L'esperienza di Pasqua in Syria, il gruppo brianzolo che raccoglie aiuti umanitari, raccontato in prima persona. La raccolta, il viaggio, il campo profughi: «In pochi minuti sono scoppiato in lacrime, sentendomi in colpa come essere umano, comunque responsabile per lo scempio sotto i miei occhi.»
«Miserable, miserable we have become». Questo mi disse il nostro contatto siriano seduto accanto a me, di fronte all’ingresso “illegale” del campo profughi di Atma, in attesa che le nostre auto ci venissero a prendere dal posto di blocco con il confine turco di Reyhanli, a meno di due chilometri di distanza.
E non ci si può andare a piedi: l’ordine, per i soldati della guarnigione turca posta sulla collinetta proprio di fronte al campo, è di sparare a vista e i campi circostanti sono minati.
Perché la Siria? Solidarietà brianzola
L'idea di compiere questo viaggio è venuta al gruppo Pasqua in Syria dopo la sua prima esperienza al campo profughi di Bab al Salam, poco distante dalla città turca di Kilis. Pasqua in Syria è guidata dal poliedrico professore di educazione fisica dell’ISA di Monza Lorenzo Locati.
La prima esperienza era nata per caso, da una spinta emotiva del professor Locati: vedendo quanto accadeva in Siria, decise di prendere il camper, riempirlo di quanto potesse essere utile e partire in quella direzione, passando dalla Grecia e poi dalla Turchia, con l’appoggio dell’associazione Onlus Time4Life gestita dalla modenese Elisa Fangareggi.
Appena diffusa la notizia di questa iniziativa all’ex Istituto d’Arte, insieme a lui partirono anche Orazio Truglio, fotografo di professione ed ex allievo di quella scuola, Andrea Niga e Martino Lorenzini, anche loro fotografi.
L’esperienza durò una settimana e fu un successo, con un’impennata di adesioni sul gruppo di Facebook che superò le quattromila adesioni e una partecipazione entusiasta alle attività di raccolta del materiale in tutta Italia: in breve tempo si riuscì a riempire un container da 40 piedi, così da giustificare una spedizione via nave e del nuovo gruppo in aereo.
Il motto del gruppo Pasqua in Syria è «Si Può Fare» e sintetizza in poche parole gli obiettivi e i fini.
Reyhanli, una “terra di nessuno”
In principio la nostra destinazione doveva essere ancora una volta il campo di Bab al Salam, ma — per motivi di sicurezza legati alla guerra civile in corso — siamo stati dirottati sul campo profughi di Atma, di cui ci avevano raccontato le condizioni di vita molto critiche.
Per questa nuova missione, il 28 di Agosto è partito un gruppo composto dal sottoscritto, dal professor Locati, dalle attivissime volontarie Daniela e Patrizia (operative in Emilia Romagna), dal giovane ventunenne fanese Matthias, aspirante fotoreporter, e infine da un gradito ospite come il fotoreporter professionista indipendente di Bergamo Giovanni Diffidenti, che da anni si dedica a documentare l’utilizzo scellerato delle mine in tutti gli scenari di guerra nel mondo.
La base logistica del nostro gruppo, per coordinare la missione di aiuti umanitari al campo di Atma, è stata Reyhanli, una città a pochi chilometri dal confine siriano (Aleppo dista circa 60 km).
Nella città di Reyhanli, dalle tv sempre accese e sintonizzate sui canali all news, era tangibile una certa tensione e attenzione sulla guerra, specie sugli sviluppi del presunto attacco "dimostrativo" USA contro il regime di Assad, a seguito dell’uso del gas tossico a Damasco. Bisogna però precisare che in questa città un buon 60% dei residenti è siriano: persone che nel tempo, prima che cominciasse la "Primavera Araba", si sono trasferite in questa regione della Turchia per diversi motivi, non solo per contrasto con il regime.
