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I

ntervista a Carlo Vittone, studioso di filosofia, assessore nella prima giunta monzese a guida leghista, editore e co-autore di un libro sulla Villa e di uno sul Parco. Profondo conoscitore della storia e dei travagli che il grande complesso ha vissuto e vive sin dalla sua fondazione, nel XVIII secolo.

 

Come nacquero la Villa e il Parco di Monza?
Molto giocò il caso: nel 1780 a seguito del fallimento della trattativa per l’acquisto della residenza estiva di Cernusco dei conti Alari, Ferdinando d’Asburgo decise di costruire ex novo la propria residenza di campagna. Se la trattativa fosse andata in porto oggi non avremmo nè la Villa nè il Parco. Si racconta che Ferdinando girò a cavallo per le campagne e scelse il territorio di Monza: leggermente sollevato rispetto alla città, allora di ventimila abitanti, ma vicino ad essa per garantire i servizi alla corte. Fu Napoleone nel 1805 a decidere di recintare l’area intorno alla Villa per crearvi un Parco. Osservando la Villa in prospettiva est-ovest, e non in prospettiva nord-sud, si spiega la forma asimmetrica del Parco: esso avrebbe dovuto circondare la costruzione alle spalle ma a poche centinaia di metri iniziava la città, l’unica soluzione fu estendere la recinzione a nord.

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Saltiamo ora al 1922. Data catastrofica per il Parco: entrano nel verde autodromo e ippodromo.
Una data fortemente simbolica per l’Italia, la data della marcia su Roma e questo ha creato un grosso equivoco. Si tende erroneamente a collegare l’autodromo al Fascismo mentre la scelta di inserire nel Parco gli impianti sportivi fu della sinistra - erano socialisti sia il Sindaco di Monza che quello di Milano – e rispondeva ad una logica democratica: uno spazio che per secoli era stato dei re e dei principi diventava spazio del popolo. E il popolo non respira l’aria dei cedri ma si diverte con spettacoli di massa: ecco quindi autodromo e ippodromo. Gli unici che si opposero furono i cattolici, il Cittadino fece una campagna violentissima in nome del “moderno ecologismo”. Non solo il Fascismo non c’entra nulla, ma ci furono momenti in cui avversò pesantemente l’autodromo.

Nel 1922 inizia anche la barbara pratica delle subconcessioni: da un lato il Parco diventa un contenitore eterogeneo, dall’altro la gestione diventa sempre più difficoltosa. Sebbene ridimensionata è una situazione che ha effetti ancora oggi.
L’aspetto più interessante è dove vadano a finire questi soldi. Le concessioni producono inevitabilmente del reddito che tuttavia non va al bilancio del Parco ma al bilancio del Comune che poi ridistribuisce. Bisognerebbe verificare quanto il Comune di Monza riceva dal Parco e quanto ci investa.

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A questo proposito si parla di un Ente Autonomo che gestisca la situazione.
Se ne parla da anni ormai. Certo la cosa migliore sarebbe che questo reddito rimanesse nel Parco, un Ente Autonomo potrebbe gestire questi introiti direttamente e destinarli al Parco. Qui veniamo anche ad un’altra questione: Parco e Villa sono due realtà diverse e complicatissime, un ente che si occupasse anche solo della Villa dovrebbe far fronte a questioni politiche e di interesse decisamente difficili e delicate. La creazione di un Ente unico sarebbe un’operazione fallimentare. Durerebbe tre mesi.

Ma torniamo alla storia: nel tuo libro si legge come sia il progetto per l’autodromo che quello per l’ippodromo vennero inizialmente bocciati perché invasivi e richiesero una netta revisione. Nasceva già una coscienza?
Si trattò di interventi istituzionali più che movimenti popolari. Solo il Cittadino si era opposto ma più per logiche politiche; in quegli anni il nemico erano i socialisti. L’intervento fu del Ministero della Pubblica Istruzione che aveva la tutela dei beni ambientali: nel caso dell’autodromo in particolare chiese di ridimensionare il primo progetto, due cerchi con rettilineo in comune, che letteralmente invadeva il Parco.

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Il secondo progetto è quello che vediamo oggi, un impianto pensato per le macchine dell’epoca, ormai obsoleto.
L’autodromo di Monza privilegia l’aspetto velocistico, per questo in seguito furono realizzate chicane e varianti, ormai ben tre. Oggi chi progetta un impianto del genere opta per un’attenta distribuzione di elementi che mettano alla prova i motori e i piloti. Il rettilineo di Monza è forse il più lungo in assoluto nel circuito mondiale, credo un paio di km. Le dimensioni della pista di un aeroporto.

