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 Dalla "città santa" la testimonianza della collaboratrice di Vorrei: Non basta che chi è bambino ora a Gaza non venga massacrato; deve poter ambire a un futuro da persona libera

 

C

he un missile venerdì e uno oggi abbiano osato violare Gerusalemme fa effetto. Così come sentire le sirene che ne lanciano l’allarme. La distanza con la guerra che si sta svolgendo a Gaza si accorcia drammaticamente. Sia per noi che, vivendo a Gerusalemme, la sentivamo già vicina che per chi, dall’Italia, sente una forte familiarità con la città santa.

Ci siamo trovati a tranquillizzare amici e parenti sulle nostre sorti e ad accrescerne la preoccupazione su quello che sta accadendo.

Abbiamo parlato con le nostre mamme e zie che hanno tra i 77 e gli 87 anni, cercando di non fermarci al titolo ‘Israele ha il sacrosanto diritto di difendersi’ e avventurandoci in qualche ulteriore specifica, con riferimenti vicini alla loro esperienza.

La striscia di Gaza è un territorio occupato. Anche l’Italia era occupata, il concetto è chiaro. L’occupazione tedesca se la ricordano, l’hanno sofferta ed è durata meno di due anni. L’occupazione dei territori Palestinesi continua da 45 anni.

Che si sviluppi una resistenza armata è una conseguenza concepibile. Della resistenza italiana andiamo fieri. Ma è meglio fermarsi col paragone per non emulare Odifreddi1.

Inoltre Gaza è un luogo senza via di fuga. È come se la (ex?) provincia di Monza e Brianza venisse circondata da un muro. L’area è la stessa, 365 chilometri quadrati2.

‘La più grande prigione’ ha detto Ilan Pappe3 qualche sera fa in un incontro pubblico a Gerusalemme. Ed è sotto embargo.

Essere bombardati è sempre brutto, ma stando in una gabbia lo è ancora di più.

In queste sere mio marito Marco riusciva a parlare al telefono con l’ingegnere di Gaza che ha seguito alcuni progetti con l’organizzazione per cui lavora. Sta con la famiglia in quella che gli sembra la stanza più protetta della casa. Tanti altri hanno deciso di trasferirsi sulla spiaggia pur di non morire sotto le macerie.

Speriamo che questa sera sia confermata la tregua annunciata. E che possano rientrare a casa.

Ma quando anche si saranno fermati i bombardamenti, non va distolta l’attenzione internazionale da Gaza e dalla Palestina. Mi piacerebbe che non si contasse solo sull’intervento umanitario che non è altro che un antidolorifico. Non basta che chi è bambino ora a Gaza non venga fisicamente massacrato; deve poter ambire a un futuro da persona libera, avere una cittadinanza, dei documenti, il diritto di studiare e di poter uscire da lì.

Allora non pioveranno nemmeno più razzi su Tel Aviv e Gerusalemme.

 

1 Redazione de Il Fatto Quotidiano, (20 novembre 2012) Repubblica cancella il post di Odifreddi su Israele. Lui lascia: “Meglio fermarsi”, Il Fatto Quotidiano, http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11/20/repubblica-cancella-post-di-odifreddi-lui-lascia-meglio-fermarsi/419844/

2Treccani.it Enciclopedia Italiana, Monza e Brianza, http://www.treccani.it/enciclopedia/monza-e-brianza/

Palestinian Grassroots Anti-Apartheid Wall Campaign (2011),The Apartheid Wall

Land Theft and Forced Expulsion: 2010 Fact Sheet, http://www.stopthewall.org/downloads/pdf/2010wallfactsheet.pdf

3 Incontro con Ilan Pappe e John Gatt-Rutter, capo della delegazione dell’Unione Europea, dal titolo: L’unione Europea e la questione Palestinese: Un premio per la pace meritato? Libreria dell’American Colony Hotel, 18 novembre 2012

Ilan Pappe, professore nel dipartimento di Storia e co-direttore del Centro per gli Studi Etnico-Politici dell'Università di Exter in Gran Bretagna. Fondatore dell'Istituto per la Pace di Givat Haviva, ne è stato direttore dal 1992 al 2000. Dal 2000 al 2006 ha ricoperto la carica di presidente dell'Istituto Emil Touma per gli Studi Palestinesi di Haifa. E' l'autore di numerosi libri sulla questione israelo-palestinese: tra gli altri, Storia della Palestina moderna e La pulizia etnica della Palestina. http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=22310