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A Monza la scorsa settimana un convegno: scuola, imprese, editoria a confronto.
Ma non si invita l’Isa, scuola di design che ci vive da 40 anni.

 

Riceviamo e pubblichiamo

1. Un confronto utile e necessario.

Sabato 30 ottobre 2010 si è tenuto a Villa reale un importante Convegno, che ha analizzato la situazione del settore del design, vista da queste tre interessanti angolazioni.

Sono intervenuti ospiti qualificati, che hanno cercato di dar risposta alla domanda sintetizzata da Marta Abba nel resoconto che ne ha fatto per il periodico online Vorrei (dal cui articolo ho stralciato i commenti): “Qual è oggi il ruolo che rivestono la scuola e le università a supporto del sistema imprenditoriale legato al design? E come il sistema informativo supporta le imprese design driven?”

Alla presenza anche di Carlo Valli (Presidente della Camera di Commercio), Renato Cerioli (Confindustria di Monza e Brianza) ha sciorinato al proposito numeri significativi, che ci dicono che ben il 70% dei lavoratori italiani trova occupazione in aziende che hanno meno di 50 dipendenti, buona parte - anzi - meno di dieci. Nel territorio brianteo, personalmente ho motivo di credere che la situazione sia ancora più parcellizzata e precaria, con una forte polarizzazione verso Milano quantomeno degli aspetti più significativi di promozione e commercializzazione dei marchi più noti.

Queste realtà aziendali, ha aggiunto Cerioli, sono troppo piccole per il mercato internazionale “…è difficile che riescano ad aprirsi ai giovani dando loro l’opportunità di formarsi e i dati sulla disoccupazione giovanile sono sconfortanti”.

Un allarme ulteriore per il mondo della scuola, che già sta attraversando acque poco tranquille, tra riforme e importanti tagli di risorse.

Al Convegno, questo mondo era rappresentato dall’Istituto Melotti di Cantù, dall’Isis di Lissone, dallo IED, dalla Facoltà di Design del Politecnico e dalla Scuola Politecnica di Design (SPD).

Come si potrebbe sintetizzare quanto hanno detto le scuole?

Probabilmente con le parole pronunciate rispettivamente da Francesco Zurlo del Politecnico che ha invitato a “Insegnare ad imparare”, e da Ali Filippini (Scuola politecnica di design), che ha sollecitato a formare non più semplici progettisti ma “…project manager…, persone in grado di fare da intermediari tra produzione e mercato e capaci di indicare nomi e nuovi talenti nel design”.

Dunque, tutto sembrerebbe quadrare: tranne alcuni particolari non di secondaria importanza.

2. Questioni irrisolte da vent’anni.

Anzitutto perché questi obiettivi sono gli stessi già sottolineati da decenni, in ambito europeo: li si richiamava nel "Libro Bianco" di Jacques Delors, presentato dalla Commissione europea nel dicembre del 1993, che affrontava i medesimi problemi confermando, allora, i dati di oggi circa la frammentazione e la dimensione delle aziende, non solo in Italia ma in gran parte d’Europa.

Jacques DelorsConstatando, inoltre, che “Una delle cause fondamentali della disoccupazione tecnologica nei suoi connotati di fenomeno strutturale, è l'inadeguato livello dell'istruzione e della formazione professionale, di fronte sia ai rapidi mutamenti della tecnologia, che alla sfida portata al sistema europeo dalla globalizzazione dell'economia”.

Con ancora maggior enfasi si era espressa, al proposito, anche la Conferenza dei capi di stato e di governo europei di Lisbona (23 e 24 marzo 2000), sottoscrivendo un documento impegnativo che chiamava i paesi membri a operare per la realizzazione di una “società della conoscenza”, nella quale proprio la conoscenza, e il suo costante rinnovamento, fossero considerati la base essenziale di ogni sviluppo e competitività nel contesto della globalizzazione.

Costruire una “società della conoscenza” era, in sintesi, l’obiettivo di quella che da allora fu chiamata la “Strategia di Lisbona”.

Che ci si trovi a ridiscuter sulla carta le medesime opzioni ventanni dopo, dovrebbe inquietare: perché dimostra che molte cose non hanno funzionato e che oggi tutto quanto si fa al contempo più necessario e più difficile, alle prese come siamo con una crisi che è stata definita epocale, che presenta nel nostro Paese tratti ancora più gravi.

Infatti, come hanno fatto rilevare alcuni rappresentanti delle riviste di settore (Domus, Interni, AD, Ottagono, Case…), impresa e mondo della formazione sono ancora separati, e dalle istituzioni pubbliche che dovrebbero incentivare le sinergie non proviene adeguato supporto.

