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Intervista al "prete scomodo", noto per i suoi attacchi alla Lega parla a Vorrei di cristianesimo, giovani e Chiesa, bene comune e dei veri eretici

 

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er il nostro dossier sulle religioni in Brianza siamo tornati a Monte di Rovagnate (LC) per incontrare Don Giorgio De Capitani, voce discussa e fuori dal coro all’interno della chiesa cattolica brianzola. È stata occasione per riprendere insieme la riflessione su alcuni importanti argomenti: il rapporto tra il cristianesimo e la struttura ecclesiastica, quello tra la Brianza, il successo della Lega e la tradizione cattolica, la lontananza della chiesa dall’attualità e dalle fasce più giovani, quali progetti e priorità per il cambiamento.

 

Don Giorgio, la Brianza è per definizione terra ‘bianca’, molto cattolica, ma oggi sembra esprimere, e in modo sempre più evidente, valori opposti (individualismo, disaggregazione, chiusura all’altro). La Chiesa che responsabilità ha in merito?

L’aggettivo “bianca” dice tante cose, e mi evoca immediatamente il predominio della ex Democrazia Cristiana, anche per il consenso quasi totale del mondo cattolico. La Dc costituiva un baluardo contro lo spauracchio del comunismo che, oltre all’ideologia marxista che spaventava la gerarchia della Chiesa - ideologia direi estranea alle masse -, minacciava la libertà religiosa attraverso un anticlericalismo che aveva le sue buone ragioni ma che spesso finiva per chiudere ogni possibilità di dialogo con il mondo cattolico.

Ben pochi preti, nella nostra Brianza, hanno cercato di “umanizzare” la fede, senza per questo voler a tutti i costi condannare una popolazione che viveva non solo di tradizioni religiose, ma che aveva un forte senso comunitario.

E le buone ragioni stavano nella struttura stessa di una Chiesa che si era chiusa al mondo dei lavoratori. Un mondo che inizialmente era stato ignorato o trascurato dalla Chiesa - ed è qui il successo del marxismo - e che poi, con l’avanzare del comunismo, via via era stato emarginato fino ad arrivare alla scomunica ufficiale. Non sto qui a dire che la scomunica, più che un pezzo di carta di condanna, consisteva soprattutto in un insieme di inflessibili giudizi e, di conseguenza, di duri atteggiamenti, e da qui comportamenti, dei cattolici ortodossi che non ammettevano alcuno scambio di idee.

La Brianza, per quanto posso ricordare, è stata in un certo senso come una terra “privilegiata”. Privilegiata, anche perché le tradizioni cattoliche apparivano intoccabili per una grande direi indiscutibile fede (o “fedascia”) dei nostri vecchi che andava oltre ogni ragionevole dubbio.

Non escludo la buona fede, tanta, forse troppa, ma, con il senno o, meglio, la constatazione di poi, tale fede era a poco a poco diventata quasi un obbligo formale, giungendo a quel fariseismo, condannato duramente da Cristo, che consisteva nel dare più importanza alla legge che alla persona umana. Ed è qui che la religione ha preso il sopravvento sul cristianesimo. In particolare in Brianza. Ed è qui che possiamo trovare le radici dell’attuale individualismo che ha buon gioco nella Lega.

La Chiesa è stata responsabile? Direi di sì. Ben pochi preti, nella nostra Brianza, hanno cercato di “umanizzare” la fede, senza per questo voler a tutti i costi condannare una popolazione che viveva non solo di tradizioni religiose, ma che aveva un forte senso comunitario. Fatto di grandi sentimenti umani. Ma a un certo punto, qualcosa si è rotto. Il mondo è franato. I sentimenti sono spariti nell’indifferenza sociale e nell’individualismo più ottuso. I preti in genere non hanno mai voluto aprire gli occhi. Neppure ora.

 

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Nelle sue omelie, come nei suoi articoli, sostiene spesso che il cristianesimo non è una religione. Potremmo dire ad esempio che in Brianza c’è molta religione e poco cristianesimo? Quanto sarebbe impreciso affermarlo?

Se si capisse la differenza tra cristianesimo e religione, forse ci sarebbero meno incomprensioni e meno ostilità reciproche

Sì, il cristianesimo non è una religione. Non perché è una mia idea. È così, anche se ben pochi lo dicono. Noto una grande confusione di termini, quando sento parlare anche gente dotta. Se si capisse la differenza tra cristianesimo e religione, forse ci sarebbero meno incomprensioni e meno ostilità reciproche. Anche la Brianza è stata vittima di questo equivoco, naturalmente la responsabilità diciamo oggettiva è da attribuire ad una pastorale o conduzione della parrocchia, tramandata da secoli di storia “religiosa” che ha soffocato il cristianesimo in uno schema dottrinale ma soprattutto moralistico talora disumano.

