Nino Lisi ha rinunciato, per problemi di tempo, al suo intervento nell’assemblea finale di «Democrazia chilometro zero», alle Piagge. Eccone il testo


 

Prima domanda (riassunta grossolanamente). Berlusconi è un incidente di percorso sicché dopo la sua caduta il treno riprenderà la sua corsa o il dopo Berlusconi presenterà uno scenario diverso?

Il fenomeno “Berlusconi” non si comprende a mio avviso se non si prende in considerazione la profonda trasformazione della società italiana degli ultimi tre decenni, di quella specie di modificazione antropologica iniziata, grosso modo, dagli anni ottanta dello scorso secolo. Quello che chiamiamo berlusconismo è un’infezione che precede e spiega l’avvento di Berlusconi, che del berlusconismo è l’effetto prima ancora (temporalmente) che esserne la causa. Quando egli dice che gli italiani lo votano perché vorrebbero essere come lui, ha ragione: gran parte del popolo italiano è fatta da berlusconi in ventiquattresimo. Perché e come sia avvenuta questa involuzione della società italiana è tema di grande interesse che non si può trattare in questa sede, ma che andrebbe sviscerato, magari in uno dei gruppi di riflessione proposti da Gesualdi.

Caduto che sia Berlusconi, resterà dunque il berlusconismo, e sradicarlo dalle viscere della società italiana non sarà cosa di poca lena né di poco tempo.

Tener conto di ciò è a mio avviso essenziale, perché talune difficoltà in cui ci imbattiamo di frequente non sono soltanto delle contraddizioni nel popolo, per utilizzare un’espressione in disuso ma efficace, ma il segno che il berlusconismo ha inquinato anche persone e strati sociali che pur si sentono e si dichiarano “di sinistra”. Per cui ha assolutamente ragione il compagno dei NoTav, Ezio Bertok, quando sostiene la necessità di valorizzare il protagonismo che si organizza intorno a problemi ed obiettivi specifici per allargare orizzonti e consapevolezze a temi e problemi diversi.

Quanto al “treno”, una metafora adoperata da Gigi Sullo, se per esso si intende, come credo, il tipo di società ed il modello economico attuali, il problema non è se riparte e come, ma come si fronteggia il suo deragliamento. Le tre concomitanti crisi di cui Gigi parlò in Val di Susa stanno a dimostrare che siamo di fronte non ad una crisi congiunturale dell’economia ma ad una crisi di sistema: sono giunti al capolinea sia la modernità come è stata concepita e realizzata in Occidente, che ha portato all’individualismo esasperato dei nostri giorni, sia il capitalismo (di cui la globalizzazione rappresenta la fase parossistica), il cui meccanismo di accumulazione ha consumato tutti i margini utilizzabili per la sua alimentazione ed è andato anche oltre. Potrà darsi, come sostiene qualcuno, che il capitalismo abbia i secoli contati, ma il pianeta e l’umanità hanno da contare solo alcuni decenni.

Queste considerazioni contengono già la risposta alla seconda domanda.

 

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Seconda domanda (riassunta grossolanamente): passiamo far qualcosa per fermare o deviare il treno se e quando ripartirà?

 

Credo che il problema sia un altro: provare e costruire un treno diverso ed avviarlo su di un altro binario, cioè sviluppare e provare a connettere tra loro, il più possibile, i piccoli spezzoni di un diverso modo di imbastire relazioni, saldare solidarietà, produrre e consumare, che la miriade di presidi, associazioni, gruppi etc. sperimentano in tutto il paese.

Dobbiamo prepararci ad una coesistenza competitiva tra il vecchio, che è avviato alla fine ma resiste alla morte che non si sa quando prevarrà, ed il nuovo, che insorge tra mille difficoltà ed incertezze ma che nel tempo soppianterà il vecchio che non può non morire.

A questo proposito un altro prete anomalo fiorentino, Enzo Mazzi, in un’intervista rilasciata una decina di giorni fa ad Adista, ha fornito un’indicazione importante: occorre rifondare la modernità basandola sulla centralità delle relazioni. E’ nel contesto di questa nuova modernità e quindi di una società molto diversa dall’attuale che un’economia altra potrà sorgere e svilupparsi.

Credo che questo della coesistenza competitiva potrebbe essere un orizzonte possibile per connettere in qualche modo le tante esperienze che si pongono in alternativa e conflitto con i modelli dominanti di società ed economia.

 

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Pubblicato su: www.carta.org