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 Perché il “popolo del Web” si è dimostrato assai più fiducioso di altri decifratori professionali delle tendenze politiche? La sorpresa per i risultati elettorali, ci dice che anche l’informazione, dunque, non aveva il polso del paese

Riceviamo e pubblichiamo

Barbara Spinelli titola emblematicamente un suo commento sull’esito del referendum “L’irruzione del futuro” (La Repubblica).

In pochi – scrive - hanno visto quello che accadeva: il futuro che d'un tratto irrompe, la stoffa di cui è fatto il tempo lungo che gli italiani hanno cominciato a valutare. Erano abituati, gli elettori, a non votare più ai referendum. Questa volta sono accorsi in massa: a tal punto si sentono inascoltati, mal rappresentati, mal filmati”.

E’ la stessa musica che ci ripetono, in questi giorni, tanti commentatori, opinionisti, ospiti fissi dei talk show e delle rubriche, accompagnandola a un elogio sperticato, ma anche assai poco analitico, della vittoria del WEB sui media tradizionali.

La decantano a posteriori, quell’irruzione: ma com’è stata possibile tanta disattenzione, che si traduce ora nel postulato “Berlusconi non ha più il polso del paese”, ripetuto come un mantra?

Perché il “popolo del Web”, se si sta ai commenti e alle iniziative che ha espresso in questi mesi e con rapidità, si è dimostrato assai più fiducioso di altri decifratori professionali delle tendenze politiche?

E’ possibile perché, a parte qualche eccezione, l’informazione mediatica tradizionale soffre dei medesimi mali della politica, è strutturalmente diventata autoreferenziale, uno scriversi addosso o una fiction prolungata nella quale persino i talk show sono prevedibili, con copioni recitati da compagnie di teatro stabile o cast prefissati.

La sorpresa per i risultati elettorali, ci dice che anche l’informazione, dunque, non aveva il polso del paese, persino in quelle trasmissioni iperlodate nelle quali una qualche porzione di paese reale veniva rappresentata.

In tanta “ignoranza” cristallizzata, è esploso ora il tema del web, dei social network, dei blog, di tutti i sistemi di comunicazione che stanno rendendo intere generazioni meno mass-media dipendenti, un tema che in molti tendono a enfatizzare, senza peraltro riconoscere pienamente che sarebbe stato, quello sì, un luogo forse più significativo anche per tastare il polso al paese.

A patto, ovviamente, di non vederlo più come negli stereotipi, cioè popolato da minoranze e sette ipertecnologiche, dedite esclusivamente a giochi e riti di società virtuali, autoconsolatori, futili.

E però è curioso sentirlo riconoscere ora, questo ruolo, da chi non s’era accorto che – pur nascosta dal duopolio televisivo - aveva preso corpo anche in Italia la crisi dei sistemi informativi monodirezionali, com’è dimostrato, tra l’altro, dall’uso spesso puramente esornativo che anche le trasmissioni tv più osannate come indipendenti facevano delle nuove modalità di comunicazione.

Non c’è talk show, o persino show, che non sia accompagnato dall’invito a comunicare in diretta tramite un blog, un indirizzo di posta, una telefonata: ma quante volte avete visto considerare, e portare immediatamente alla ribalta, una osservazione da lì proveniente e fuori dagli schemi previsti?

Le “irruzioni”, spesso telefoniche, le fanno i politici, i personaggi noti, quelli che si presume alzino l’audience, agli altri resta qualche trasmissione dove la telefonata o il sms, sempre filtrati, fa buon gioco al format televisivo.

C’è, allora, una considerazione importante da fare: quello che ha fatto irruzione sul palcoscenico dei media e della politica, aldilà del merito delle occasioni, è il modo diverso di sentire la partecipazione, la democrazia, la politica, l’informazione stessa, fatto da un intreccio prepotente di vecchio e nuovo, che non è costituito dalla cosiddetta società civile contrapposta ad altro, dai giovani contrapposti ai vecchi, ma dalle tante micro o macroaggregazioni che, per farsi protagoniste, usano ormai tutte le vie possibili, dai flash mob al web, alle grandi manifestazioni, ai popoli multicolori, alle sezioni di partito e alle parrocchie.