Intanto è ancora li.
Credo che questi impianti vivano e muoiano di morte naturale e che sia irrealistico pensare che possa essere trasferito. L’impianto di Monza si regge sul GP d’Italia e sulla Formula Uno e lì contano gli interessi economici. Ultimamente la tendenza è quella di trasferire le gare nei mercati emergenti dove girano fior di petrodollari. Imola ha perso il GP di San Marino per esempio. Ecco, se si dovesse decidere che il GP d’Italia non va più bene a Monza allora forse…

C’è e per ora ce lo teniamo, quindi. Ma i danni derivanti dal GP, come arginarli?
Sono da sempre favorevole allo “stadio della Formula Uno”: il pubblico che si reca all’autodromo in parte è accolto in tribuna, in parte nella zona prato. Ed è risaputo che è questa la presenza più dannosa: la gente campeggia con giorni d’anticipo con i danni che sappiamo. Se anche questa zona fosse gestita con posti numerati tutto ciò non avverrebbe, si stabilirebbe una capienza massima e posti a sedere come negli stadi. Una soluzione che troverebbe soddisfazione per tutti, Sias e ecologisti. Naturalmente non è facile.

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Ti sei fatto un’idea sull’annosa polemica del “ritorno per la città” circa il GP?
Sono convinto che il ritorno ci sia. Mi sembra velleitario sostenere il contrario, certo si può discutere sull’entità. Il GP è “la più grande manifestazione culturale della città”, in senso lato. Purtroppo Monza non è riuscita a costruirsi un’identità su nient’altro pur conservando tesori di gran lunga più preziosi.

In molti sostengono che si possa trovare una soluzione, che l’autodromo possa convivere con il Parco, si tratterebbe di venirsi un po’ incontro, ma tutti i tentativi per limitare l’ingerenza della pista, mi riferisco al circuito dell’alta velocità dismesso, sono falliti fino ad oggi.
Nessuno è disposto a cedere la propria proprietà benché inutilizzata. Sias fa i propri interessi, è una società corretta ma che giustamente guarda al proprio profitto. Qui il problema è un altro: quello che poteva essere fatto, a livello politico, non è stato fatto. In una delle ultime concessioni era stata inserita una clausola importante in cui si diceva che “a richiesta dei Comuni di Monza e Milano” la Sias avrebbe abbattuto le sopraelevate. L’avevo fatta inserire io, ed era il massimo che si poteva ottenere. La Lega, che allora governava, aveva acconsentito, certa che nessuno mai ne avrebbe chiesto l’applicazione. L’occasione c’è stata, durante la Giunta Faglia: sarebbe bastato che il Comune producesse un documento con la richiesta. Non esiste in tutti i cinque anni di Giunta Faglia un documento in cui il Comune chiede l’applicazione di quella clausola. Un conto è dire non s’è fatto perché Milano ha detto no, ma che Monza prendesse una posizione che restasse a futura memoria...

Ma Sias ha ottenuto una diminuzione del canone a fronte dell’inserimento di questa clausola.
Nella concessione non si parla di una riduzione del canone a fronte della clausola sull’abbattimento delle sopraelevate. Se ne accenna solo nei verbali di Consiglio, che certamente non possono essere fatti valere contrattualmente. Ci sarà stata una trattativa, è chiaro, la Sias avrà spinto per non avere contemporaneamente un alto canone e l’obbligo di abbattimento delle sopraelevate, ma questo fa parte delle normali contrattazioni. La Sias quindi ha accantonato le somme per la demolizione, somme che alla fine della concessione sono state incamerate.

La soluzione nel 1995 era stata trovata, era a portata di mano…
Si trattava di garantire un ritorno a Sias. Nel 1995 la Sias dovette chiedere dei prestiti per i lavori di adeguamento richiesti dalla Fia, questi prestiti dovevano avere una garanzia decennale per essere agevolati al credito sportivo. Caso vuole che la concessione durasse invece nove anni. Per la Sias era un grosso problema perché così interessi e ammortamenti crescevano. Allungando la concessione si sarebbe potuto ottenere l’abbattimento delle sopraelevate e la liberazione di quelle aree.

E poi?
E poi, niente.

Oggi la nuova concessione è di diciannove anni. E non appare nemmeno più la clausola inserita nel ‘95. Si sono tolti il problema. E le sopraelevate rimangono li.
Ma è anche ovvio, del resto una clausola che è stata inefficace per nove anni alla fine ha senso che venga tolta. Oggi è notorio che la nuova Amministrazione non intende riaffrontare la questione sopraelevate. Vedo difficile che la Sias spontaneamente abbatta le sopraelevate, dovrebbe averne un ritorno. Come tutte le opere dell’uomo un giorno o l’altro cadrà in testa a qualcuno.

