La rivista che vorrei

Cosa mangiamo? cosa c'è dentro? cosa ci farà?

 

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gni volta che ci si appresta a parlare di alimentazione mi piace ricordare la semplice ma efficace strofa di Luigi Grechi, che, nella sua "Pastore di nuvole", qualche anno fa scriveva: "un uomo è quello che mangia, ma anche i sogni che si porta nel cuore". Una riga che metteva in relazione due aspetti del vivere diversi, ma di uguale, profonda, importanza. Aspetti che, a ben guardare, sono molto più connessi e vicini di quanto non sembri.

Il cibo è un elemento preminente nelle nostre vite, non si scappa, lo è perché permette la nostra sopravvivenza, le nostre attività, il nostro modo di essere e di interrelarci con gli altri e con i luoghi. Ma di più, dal cibo e dalle nostre scelte in campo alimentare dipende una lunga serie di processi economici a diversa scala geografica, che trovano il loro apice sugli scaffali del supermercato vicino a casa e arrivano, a ritroso, fino alle piantagioni nel sud del mondo. Prima di parlare di cibo, e per parlarne correttamente, questi rapporti di dipendenza dovrebbero esserci chiari.

Cibi, ingredienti e dipendenze.

In questo numero, però, parliamo di altre "dipendenze": la prima domanda a cui vorremmo dare risposta è se, come altre sostanze, anche il cibo può generare assuefazione/dipendenza e in quale modo; la seconda è, invece, riferita alla qualità degli alimenti: i prodotti esposti nei supermercati contengono spesso ingredienti di bassa qualità e in molti casi persino nocivi. Che fare?

Per soddisfare le nostre curiosità ci siamo rivolti alla Dottoressa Simona Magagnin, biologa e nutrizionista: "Nel caso di patologie come bulimia e "carving" (definito in italiano con i termini "appetizione compulsiva" caratterizzata da desiderio intenso e irrefrenabile nei confronti di cibi gustosi come dolci, gelati e simili), la PET e la risonanza magnetica effettuate sul cervello umano hanno dimostrato che i cambiamenti prodotti in alcune aree del cervello sono del tutto simili a quelli prodotti dalle droghe. Inoltre, esiste l'ipotesi, evidenziata nel ratto, che i dolci consumati sottoforma di abbuffate compulsive e, quindi, in modo intermittente producano segni di dipendenza. Possiamo, dunque, affermare che il cibo può dare origine a dipendenze anche forti". Ma i casi di dipendenza in alimentazione non sono legati solo a particolari disturbi del comportamento: "Ad oggi, la gran parte dei cibi dolci contiene alti quantitativi di zucchero raffinato, diverse ricerche dimostrano che questi possono causare una dipendenza e il desiderio di continua assunzione, specie tra i bambini e i più giovani.  Il discorso è simile, ovviamente, anche per le bevande molto zuccherate e per gli alimenti contenenti caffeina (ogni riferimento è puramente casuale, ndr). Novità scientifica molto recente è che anche il sale da cucina potrebbe generare un leggero effetto anti-depressivo e, quindi, una forma di dipendenza. Un gruppo di ricercatori della University of Iowa in uno studio pubblicato sulla rivista Physiology & Behavior ha rilevato dei cambiamenti nell'attività cerebrale dei topolini quando sono stati messi in condizioni di astinenza da sale simili a quelli provocati dall'astinenza da droga. Questo suggerisce che il bisogno e il desiderio di sale possono essere collegati allo stesso percorso cerebrale che caratterizza le condizioni di tossicodipendenza e abuso". E della fatidica cioccolata? "Il discorso nel caso del cioccolato si fa più complesso. Il mondo scientifico è infatti diviso: alcuni sostengono che il cioccolato produca endorfine nel nostro organismo, sostanze che "ci fanno sentire bene" e questo, al pari della caffeina, può causare dipendenza. Altri, invece, sostengono che la voglia di cioccolato dipenda dal semplice piacere che esso è in grado di generare al palato nel momento in cui lo si gusta".

Da che dipendono le dipendenze.