La religione, non dimentichiamo, vive di moralismo o di codici di comportamento etico che costringono i seguaci a rimanere buoni buoni al servizio del potere. Per dare valore al codice morale si ricorre anche al dogma di fede. Devi comportarti così e così, perché Dio lo dice. Ma quale Dio? Saltato questo Dio, è crollato il mondo moralistico, e lo sbandamento è stato generale. Per forza. Mancavano i valori umani. Su questi si fonda il cristianesimo. La religione codifica se stessa. Il cristianesimo è umanesimo integrale. Non necessariamente ricorre ad un codice per dire che l’uomo deve comportarsi da essere umano.

 

Quali sono oggi le maggiori difficoltà che incontra nello svolgimento del suo ruolo? E quanto hanno contato queste sulla sua recente scelta di dimettersi dai suoi incarichi di parroco?

Starei per dire che forse è più facile imporre un codice moralistico che far capire i valori umani. I valori umani non hanno limiti, non hanno tempi, non hanno condoni. Le leggi sono di per sé ipocrite. Puoi fare il furbo, ed evitare le sanzioni. Ma i valori umani fanno parte del nostro essere. Se li freghi, freghi te stesso. Non mi è mai stato facile comunicare queste cose. Sì, anche farle capire. È chiaro che, se le capissimo, sarebbe poi molto più semplice prenderci le responsabilità. La gente oggi valuta ancora il proprio comportamento in base ad un codice, e siccome oggi il codice sta diventando sempre più soggettivo, allora il passaggio è breve: ci si crea un proprio codice. E i valori umani? Si fatica a dire che non rientrano in un codice, e tanto meno che non sono negoziabili.

La mia scelta di sospendere alcuni miei impegni nella comunità dove risiedo dipende da altre cose e situazioni. Anche se, più che per le difficoltà da parte della mia comunità, il vero motivo è stato quello di dover scegliere tra religione e cristianesimo. Parlo della cosiddetta Comunità pastorale. Dirò in seguito qualcosa di più.

 

Si parla molto di crisi delle vocazioni e i dati la testimoniano concretamente. Pensa che vi siano delle responsabilità della chiesa o che questo fenomeno sia piuttosto attribuibile a un più ampio cambiamento sociale?

Se la Chiesa fosse più aperta all’Umanità, forse avrebbe più presa sul mondo giovanile. Forse.

I motivi sono diversi. Basti pensare che in tempi non troppo lontani si entrava in seminario anche per la possibilità di studiare, ma soprattutto per le famose “retate” ad opera di missionari che avevano l’incarico specifico di andare per i paesi e di convincere i genitori ad affidargli il loro figlio anche solo per un periodo di prova. Certo, entravano nell’istituto cento ragazzi e ne uscivano poi ottanta. Tuttavia una certa percentuale rimaneva fino al sacerdozio.

E poi non c’erano le attrazioni di oggi. Un tempo erano la missione, il ruolo e l’autorità del prete ad esercitare un certo fascino. Non lo so a chi attribuire maggiore responsabilità: se alla Chiesa o all’ampio cambiamento sociale. Ho una mia convinzione: se la Chiesa fosse più aperta all’Umanità, forse avrebbe più presa sul mondo giovanile. Forse.

 

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Per far fronte a questa crisi, si sta lavorando di più insieme. Cosa pensa del nuovo modello delle comunità pastorali: quali pregi e difetti?

Proprio a causa della mancanza sempre più elevata delle vocazioni, la nostra Diocesi (non è l’unica, anche se altrove si è verificata poi qualche retromarcia) ha proposto un nuovo modello di pastorale d’insieme: quello delle Comunità pastorali. Più parrocchie sotto la direttiva di un unico parroco. Tuttavia è chiaro che l’intento è anche quello di uniformare la pastorale. Ho le mie riserve. Almeno per il momento. Ho l’impressione che a voler a tutti i costi uniformare si arrivi ai soliti compromessi di equilibrio, con la conseguenza che una parrocchia che ha tentato qualcosa di nuovo e ha percorso un certo cammino di fede si veda costretta a fermarsi o, ancor peggio, a tornare indietro. E noto una cosa ancor più grave: che l’aspetto “religioso” sia rimasto intatto con tutto il suo peso, e che non si tenti affatto una “nuova” pastorale. Qui sta il punto. Questo è stato il vero motivo per cui ho preferito tirarmi indietro per non creare divisioni nella Comunità pastorale a cui appartiene la mia piccola comunità di Monte.