Ha dichiarato al proposito il vicedirettore di Domus Stefano Casciani: “Non si può fare questi discorsi senza poi denunciare la grave mancanza di disegni di legge specifici, di aiuti economici e di sgravi per le aziende, anche per promuovere e garantire l’assorbimento dei giovani creativi che numerosi si affacciano fiduciosi al mondo del design”.

La questione, evidentemente, non riguarda solo il settore del design, ma tutta la competitività del cosiddetto sistema Italia, e sta faticosamente assumendo una qualche centralità nel dibattito politico, anche se abbondantemente “occultata” da altre vicende gossipare che appaiono futili ma, in qualche modo, indicano di quale “società della conoscenza” ci si interessi invece concretamente, in troppi casi esemplari.

 

Modelli, indirizzo Architettura e design dell’Isa3. L’ISA di Monza: insolite dimenticanze.

Comunque, anche se il Convegno è stato il benvenuto per l’occasione di confronto che ha offerto, non posso tralasciare di metter in rilievo alcune circostanze.

La prima: chi l’ha organizzato si è del tutto dimenticato di invitare a dir la sua anche l’Istituto statale d’arte (ora IIS di Monza).

E sì che non credo che potesse ignorare che si tratta di un istituto che ha sede da oltre quarant’anni proprio in Villa reale!

Che è nato come ideale prosecuzione dell’ISIA (Istituto superiore per le industrie artistiche), che vi si era insediato negli anni Trenta, ponendo le radici dell’Italian style.

Che ha ripetutamente manifestato la propria presenza nei decenni, dando vita a una sperimentazione dalla quale hanno tratto spunto diversi interventi nazionali di riforma del settore dell’istruzione artistica.

Che ha collaborato intensamente (attraverso scambi col territorio, progetti, convegni di interesse locale e nazionale) proprio al tentativo di costruire concretamente quella società della conoscenza che resta, per ora e per tutti, una pia illusione.

Chi ha organizzato il Convegno NON POTEVA non esser a conoscenza di tutto questo, anche perché l’ISA ha partecipato al “Tavolo del design”, costituito proprio dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza e dal suo presidente Carlo Valli.

Non è suonata quantomeno strana, questa dimenticanza?

 

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Lo stand dell’ISA al salone del mobile in Fiera di Milano.

 

Perché l’Istituto d’arte proprio ora sta gradualmente trasformandosi, come previsto dalla riforma Gelmini, nell’unico liceo artistico statale di Monza, che ha tra i suoi 6 indirizzi proprio quelli di Architettura e Design, Grafica e Comunicazione audiovisiva e multimediale, supporti indispensabile di qualsiasi attività progettuale, produttiva e promozionale, come ben sanno le riviste intervenute.

 

Da questa scuola sono usciti, escono e usciranno diplomati che vanno proprio a ingrossare significativamente prima il Politecnico, l’Accademia di belle arti o le scuole post-diploma e parauniversitarie del settore, poi le aziende produttrici e i media che ne sono un indispensabile supporto.

20101108-atrio-isa-2O pure ancora, e francamente sarebbe poco encomiabile, questa dimenticanza indica il permanere - proprio nell’ambito di un convegno che afferma l’indispensabiltà di attrezzarsi adeguatamente per aprirsi a una dimensione internazionale - di una mentalità condizionata da fattori localistici?

Magari da una concorrenza poco trasparente tra scuole adiacenti?

Se non - addirittura - di condizionamenti derivanti dalla presenza scomoda dell’ISA in Villa, cui qualcuno ritiene sia meglio negare visibilità?

Presenza la cui problematicità, aldilà di ogni valutazione di merito, non può continuare ad esser l’alibi perché chi dovrebbe intervenire non lo faccia (parlo di Regione, Provincia, Comune…), eludendo persino esigenze minimali di manutenzione e adeguamento della sicurezza.

Perché, altrimenti, tra disattenzioni sorprendenti e noncuranza prolungata, viene da chiedersi se non ci si trovi di fronte a un tentativo di eutanasia assistita della scuola ( AMPIAMENTE SOTTOVALUTATO DALLA STESSA), in vista dell’attuazione di megaprogetti sulla Villa più o meno fattibili e altisonanti cui, per ora, per la sola sua presenza continua ad esser l’ostacolo principale, necessariamente da rimuovere.

 

Michelangelo Casiraghi

Docente dell’Istituto d’arte di Monza e rappresentante sindacale FLC CGIL

Gli autori di Vorrei
Michelangelo Casiraghi