È evidente che questi cittadini si sentano più coinvolti in questa situazione e da quando è cominciata la rivolta si può affermare che una parte delle attività di questa città è rivolta al sostegno e all'organizzazione del grande campo profughi che da qui dista una decina di chilometri, oltre a tante altre attività che si possono immaginare nel contesto dì una “economia di guerra”: questa citta ha visto triplicare i costi (e in qualche caso quintuplicare) del vivere quotidiano; dall’affitto degli appartamenti, agli alimentari, passando per abbigliamento e beni di prima necessità.
Va anche ricordato che questa città ha vissuto direttamente gli orrori della guerra: un attentato con due auto-bomba causarono 51 morti e 140 feriti l’11 maggio del 2013.
Nei nostri primi giorni di soggiorno ci siamo orientati, per definire i tempi e le modalità di accesso al campo e consolidare la rete di conoscenze. Era necessario coinvolgere più associazioni umanitarie internazionali e contatti locali, per garantire meglio la nostra sicurezza una volta entrati nel campo, e migliorare la fluidità nelle operazioni logistiche, che di solito richiedono tempo e pazienza a causa della burocrazia.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, per di più, non è semplice portare aiuti umanitari in zone di guerra: esistono regole e procedure di ingaggio basate esclusivamente sui rapporti di fiducia con le popolazioni locali e le forze di apposizione, in questo caso l’Esercito di liberazione contro il regime di Bashar Assad.
Un campo profughi non è (solo) un luogo di disperazione, di miseria e di tristezza. È anche un luogo di passaggio dove centinaia di persone al giorno vanno e vengono, vagando da un campo a un altro nella ricerca di un posto migliore, anche se temporaneo, dove sopravvivere. La speranza, però, è sempre quella di poter varcare le frontiere e tentare di ricominciare una nuova vita in un paese libero e democratico, nonostante il pensiero fisso nel cuore sia ritornare alla propria casa, alle proprie origini.
In un campo profughi transitano merci legali e illegali, tra cui moltissime armi, visto che è molto comune imbattersi in persone anche non in divisa militare che imbracciano fucili e mitragliatori.
Non bisogna dimenticare che a tutti gli effetti, una volta varcata la frontiera dello stato Turco confinante il campo profughi, si è nella cosiddetta “terra di nessuno”. Procedendo quindi in direzione delle zone dove c’è attività di guerriglia, ci si può imbattere anche in cinque o sei diversi posti di blocco in una volta, ognuno presidiato dalle numerose milizie di appartenenza.
Siria: i motivi di una guerra civile
Non è possibile parlare della mia seppur brevissima esperienza in Siria, senza prima fare almeno un quadro minimo della situazione politica del paese e tentare di spiegare le origini della guerra civile in corso.
Nel 2011, la popolazione siriana ha iniziato a scendere in piazza all'interno del contesto definito “Primavera Araba”, fino a degenerare in una guerra civile a tutti gli effetti esplosa sotto l’uso della violenza da parte del regime a cui i ribelli hanno risposto con le armi.
Si potrebbe semplificare il conflitto siriano riassumendolo in uno scontro tra fazioni: i sostenitori di Assad, membro della famiglia che governa il paese da 43 anni, sono osteggiati dalle forze di opposizione della Coalizione Nazionale Siriana guidata dall’imam sunnita e ingegnere Moaz al-Khatib.
In realtà, la situazione è molto più complicata per la presenza tra i contendenti della componente religiosa. Assad è di fede alawita, quindi sciita, ma governa un paese a maggioranza sunnita, in cui vivono altre confessioni come drusi, ebrei e cristiani, senza dimenticare l’etnia dei curdi che vivono a nord del paese da sempre in contrasto con la Turchia di Erdogan.
Inoltre si entra nel paradosso del terrorismo di matrice islamica, che in Siria mostra le sue diverse facce con Hezbollah e Al-Qaeda schierati su fronti opposti: il primo pro Assad, il secondo tra i ribelli.
