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In molti ammettono di vedere come una “minaccia” per la propria tradizione culinaria
l’avvento della cucina esotica, o comunque straniera.

 

B

rianzoli. Popolo di santi, di poeti e di imprenditori, spesso animati da un senso di internazionalità e scoperta, e (ancora più) spesso attenti a ciò che riguarda il proprio praticello dietro casa, i propri affari e l’attaccamento alle tradizioni. Di certo, per quanto riguarda la tecnologia, i viaggi, le automobili e la spinta internazionale dell’economia non si può dire che siamo di fronte ad una “società brianzola” chiusa, o poco spinta alla globalizzazione. Tutt’altro. Computer giapponesi, lettori mp3 californiani, macchine tedesche, vacanze egiziane, come ogni buon occidentale moderno, e chi più ne ha più ne metta. Ma in cucina? Per quanto riguarda i sapori esotici, come la pensano i brianzoli? Solo pollo alla cacciatora, cassoeula, torta paesana, polenta, gorgonzola e nulla più? Bisogna subito dire che i dati a disposizione, seppure ottenuti con una rapida ricerca, sono molto contrastanti. Si può partire citando un dato fornitoci dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza, che ci dice che le imprese individuali con titolare straniero attive nel settore della ristorazione e del commercio al dettaglio di alimentari, in provincia di MB, sono quasi 280. Il numero, accostato a quello dei comuni della Provincia (55) non appare di certo misero.

Eppure, andando a confrontarsi con gli abitanti della Brianza, non pare proprio che si vedano circondati da ristoranti dove poter testare la cucina etnica. In generale, i Monzesi della fascia d’età 25-50, interrogati riguardo i propri gusti in fatto di cucina straniera, un qualsiasi lunedì mattina, si dicono propensi alla scoperta, tanto che, per molti, infatti, sono pochi i ristoranti etnici in Brianza, soprattutto quelli “più all’avanguardia”, come i ristoranti indiani ed africani. La risposta dominante risulta quindi essere «Si, mi piace la cucina etnica, ma bisogna andare a Milano». Normalmente, più si sale con l’età degli intervistati, più si trova gente restia al gusto della scoperta, oltre che persone che non l’capiscono proprio la domanda, ripetuta anche quattro o cinque volte. Stupisce un po’, forse, il dover riscontrare che anche tra i giovanissimi, studenti di scuola superiore, non sono molti quelli si dicono innamorati dei sapori esotici e, tra risate e un po’ di imbarazzo, traspare che la polenta vince 1 a 0 contro il tandoori chicken (nonostante il panino kebab sia uscito con un dignitosissimo pareggio). Ma il punto, probabilmente, non è questo.

 

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Foto di Dasroofless

 

La cosa che dà da pensare è che molte persone hanno ammesso di vedere come una “minaccia” per la propria tradizione culinaria, l’avvento della cucina esotica, o comunque straniera. E il dato diventa inquietante – ci azzardiamo a dire – perché sembra riflettere in pieno, lo spirito che sta emergendo in tutta Italia (quindi non certo solo in Brianza), di xenofobia a tutto tondo, come se l’incontro di diverse culture debba per forza comportare l’annullamento dell’una o dell’altra. Sempre per i monzesi intervistati ci sono pareri contrastanti. Coloro che dicono di apprezzare la cucina etnica, ossia le persone appartenenti alla fascia d’età approssimata 25-50, non la vedono in questo modo. Le persone più in là con l’età (che hanno risposto) si dividono equamente tra si e no e, ancora abbastanza incredibilmente, i giovanissimi risultano essere i più propensi, in proporzione, a vederla in questo modo. È davvero così? Prendiamo Milano, o altre città del Nord Italia dell’”asse” Cota – Formigoni – Zaia dove negli anni passati c’è stato un fiorire di ristoranti Cinesi, Giapponesi, Indiani, Messicani: si sono snaturate così tanto? Le trattorie milanesi non esistono più? La polenta con gli osei è stata arricchita con salsa di soia? Nella bagna càuda sono finiti ortaggi africani? Azzarderemmo un no, supportato dal fatto che laddove ristoranti tipici, trattorie storiche e osterie “di una volta” hanno chiuso, non è stato certo per l’avvento di ristoratori stranieri, ma piuttosto per un perdita di interesse diffusa verso posti dove il menù non è in inglese, dove non si ascolta lounge music mentre ci si rilassa durante l’happy hour nel proprio wine bar preferito.

Ed azzarderemmo un’ultima riflessione. Dei gestori di ristoranti etnici dislocati nel monzese interpellati, non ce n’è stato uno solo disposto a rilasciare un commento per questo articolo. Nemmeno uno. Troppa diffidenza, troppa poca voglia di mettersi a parlare delle proprie tradizioni. In una parola, troppa paura. È così che vogliamo che vadano le cose? È così che stiamo diventando, giorno dopo giorno, perdendo un po’ il gusto della scoperta? Un vecchio detto recitava «Sei quello che mangi» . Allora, forse, si potrebbe cercare di essere il più aperti possibile anche a tavola, prima di ritrovarsi a bagno nel proprio brodo, che pare perdere sapore giorno dopo giorno.

 

In apertura foto di Ekkun