 

In generale quali sono a suo parere le priorità che la Chiesa anche a livello locale dovrebbe darsi?

In parte ho già risposto. La Chiesa deve aprirsi alle problematiche che toccano sul vivo la realtà esistenziale. Deve uscire dal cerchio della religione. Deve stimolare al Bene comune. È chiaro che non deve essere lei a gestire il Bene comune, ma far sì che gli enti pubblici lo facciano nel migliore dei modi. Alla Chiesa locale deve stare a cuore l’ambiente, parlarne, discuterne nei Consigli pastorali. Deve favorire la lotta in favore dell’acqua pubblica, non può ignorare i problemi del lavoro. Insomma, una Chiesa che si dice “cristiana” deve essere aperta all’Umanità in tutti i suoi risvolti sociali e politici. Sempre in vista di una società che metta al centro l’essere umano, la persona, i suoi diritti, le proprie responsabilità. Deve stare dalla parte degli ultimi. Non può non scegliere nel caso in cui partiti come la Lega sembrano promuovere le tradizioni religiose, in realtà fanno il doppio gioco: tenersi buoni i cattolici per portare avanti discorsi che della località hanno solo una parvenza per quel tanto che serve a proteggere interessi individuali.

 

Giovani e Chiesa: crede sia possibile per la Chiesa tornare ad essere una alternativa credibile per i ragazzi? Cosa si sta facendo in tal senso e cosa si potrebbe fare?

Mi è difficile rispondere. Ho più di settant’anni. Forse i giovani non li riconosco più. Non appartengono alla mia epoca, in cui bastava poco perché ci si ribellasse. Sì, si usavano parole grosse come sistema, potere, rivoluzione, e poi, in realtà, si faceva anche poco perché si riuscisse a cambiare qualcosa. Si discuteva animatamente, anche con tanta rabbia che poteva tradursi in gesti inconsulti. L’oratorio allora era un vivaio anche di teste calde, col rischio di tirarsi addosso le ire della comunità perbenista. I superiori vigilavano, benché da lontano, e talora facevano sentire le loro ragioni, che erano quelle dell’ordine da rispettare, ovvero dell’obbedienza alla Chiesa, che in realtà era la gerarchia-struttura. Sempre, e poi sempre religione.

Ed ora, come sono fatti questi giovani? E chi li capisce? Sono figli del loro tempo, ovvero della cultura berlusconiana che, volere o no, è riuscita nell’intento di renderli rincoglioniti. Non tutti, certo. C’è una parte sana, ma che purtroppo rimane quasi assente, in casa, in un ambiente ovattato.

Come e cosa fare per educare i ragazzi, diciamo i più piccoli, a difendersi dal rincoglionimento generale? Forse bisogna osare, osare di più, osare in grande. Mi è sempre stato di stimolo don Lorenzo Milani. Perché non tornare alla radicalità evangelica? Eppure io penso che proporre ai ragazzi qualcosa di valido non sia perdente. Certo, non basta un gesto, una proposta occasionale, e tanto meno ritengo educativo impegnare i nostri giovani solo in qualcosa di… evasivo. Il volontariato mi sta bene, starei però attento a quello extraterritoriale. Questi ragazzi vanno impegnati sul posto. In loco.

 

Con i recenti risultati elettorali la Brianza e il nord in genere si sono confermati sempre più territorio della Lega Nord, partito che si proclama (e viene percepito come) vero difensore della tradizione cattolica. E allora sorge una domanda un po’ provocatoria: Don Giorgio, chi è il vero eretico oggi?

È questo l’anima della Lega: l’individualismo più rozzo. Un individualismo che si fa clan, ma solo per sentirsi maggiormente protetti nel proprio star bene a tutti i costi.

Ho già accennato alla Lega. Tutti ormai sanno il mio pensiero. Più che il mio pensiero, tutti sanno quanto io la contesti, la combatta, metta a nudo ogni respiro di una ideologia, supposto che esista, che cozza contro ogni diritto umano. Sì, perché la Lega è tutto un groviglio di idee confuse che nascono da un substrato socio-politico che purtroppo, non trovando di meglio, si aggrappa al primo giocoliere di prestigio. E la Lega in questo sa fare bene il suo mestiere. Gioca sui sentimenti della gente, li accarezza, adulando ogni pretesa di benessere, non importa se, oltre alle patate, rimane ben poco. Ed è qui l’horrendum fidei della Lega: saper coniugare la pancia con il padre celeste che diventa come un coperchio che serve appunto a coprire la pentola dove c’è di tutto, tranne l’anima. L’essere è un tabù. D’altronde chi può masticare l’essere? A che serve allora?