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E il Golf?
Lo scandalo del golf è legato ad problema di occupazione dello spazio pubblico. Centocinquanta ettari riservati ad un migliaio di persone. Anche qui non c’è mai stata una presa di posizione chiara e decisa.

Per non contare che lì era tutto Bosco Bello e che anche nella migliore delle ipotesi non ricresceranno querce secolari.
Ripiantumare non avrebbe senso. L’area che verrebbe liberata è però una zona interessante: il Roccolo la Gerascia e di lato il bosco di re Umberto. Se si guarda all’area dietro al St. George, quella zona a pratoni, lì prima era tutto golf: ecco come potrebbe diventare un domani l’area dell’attuale golf. La cosa interessante sarebbe poi l’apertura di uno spazio in direzione della stazione di Biassono che, valorizzando la stazione, vorrebbe dire modificare positivamente gli accessi al Parco.

2004: il Bando di Concorso per la Villa e il progetto Carbonara.
La cosa grave è che non si è trattato di un concorso di idee ma di un concorso di progettazione. E questo è molto grave. La differenza è sostanziale: il concorso di idee avrebbe chiesto ai partecipanti idee per valorizzare e far rivivere la Villa e questo poteva essere molto interessante, nel concorso di progettazione il proprietario impone cosa vuole fare del bene e chiede solo il modo migliore per farlo. Per capire il Progetto Carbonara bisogna quindi partire dal Documento Preliminare di Progettazione che fissa già tutto. Il progetto Carbonara semplicemente risponde al bando.

200810-isa-manifesto_biennale.jpgDal progetto si evince: fuori l’ISA, dentro la beauty farm.
Si questo è un po’ un paradosso. Ma anche qui, dobbiamo essere realisti. Un istituto di istruzione superiore pubblico all’interno di un edificio storico non si è mai visto. Diverso sarebbe se diventasse una scuola a numero chiuso e curata dal punto di vista della produzione, magari collegata alla produzione di materiali per la Villa. Se deve essere un istituto pubblico come tanti è difficile che rimanga li. Di contro, certamente, la beauty farm è un elemento aggiuntivo del progetto Carbonara, inserito in project financing e per questo oggetto del ricorso degli altri partecipanti.

Il bando prevede un’Agenzia Europea che dovrebbe garantire il cinquanta per cento delle entrate. Di cosa si tratta?
Di un gigantesco equivoco! Le agenzie europee sono distribuite nei diversi paesi, l’Italia si è faticosamente aggiudicata quella sull’alimentare a Parma e una seconda sul lavoro a Torino, dopodichè non avrà più Agenzie Europee per i prossimi duemila anni! Poi qualcuno ha aggiunto Agenzia Europea dell’Ambiente e la farsa è diventata al massimo, perché esiste già, è a Copenaghen e ci sta benissimo! Mi risulta che nella revisione del progetto Carbonara l’abbiano eliminata. Questo però da la misura di come sia stato stilato quel bando.

Come si fa a recuperare 105 milioni di euro?
Anche questo è un dato che deve essere analizzato meglio: dall’analisi dettagliata dei costi sul Dpp, si comprende come questa sia la cifra totale dei lavori e che la spesa potrebbe essere ridimensionata restaurando solo le parti nobili della Villa. Come si vede già solo 45 milioni se ne vanno per i giardini che tutto sommato sono in uno stato accettabile.

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Expo: rischio o opportunità?
L’Expo è una bella torta, e se qualcosa finisse a Monza, perché no? Insomma il concetto dell’alta rappresentanza non è di per sé un male. Che la Villa debba ospitare eventi di un certo peso è pacifico, ma è bene intendersi su cosa significhi alta rappresentanza: se un qualsiasi assessore decidesse di riceverci la propria delegazione…

Una visione parallela: la ristrutturazione di Venaria Reale è costata moltissimo, ma oggi il ritorno è notevole. Non può a Monza succedere la stessa cosa? La Villa museo di se stessa?
Il grosso problema di Monza in confronto a realtà come Schonbrunn e Venaria è che le sale della Villa Reale sono completamente vuote. Non credo che questo sia un ostacolo insuperabile perché si potrebbero ricostruire percorsi all’interno della Villa, riammobiliarla con mobili dell’epoca. Anche a Schonbrunn molte sale sono ricostruite. Credo tuttavia che sia necessario partire da oggi e da quello che c’è. Ad esempio l’apertura della Villa da primavera ad autunno va perseguita, bisogna cercare di mettere d’accordo i proprietari perché la Villa torni a vivere e la cittadinanza se ne riappropri.

Le immagini aeree sono tratte da LiveMaps

Gli autori di Vorrei
Manuela Montalbano