La cosa veramente interessante sarebbe tentare di capire da che dipendono questi comportamenti: "la maggior parte delle cattive abitudini deriva nient'altro che dalla scarsa informazione in tema di alimentazione. Le dipendenze dagli zuccheri raffinati o dal sale dipendono dall'educazione del gusto. La mia generazione mangiava pane e marmellata, oggi si mangiano sin dall'infanzia merendine e quant'altro. Educare e ri-educare il gusto è possibile, a volte basta fare alcune semplici scelte, ridurre le quantità, utilizzare zuccheri non raffinati o miele, scegliere alimenti integrali. Paradossalmente, invece, non ci si cura di quel che si acquista, non si leggono le etichette, si mangiano alimenti completamente raffinati, salvo poi, ad esempio, sopperire alle carenze comprando crusca come integratore alimentare".

Mangiare spazzatura e non saperlo.

Alla poca informazione e alle cattive abitudini la dottoressa collega il problema dei cibi spazzatura: "la poca informazione è evidente. Spesso sento i miei pazienti dire che le merendine "non fanno bene", ma di rado sanno spiegare il reale perché, la ragione scientifica. Il problema delle merendine, come di quasi tutti i prodotti da forno e pasticceria, ahinoi, talvolta anche artigianali, sono i grassi idrogenati. Durante il processo di idrogenazione dei grassi, utilizzato per produrre le margarine, e anche durante la raffinazione  degli oli vegetali, quello che si usa normalmente per estrarre gli oli dai semi (un processo molto diverso viene utilizzato per gli oli spremuti a freddo, che naturalmente sono molto più cari!) si formano molecole di tipo "trans". I grassi "trans" sono scientificamente ritenuti nocivi per la salute dell'uomo, che ormai li consuma in continuazione e sin dalla tenera età. Questi nutrienti, ottenuti attraverso processi di solidificazione degli acidi grassi, aumentano il colesterolo cattivo e, quindi, la possibilità di patologie dell'apparato cardio-circolatorio, aumentano la risposta insulinica aprendo la strada al diabete, statisticamente favoriscono l'insorgenza di tumori e di malattie del tratto digerente".

La strega di Biancaneve non fabbrica solo mele

Uno dei problemi che si connette alla presenza di sostanze scadenti, quando non nocive, all'interno degli alimenti è quello legato alla qualità alimentare e, in particolare, all'etica della produzione.

A tal proposito ci sono tre libri (tre titoli di cui vi consigliamo lettura, nel caso in cui vi interessi sapere cosa "buttate giù" quotidianamente) che illustrano alla perfezione come i prodotti industriali che consumiamo, ormai in quantità prevalente, siano di rado quel che sembrano e riservino spesso spiacevoli (è aggettivo bonario) sorprese. I tre testi a cui faremo riferimento (ce ne sarebbero tanti altri) sono: "La leggenda del buon cibo italiano" di Paolo Conti, "L'imbroglio nella zuppa" di Hans Grimm e "Maccheroni, acqua e farina" del pioniere dell'agricoltura biologica italiana Gino Girolomoni. Da queste inchieste e testimonianze emergono alcuni dati quantomeno curiosi. Facciamo degli esempi: è interessante, in tema di cibo, sapere che le materie prime utilizzate per le produzioni alimentari sono ricavate nel 95% dei casi attraverso pratiche agricole irrispettose dell'ambiente (agricoltura intensiva, per intenderci). Altresì interessante: l'85 % degli alimenti importati in Italia non subisce nessun tipo di controllo alla frontiera, e per molti cibi nemmeno esiste un sistema efficace (certo) per scoprire la presenza di Ogm o, che so, la provenienza degli ingredienti. Un olio 100% italiano può tranquillamente essere ottenuto da  olive 100% turche; e non ce ne vogliano i turchi, è solo un esempio. Esistono poi tutta una serie di disposizioni comunitarie fatte passare nell'ombra (se avete pazienza si possono consultare qui). Un caso per tutte: c'è una circolare della UE che invita le donne in gravidanza e i bambini ad assumere tonno con moderazione; mangiarne una scatoletta alla settimana può mettere a serio rischio la salute del feto e dei più piccoli, questo perché il tonno, che ha un ciclo di vita piuttosto lungo, bio-accumula in sé un quantitativo di mercurio, derivante dall'inquinamento marittimo, tale da rendere le sue carni potenzialmente nocive. Altro piccolo grande inganno è quello legato agli "aromi naturali", che, al di là del nome (che evoca prati, frutti e cieli azzurri), sono prodotti sintetici dalle origini vaghe. Si pensi che nel solo 2004 le aziende agroalimentari mondiali hanno speso 30 miliardi di dollari in additivi: l'1% serve a conservare il cibo, il restante 99% ha funzioni prettamente estetiche.