Un intreccio di modalità che, con la sua semplice compresenza, finisce per generare un valore aggiunto insospettato.

La partita del futuro, quindi, i media e i partiti che si apprestano a giocarla, sappiano che si incentrerà molto sulla capacità di leggere questo mondo, interpretarlo, rappresentarlo, offrigli prospettive, proposte, risposte ma, soprattutto, STRUMENTI.

C’è un modo di dire spesso abusato in politica per riferirsi a chi, tardivamente, cerca di corrispondere a un mutamento sociale emergente: ”cavalcare l’onda” (della protesta operaia, del malcontento femminile, l’onda emozionale di Fukushima ecc.).

Ebbene, se non la si sa prevedere, l’onda VA quantomeno cavalcata, ascoltata, in quanto espressione di un sommovimento sociale, altrimenti non può che travolgere: la differenza la farà il tempismo nel percepirla, nel modo di rappresentarla.

La politica buona e l’informazione buona si fan da sempre anzitutto ascoltando e accompagnando, se non prevedendo.

La sorpresa postuma che commenti come quelli della Spinelli esprimono, ci dice che anche per questa incapacità di “ascoltare” sta esplodendo il conflitto latente tra informazione monodiretta e interattiva.

Chi, nella prima, ha ancora qualche autorità, ha potuto constatare che non è più legittimato ad esercitarla SOLO grazie all’appartenenza alla cerchia consolidata degli “informatori” riconosciuti ufficialmente come tali: sta vivendo, nei fatti, di una rendita di posizione e non c’è Ordine, associazione o sindacato dei giornalisti che basti a conservarla, perché il mondo è allerta e le sue antenne sono tese ogni istante, non alle ore programmate sulle frequenze programmate.

Persino su FB – che può apparire più futile e superficiale di un blog tematico – l’informazione indipendente circola rapidamente, e anche chi usa il social network a scopo prevalentemente ludico non può fare a meno di coglierla, perché la Rete non è a comparti stagni come un palinsesto televisivo. E i suoi frequentatori nemmeno.

Soprattutto in questi ultimi anni, quella che si chiama da decenni “l’intelligenza diffusa”, spesso irrisa, ha costruito i modi per partecipare nell’intreccio tra virtuale e concreto, dando forma a uno spazio che è anch’esso reale.

Purtroppo per noi, al contrario, rispondendo a una logica corporativa, informazione e politica non hanno mai visto il cittadino come vero protagonista, tanto meno l’intelligenza collettiva.

L’hanno visto come oggetto di spettacolo (i precari sui tetti e sulle ciminiere), come attore dentro un copione prescrittivo, prevalentemente come un competitore potenziale che si proponeva di mettere in discussione le prerogative riconosciute a chi gestisce i territori dell’informazione e della politica.

Invece, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, il territorio del conflitto per un allargamento dei poteri tramite la partecipazione diretta e un’informazione decentrata, sarà infinitamente più vasto di quello che abbiamo sinora conosciuto.

Per questo, chi si attarda a polemizzare su quel che trasmettono o non trasmettono le reti televisive fa una contesa probabilmente necessaria, ma meno importante, perché altrove andranno piantati i paletti che delimitano i nuovi confini, i nuovi assetti, i nuovi proprietari, i nuovi protagonisti.

Una contesa che non potrà non fondarsi, anche, sul riconoscimento di un protagonismo maggiore e diverso da quello che, un tempo, era riconosciuto agli “spettatori”, cioè a coloro che stavano dinnanzi a un presunto spettacolo da osservare, senza accorgersi di esserne, spesso, gli inconsapevoli, incorporati e strumentalizzati protagonisti.

Paganti in tutti i sensi, oltretutto.

Gli autori di Vorrei
Michelangelo Casiraghi