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Storia (poco natalizia) di un anziano alla stazione di Monza

Domenica 23 dicembre 2012, ore 16.50 circa: scendo dal treno Milano –Chiasso alla stazione di Monza, ho circa 20 minuti di attesa prima di prendere il bus che mi porterà a casa. In stazione è tutto chiuso: bar, edicola, tabaccaio, una situazione desolante. Come può essere così la stazione di una città elegante e bella come Monza, capoluogo di provincia?

Unica distrazione per ingannare il tempo, una minuscola esposizione di argenteria e orologi, con sconti fino al 50%, è aperta e si può entrare. Mentre guardo le cornici d’argento in vetrina, alle mie spalle una voce in dialetto milanese chiede al negoziante informazioni sull’autobus per Trezzo: dove si prende? dove si compra il biglietto?

Mi volto e vedo un uomo anziano, di circa 80 anni, con una grande borsa sportiva in mano e lo sguardo smarrito e preoccupato: da diverso tempo sta chiedendo ma nessuno gli ha spiegato dov’è il suo bus, ora non capisce le indicazioni del negoziante (“deve andare al binario 7”) e si preoccupa ancora di più.

“Venga, l’accompagno io alla fermata del bus per Trezzo, devo andare anch’io da quella parte” gli dico.

“Da quella parte” significa scendere una bella rampa di scale, percorrere un lungo corridoio sotterraneo, svoltare tutto a sinistra e rifare la rampa di scale in salita. Non un’indicazione spiega che “da quella parte” ci sono i bus che servono mezza Brianza e tutto il vimercatese - trezzese. C’è l’indicazione Porta Castello, ma chi mai capisce che là c’è anche la stazione dei bus?

Mentre camminiamo a passo lento, l’uomo mi chiede ancora come deve fare per il biglietto, che i soldi per pagarlo li ha. Appartiene ad una generazione per la quale è normale comprare il biglietto prima di salire sul bus ed è una vergogna salire senza, comunque ha i soldi per pagarlo mi ripete... Dice di aver chiesto a più persone come fare per il biglietto ma molte erano straniere e non hanno capito il suo dialetto, è andato anche all’ufficio di Polizia che è in stazione ma non c’era nessuno. Cerco di tranquillizzarlo, “lo diciamo all’autista” e intanto penso a tutti quelli che il problema del biglietto non se lo pongono affatto e sono la maggioranza.

Le sue gambe sono malferme, mi offro di portargli la borsa, lui con molta dignità si rifiuta un paio di volte poi cede e capisco perché: la borsa è pesantissima! Gli raccomando di aiutarsi con il corrimano per salire le scale, mentre la scritta rossa dell’ascensore fuori servizio lampeggia, figurarsi …

Arriviamo sul lato di porta Castello, nel piazzale buio e desolante che è un complimento chiamare stazione dei bus. La palina della linea Net Z321 per Trezzo è l’ultima in fondo, ci arriviamo piano piano e guardiamo gli orari: sono le 17.05 e il bus è partito alle 17, il prossimo è alle 18. “Fa niente, aspetto” mi dice sempre in dialetto. Ma io non posso accettare che lui debba passare un’ora in piedi al freddo e cerco di riportarlo all’interno della stazione. Alle nostre spalle ci sono almeno 4-6 vetrine della stazione ristrutturate che potrebbero benissimo accogliere una sala per i viaggiatori in attesa degli autobus, perché non è così? Cosa ci vuole a mettere due file di sedie perché la gente possa stare all’interno e non fuori e seduta invece che in piedi? Ci sono persino 4-5 scalini (ovvio, no?) che conducono a quelle sale vuote con il pavimento lucido di marmo ed è lì che accompagno l’anziano. Uno scivolo scendendo verso il sottopasso crea un piccolo muretto, almeno lì è possibile sedersi e così, posata la sua borsa, l’uomo si siede. Gli raccomando di guardare bene l’orologio e di ricordarsi di uscire di nuovo, dalla stessa porta e dalle stesse scale, verso le 17.50 per mettersi in attesa alla palina del suo bus. Poi lo saluto perché altrimenti perdo il mio (e il prossimo sarebbe due ore dopo!).

L’uomo dovrà stare là in quella sala semibuia, seduto sul muretto per un’ora…

“La ‘ndarà in paradìs, sciura” mi ringrazia il vecchietto mentre vado. E’ la frase che dice ogni persona anziana quando riceve un aiuto o una minima parola di conforto.

Ma io mi domando: e tu nonno ce la farai ad arrivare a Trezzo?

Forse è più difficile per te arrivare là che per me andare davvero in paradiso …

Questa storia mi ha davvero lasciata a disagio, come può essere che le cose funzionino così?

Mi sono domandata cosa fare ed ecco la risposta: ho la penna facile e perciò scrivo a voi per segnalarvi questo disagio e questa assurdità: quanti anziani usano i mezzi pubblici con simili difficoltà? Quanti arrivano in stazione e non capiscono dove andare, non ce la fanno a fare le scale e non riuscirebbero a stare in piedi al freddo per un’ora? Non parliamo poi dei disabili, o delle mamme coi passeggini ….

Possiamo – potete voi – interessarvi al problema e far migliorare la segnaletica della stazione, i servizi (il tabaccaio e l’edicola non potrebbero stare aperti a turno la domenica? Il bar non potrebbe evitare di chiudere?) e far riparare l’ascensore di porta Castello?

Potete chiedere di rendere utilizzabili quei locali vuoti e ristrutturati (che saranno di competenza FS immagino …) per creare una sala d’attesa a beneficio dei viaggiatori in attesa dei bus?

E – cosa non da poco – possiamo noi cittadini chiedere un sistema più certo perché tutti sul bus paghino il biglietto e quindi anche nei giorni festivi ci possano essere corse più frequenti verso l’hinterland?

Scusatemi se mi sono dilungata, ma volevo farvi stare sulla scena, a disagio come mi sono sentita io, nel dicembre 2012 alla stazione di Monza.

Glielo dovevo, a quel vecchietto. Spero di cuore che sia arrivato a Trezzo.

Grazie per l’attenzione e cordiali saluti.

Silvia Ornago – Agrate Brianza