Di per sé questo dato non vuol dire nulla, basterebbe avere la certezza che tali sostanze siano verificate e non dannose per la salute. Peccato che delle 70.000 sostanze chimiche oggi utilizzate nel mondo delle preparazioni alimentari, l'agenzia americana per la protezione della salute umana (massima autorità del campo) possieda analisi soltanto per 3000. Se questo non bastasse, ad aumentare le perplessità pensano recenti ricerche che, come ci racconta la Dottoressa Magagnin: "hanno rilevato che gli additivi alimentari contribuiscono ad aumentare allergie e intolleranze alimentari. Uno studio pubblicato sull'autorevole rivista britannica The Lancet, nel 2007,  ha messo evidenziato in particolare gli effetti peggiorativi degli additivi alimentari sui sintomi di iperattività nei bambini".

Qualche interessante nota la riservo alle produzioni animali: a parte le vacche alimentate con farine ottenute da carcasse di vacche, e va bè, è utile sapere che il vitello "a carne bianca" (che detto così, esprime tenerezza) non è altro che un vitello allevato in una gabbia in cui non gli è possibile muoversi, nutrito solo con latte, anche quando il suo metabolismo richiederebbe l'assunzione di altri alimenti. Questo servirebbe a mantenere morbide le sue carni. Morbide sì, ma avvelenate. Il vitello infatti, dopo alcune settimane passate in gabbia, alimentato con soli latte e coadiuvanti (ormoni) per diventare grande (gonfio), diventa invece debole e cagionevole, e necessita la continua somministrazione di antibiotici per non ammalarsi e continuare a sopravvivere. Non è da meno l'allevamento dei polli: negli stabilimenti industriali, in quaranta giorni si ottiene un pollo finito del peso di più di due chili (per approfondimenti, qui), quello che trovate al banco del supermercato, per dire. Io, che sono allevatore amatoriale da un pezzo, in quaranta giorni riesco ad ottenere, quando va bene, dei pulcinotti di 5-600 grammi. Ma, avete ragione, inutile farsi troppe domande. Allo stesso modo, credo sia di vostro interesse sapere che le uova comunemente vendute al supermercato sono prodotte da polli che nella loro breve esistenza, tutta dedicata al ciclo produttivo, nemmeno dormono: vivono, infatti, sotto la perenne luce artificiale dei capannoni, che ne accelera il metabolismo e porta per breve tempo a un forte incremento della produzione di uova. Dello stress delle bestiole non si cura nessuno.

Vi risparmio la descrizione che in questi testi si fa delle preparazione di diversi prodotti alimentari come wurstel, prosciutti, vino. E vi lascio volentieri alle notizie sulle frodi, le porcherie, le truffe che popolano il settore agroalimentare italiano (non serve andare oltre). Facendo una veloce rassegna stampa di questi ultimi anni ricordiamo che sono stati impiegati pomodori ammuffiti per fare sughi pronti, uova marce per preparare dolci e merendine, grano cancerogeno per fare pasta, sono stati venduti polli all'ammoniaca, e potremmo andare avanti così.

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Fame: sì, di denaro.

Il quadro che emerge da queste inchieste è che la produzione di cibo, sempre più spinta, viene esercitata, come per qualsiasi altro bene, seguendo l'unico imperativo del profitto. In definitiva, i produttori di alimenti, producono prodotti "da vendere" prima che "da mangiare". Li producono puntando tutto sull'immagine e la piena fruibilità, risparmiando il più possibile sui costi e, quindi, sulla qualità degli ingredienti e dei processi produttivi, allungando al massimo i tempi di scadenza. Questo processo di mercificazione del cibo, come in molti altri campi (mi viene in mente il recente numero di questa rivista dedicato all'informazione), sta portando progressivamente a una perdita della qualità e diversità degli alimenti, a una omologazione del gusto e delle culture agricole, alimentari e culinarie, spesso con danni a scapito delle popolazioni e dei loro ambienti di vita.

Il significato sociale del cibo. Magari un'altra volta.

Una riflessione ancor più profonda andrebbe fatta sul significato sociale del cibo, sul cambiamento del suo ruolo nella società, probabile metafora del cambiamento in atto nella società stessa: la "fine della tavola" come momento conviviale e familiare, l'invasione del fast-food, la destrutturazione delle abitudini alimentari, sembrano rispondere a processi di cambiamento più ampi, guidati da nuovi modelli, irrobustiti e capillarmente diffusi dai media, accettati dalla popolazione. Ma non pare questa l'occasione adatta ad approfondire questi, pur interessanti, aspetti.