Detto questo, si può forse capire meglio perché sia non solo difficile ma anche molto pericoloso entrare in questa tipologia di campo profughi, pur con le migliori intenzioni del mondo.
La seconda missione di Pasqua in Siria
Siamo partiti dall’Italia pianificando il viaggio per raggiungere due obiettivi fondamentali:
1) Portare a destinazione il primo container con gli aiuti raccolti grazie alle donazioni;
2) Stabilire relazioni con realtà locali per future collaborazioni in loco e minimizzare gli accessi ai campi.
Fortunatamente, sono stati raggiunti entrambi gli obiettivi. Siamo poi anche venuti a conoscenza di situazioni in altri campi, sia in territorio siriano che nelle città turche di confine, che necessitano il nostro supporto e su cui ci focalizzeremo con obiettivi mirati.
Le maggiori attività del nostro viaggio sono state:
- la distribuzione di 30 pacchi con cibo, vestiti e pannolini ad altrettante famiglie di profughi estremamente povere che ora vivono sul confine turco/siriano;
- la distribuzione di 4.000 schede per effettuare un censimento nel campo di Atma (fino ad ora mai effettuato);
- prelievo di acqua dal campo di Atma per farla analizzare in Italia e verificarne la potabilità;
- prendere contatto con i medici del campo di Atma per capire come rendere più funzionale la clinica esistente e dotarla delle attrezzature necessarie;
- acquisto in loco di 1.000 pacchi di pannolini e 2.000 confezioni di pappe per bambini che verranno distribuiti dell'associazione siriana con cui collaboriamo. La stessa associazione si occuperà nei prossimi giorni di effettuare la distribuzione tenda per tenda presso il campo profughi di Atma.
Conclusione
I ricordi e le immagini di questo viaggio sono stati particolarmente intensi, alcuni degni di essere raccontati.
Basta soltanto dire che lo scenario che mi si aprì davanti, appena mi avvicinai al confine, fu devastante: in lontananza si vedeva un'intera collina di tende misere. Quando però varcai il campo di Atma, già sentivo i brividi, e quando mi addentrai di più capii che era anche peggio di quel che si poteva vedere da lontano: in pochi minuti sono scoppiato in lacrime, sentendomi in colpa come essere umano, comunque responsabile per lo scempio sotto i miei occhi.
Questo campo ospita oltre 22.000 profughi, ed è diviso a 96 Settori con circa 3.500 tende. L’acqua, altrimenti mancante, viene distribuita tramite autobotti e attraverso una piccola rete idrica che eroga da serbatoi posti sulla cima della collina. Vengono riempiti discontinuamente, con il risultato che l'acqua è disponibile solo per due ore al giorno e non è garantita la potabilità.
Manca l’energia elettrica, che viene erogata con sistemi di cogenerazione per le sole aree critiche come il piccolo ospedale da campo e l'infermeria, le poche tende/scuola presenti, la mensa e altri punti importanti.
Sono presenti malattie molto pericolose come la leishmaniosi, causata da un moscerino che depone le uova dentro la pelle e provoca terribili ulcere e può provocare la morte se si insidia negli organi vitali.
A queste condizioni e in un campo cosi grande, la distribuzione degli aiuti umanitari dev'essere fatta con la massima attenzione e per ragioni di ordine e sicurezza gli aiuti devono essere disponibili per tutto il campo per evitare disordini e caos come si può immaginare possa accadere (ed è già accaduto).
Il censimento delle famiglie che abitano nelle tende, previsto dal nostro progetto, permetterà a noi e ad altre associazioni di avere una visione chiara di quante persone vi abitano e soprattutto quanti bambini e di quale età, per riuscire a fare una distribuzione mirata soprattutto del tipo di latte e pannolini necessari.
In questo momento, giunto alla fine di questa mia testimonianza, leggo sulla bacheca del nostro gruppo che abbiamo già un nuovo container pronto per partire, e con un nuovo accordo con l'associazione We Are abbiamo pianificato una collaborazione per il container successivo.
Insieme, si può fare di più.