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Presentato anche a Monza il film-documentario sull'ILVA di Taranto, tra morti sul lavoro e inquinamento. Il video

Venerdì 12 novembre, presso la sede della Circoscrizione 3, è stato proiettato il film-documentario "La Svolta. Donne contro l'ILVA".

Il film, realizzato da Valentina d'Amico, racconta attraverso le testimonianze di alcune donne,  le tragedie avvenute nell'enorme complesso siderurgico tarantino, il quale conta ben 42 morti negli ultimi 15 anni, definiti "fisiologici" dal presidente del gruppo, Emilio Riva.

Le  donne protagoniste sono madri e mogli di operai morti sul lavoro, ma anche donne vittime di mobbing sul lavoro, o che hanno perso improvvisamente l'uso delle gambe a causa dei veleni provenienti dall'impianto.

 



La regista Valentina d'Amico racconta il film.

 

La serata ha preso spunto dall'affermazione di Giulio Tremonti in un recente convegno, secondo cui "le norme sulla sicurezza sono un lusso che non possiamo più permetterci", e sui recenti spot del governo, nei quali la sicurezza sul lavoro sembra essere responsabilità solo dei lavoratori e non delle aziende.

Su queste premesse, dopo la visione del documentario, si è sviluppato il dibattito con la regista,  con Domenico Marcucci (Responsabile nazionale sicurezza Filctem CGIL) e Carlo Monguzzi (ambientalista, ex consigliere regionale ora nel PD).

Il tema caldo delle morti sul lavoro (non solo a Taranto, basti pensare al recente incidente a Paderno Dugnano, con un operaio morto e altri cinque gravemente feriti), è stato analizzato prendendo la situazione dell'ILVA come pretesto per un ragionamento più ampio.

In molte realtà le aziende operano in totale disprezzo delle norme antinfortuniastiche e ambientali, sostenendo che i costi di ammodernamento degli impianti e di messa a norma siano troppo elevati, e minacciando la chiusura o il trasferimento degli impianti se cittadini e istituzioni impongono con proteste e delibere il rispetto delle norme stesse. E' il cosiddetto "ricatto occupazionale".

 

 

In questo contesto, le istituzioni si trovano spesso ad avere le mani legate, restando immobili tra l'obbligo di imporre regole e sanzioni e la necessità di difendere l'occupazione. E i cittadini che protestano contro i veleni si trovano spesso in lotta contro gli operai che difendono il loro posto di lavoro.

I costi delle morti sul lavoro e dei danni dell'inquinamento, che le aziende tendono a non accollarsi, hanno una ricaduta enorme. La CGIL stima in circa 30 miliardi di euro annui i costi relativi agli infortuni sul lavoro, costi che ricadono sulla collettività, non certo sulle aziende. Un investimento in sicurezza potrebbe essere quindi un risparmio per l'intero sistema.

"Ma se una azienda considera la sicurezza degli operai un costo aggiuntivo, significa che ha già perso in partenza, che non può essere competitiva e quindi, in definitiva, che il tipo di produzione non è più adatto, meglio indirizzarsi verso altre produzioni". Questa, in estrema sintesi, la tesi emersa nelle analisi di Monguzzi e Marcucci.

Se l'industria italiana cercherà di inseguire la concorrenza cinese e dei mercati emergenti sul terreno della riduzione dei costi, sorvolando sulle norme di sicurezza e ambientali, la battaglia è già persa in partenza. Se invece cercherà di essere competitiva sul piano della qualità e dell'innovazione, forse potrà continuare a giocare un ruolo di primaria importanza.