Già dire religione è per me qualcosa di riduttivo, di restringente, di dis-umano. Se poi a difendere la religione è la Lega, allora abbiamo la fotocopia peggiore della peggiore religione. La Lega parla di Dio alla stessa maniera con cui bestemmia l’extracomunitario. Si serve di Dio - oggi fa comodo quello “cattolico” - per giustificare le bestemmie contro l’Umanità. E la Lega fa di tutto per slegare ogni rapporto che sappia di fratellanza universale. Tesse ogni giorno una trama di odio razziale che poi, senza che se ne accorga, finisce per tingersi anche di razza bianca, nostrana, parentale. Il passaggio è breve ed è facile: non c’è peggior razzismo di quello tribale. Si è tribù per avere più consenso, ma basta poco per uscire dal branco, appena gli interessi personali perdono quota. Perché di questo si tratta, ed è questo l’anima della Lega: l’individualismo più rozzo. Un individualismo, ripeto, che si fa clan, ma solo per sentirsi maggiormente protetti nel proprio star bene a tutti i costi.

E chi ha allora il coraggio di affidare la fede nelle mani di questa tribù di individui ottusi? E come parlare loro di cristianesimo?

Il problema vero è capire come si è passati, così di colpo, da una eredità di fede che ha visto generazioni e generazioni lottare anche per un mondo più giusto, ad una idolatria perbenista e falsamente incarnata sul territorio.

La Lega, in breve, è la prova del fallimento del cristianesimo in Brianza, anche se paradossalmente è la testimonianza di una religione che continua a dimenarsi nelle sabbie mobili.

Chi è l’eretico, oggi? A me sembra di individuare un criterio proprio nel cristianesimo o nella religione. Eretico è colui che si discosta dal Cristo radicale. E se per ipotesi eretico fosse colui che si discosta dal Cristo della religione cattolica, allora sarebbe un onore per me passare per eretico.

 

Ci indica qualche personaggio o progetto che si sta sviluppando all’interno o all’esterno della chiesa e che in questo momento la convince e le dà speranza?

Parlo talora di una necessità inderogabile di rivoluzione. Non vorrei essere frainteso. Una cosa però la vedo chiara: cambiamento radicale. Basta con i tamponamenti o le toppe da mettere su un vestito vecchio.

Di per sé non amo sentirmi seguace di questo o di quel leader. La parola carismatico mi fa un po’ paura. Sì, ci sono personaggi che emanano un certo fascino. Parlerei di autorevolezza che non è uguale ad autorità o ancor meno ad autoritarismo. L’autorevolezza sta in una particolare convinzione o in una forza interiore che impone senza volerlo una certa ammirazione. È la forza delle idee che incanta, più che la persona in sé. Il profeta non parla mai in nome proprio, ma di una Verità da incarnare (chiamala come vuole, se non sei un credente).

C’è qualche personaggio oggi che ammiro, nel campo socio-poltico o ecclesiale? Nel campo ecclesiale, non strettamente ecclesiastico, ce ne sono. Ognuno mi dice qualcosa, non tutto. Ci sono stati preti che tengo nel mio cuore. Ne cito due: don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Oggi forse ne vedo pochi. Sì, c’è qualche voce fuori del coro. Ma non sento la forza prorompente di un profeta d’altri tempi.

Nel campo socio-politico, la realtà è ancora più triste. C’è l’angoscia del vuoto. Il genio italiano si è quasi spento di colpo. O si è esaurito?

Si è in attesa di tempi migliori. La storia ci dovrebbe insegnare che a periodi storici bui seguono periodi storici di luce. Penso però che il momento attuale italiano, marchiato dal berlusconismo più becero e da un analfabetismo politico che rasenta la zotichezza o inciviltà più infamante (vedi Lega Nord), avrà un incerto futuro e, dopo l’eventuale amputazione, chiederà un lungo periodo di convalescenza. L’Italia, a meno di un miracolo (non da escludere!), subirà una fase degenerativa spaventosa.

Qualche spiraglio di speranza? Perché no! Già il fatto che continuo a lottare, non è speranza che potrà prima o poi succedere il miracolo?

Parlo talora di una necessità inderogabile di rivoluzione. Come la intendo? Non lo so. Non vorrei essere frainteso. Una cosa però la vedo chiara: cambiamento radicale. Basta con i tamponamenti o le toppe da mettere su un vestito vecchio. L’ha detto anche Cristo parlando di Novità. Da qui la mia Sinistra evangelica radicale.

 

Don Giorgio ci ha anche omaggiati con un suo video-montaggio dell'intervista. Lo ringraziamo e ve lo proponiamo qui:

 

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.