la Brianza, conosco benissimo molte persone che la vivono ogni giorno. E con loro mi confronto e da loro cerco di apprendere quante più cose possibile, oltre, ovviamente, a leggere le relazioni della Dia o della Commissione parlamentare antimafia, che sono strumenti eccezionali di conoscenza, anzi consiglio a tutti di leggerli. C'è una nuova consapevolezza e una nuova presa di coscienza, un interesse maggiore nel capire come le mafie abbiano penetrato il territorio e il suo tessuto economico. Questo è un dato assolutamente positivo perché significa che sempre più gente comincia a prendere coscienza del fatto che le mafie non sono un fenomeno che riguardano il sud e che anzi il Nord non solo non può chiamarsi fuori, ma in questo momento è forse molto più esposto. E se le mafie trovano terreno fertile anche in Brianza, significa che c'è qualcuno che non solo non fa il suo dovere di cittadino, ma si presta alla corruzione e alla collusione.

Parli di smitizzazione di alcune false leggende sulle mafie. Cosa intendi?

Che bisogna smetterla di costruire tutta questa aura di mistero intorno alle mafie, occorre chiamare queste persone con il loro reale nome: delinquenti. Ci hanno inculcato in testa il senso dell'uomo d'onore, quando questi di onorevole non hanno assolutamente niente se ammazzano e hanno sempre ammazzato donne e bambini. Se pensano solo ad arricchire se stesi a qualunque costo. Occorre far capire, soprattutto agli adolescenti, che avvicinarsi alle mafie è come avvicinarsi ad un enorme incendio che se non ti brucia ti incenerisce e comunque distrugge le tue cose migliori. Io starei molto attento anche a romanzare alcune storie e alcuni personaggi, perché questo potrebbe essere un messaggio facilmente equivocabile. Penso più a una serie di documentari realizzati con immagini vere e documenti veri, con persone vere che hanno subito e subiscono il dolore provocato dai mafiosi e dalle mafie.