Il cittadino ha una possibilità importante: la sua capacità di scegliere.

Insomma, "dipendenza" e "porcheria" sono parole che ritornano anche quando si parla di cibo, ritornano come avviene per droghe e per molte altre sostanze pluri-condannate. Gli effetti sembrano un po' diversi, certo, o forse, chi lo sa, paleseranno i propri esiti su scale temporali differenti. A noi uomini, cittadini, consumatori, buongustai, del terzo millennio  non resta che guardarci attorno, tenere alta l'attenzione, usare i mezzi a disposizione: si tratta come sempre di compiere scelte partendo da un presupposto. Per concludere, cito al proposito Luigi De Carlini che nel suo "Qualità della vita e fame nel mondo" scrive: "per affrontare adeguatamente il problema dell'alimentazione bisogna rispondere ad una prima basilare domanda: se vogliamo perseguire uno stato di salute in senso negativo, come assenza di malattie, oppure uno stato di salute positivo come condizione di pieno benessere psico-fisico".

Pensiamoci.

Chi è Simona Magagnin

Dopo il dottorato di ricerca in Scienze Fisiologiche, per 15 anni ha lavorato per l'Università degli studi di Milano e per Pharmacia & Upjhon come ricercatrice. Dal 2000 si occupa di nutrizione e sicurezza alimentare (HACCP). Come nutrizionista ha un proprio studio a Casatenovo dal 2004.

Per approfondire.

Nicole M. Avena, Pedro Rada, and Bartley G. Hoebel Evidence for sugar addiction: Behavioral and neurochemical effects of intermittent, excessive sugar intake. Neurosci Biobehav Rev. 2008;32(1): 20-39.
Fallon S et al (2007). Food reward-induced neurotransmitter changes in cognitive brain regions. Neurochemical Research 32: 1772-1782.
Nogueiras R et al (2007). The central melanocortin system directly controls peripheral lipid metabolism. The Journal of Clinical Investigation doi:10.1172/JCI31743.
Rada P, Avena NM and Hoebel BG (2005). Daily bingeing on sugar repeatedly releases dopamine in the accumbens shell. Neuroscience. 134:737-44.
Rogers PJ and Smit HJ (2000). Food Craving and Food «Addiction». A Critical Review of the Evidence From a Biopsychosocial Perspective. Pharmacology Biochemistry and Behaviour. 66:3-14.
Yanovski S (2003). Symposium: Sugar and Fat-From Genes to Culture. Sugar and Fat: Cravings and Aversions. Journal of Nutrition 133:835S-837S.
Trans fatty acids: effects on cardiometabolic health and implications for policy. Micha R, Mozaffarian D. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids. 2008 Sep-Nov;79(3-5):147-52. Epub 2008 Nov 8. Review.
Dietary fats and prevention of type 2 diabetes. Risérus U, Willett WC, Hu FB. Prog Lipid Res. 2009 Jan;48(1):44-51. Epub 2008 Nov 7.
Enhanced affective brain representations of chocolate in cravers vs. non-cravers. Rolls ET, McCabe C. Eur J Neurosci. 2007 Aug;26(4):1067-76.
Mood state effects of chocolate. Parker G, Parker I, Brotchie H. J Affect Disord. 2006 Jun;92(2-3):149-59. Epub 2006 Mar 20. Review.
Aa.Vv., Fondamenti di tecnologia agraria, Torino, Marietti, 1999.
Paolo Conti, La leggenda del buon cibo italiano, Fazi editore, Roma, 2008.
Hans Grimm, L'imbroglio nella zuppa, Andromeda edizioni, Bologna, 2001.
Gino Girolomoni, Maccheroni, acqua e farina, Jaca Book, Milano, 2008.
Reymond William, Obesità, cibo spazzatura, malattie alimentari: inchiesta sui veri colpevoli, Nuovi Mondi Media, Modena, 2008.
Vandana Shiva, Campi di battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale, Milano, Edizioni Ambiente, 2001.
Luigi De Carlini, Qualità della vita e fame nel mondo, Casale Monferrato, Marietti, 1985.

 

Gli autori di Vorrei
Alfio Sironi

Mi occupo di tematiche geografiche dentro e fuori la scuola.

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