20100629-consumismo

Non è vero che il possesso di un numero sempre maggiore di beni materiali costruisca maggiore benessere. Non è più vero dagli anni Settanta, quando il PIL e la ricchezza pro-capite crescono ma il benessere inizia a calare.

 

Una famiglia di indiani Navajo possiedeva mediamente, nel suo ciclo di vita, circa 600 oggetti. Una famiglia europea, ad esempio tedesca, oggi ne possiede circa 12.000, dunque 20 volte “più” possesso, nella società del “benessere”. Eppure le patologie da stress, i suicidi ed i loro tentativi, la depressione, la solitudine, la scomparsa del senso di appartenenza sociale, sono più incidenti nelle società moderne che nelle ultime sacche esistenti di società native. Dunque non è più vero che il possesso di un numero sempre maggiore di beni materiali costruisca maggiore benessere. Non è più vero a partire dagli anni settanta, quando il percorso di crescita, direttamente proporzionale tra l'aumento dei consumi (e del possesso di beni) e grado di benessere (in base all'indice mondiale dello sviluppo umano) disegna due curve che cominciano a divergere: il PIL e la ricchezza pro-capite cresce ma il benessere inizia a calare.

La soddisfazione ed il benessere fino ad un certo punto sono il risultato del soddisfacimento dei bisogni primari: è stato così per i popoli europei all'uscita dalla seconda guerra mondiale (da una condizione di fame, stenti, precarietà, incertezza ad una di pieno sviluppo economico legato alla ricostruzione) ed è così tutt'oggi per i popoli emergenti e, in termini di aspirazione, per i popoli nella miseria o nella guerra. Oltre un certo limite però, il benessere si lega ad altri fattori immateriali. Ad esempio, se invito a cena degli amici prospettando loro una cena messicana, normalmente non considero il benessere primario di riempire lo stomaco e placare la fame, bensì entrano in gioco altri fattori immateriali (la mia abilità di cuoco, un certo fattore competitivo nel contesto culinario, la voglia di stupire gli ospiti, ecc.) che costruiscono la mia soddisfazione e quella dei miei ospiti, senza che la cena venga apprezzata solo in base alla quantità del cibo assunto.

Si aggiunga a questo la scarsità della risorsa tempo: quanti sono i CD non ascoltati, tra quelli in bella mostra a casa mia? Ed i libri? La giornata ha sempre, rigidamente, quelle benedette 24 ore nelle quali noi continuiamo ad infilare nuovi oggetti che necessitano di essere conosciuti, desiderati, acquistati, utilizzati, manutenuti e, a fine ciclo smaltiti. La cura degli oggetti e dei beni a questo punto si tramuta in agoscia ed impotenza per non riuscire ad “usarli” (nel senso di averli, possederli) tutti. Infine si pensi al consumo di materia prima (non solo petrolio, ma anche rame, alluminio, coltan.....) che in diversi casi stiamo consumando più velocemente di quanto riesca a ricostituirsi.

E se provassimo a pensare (in realtà lo facciamo già per molte cose) che abbiamo bisogno di servizi e di un uso temporaneo di beni, piuttosto che del loro possesso esclusivo? Io non necessito di un frigorifero ma di una conservazione adeguata per i miei cibi freschi. Non mi serve la fotocopiatrice in se ma la duplicazione di documenti cartacei (e spesso ne potrei fare a meno anche di quella).

Affittare, pagare un servizio, oppure condividere (sharing) piuttosto che avere il possesso esclusivo di strumenti, ci porterebbe a liberarci di alcune fasi come la scelta dello strumento più opportuno, la sua manutenzione ed infine il suo smaltimento. Dall'altra parte il produttore di questi “strumenti” dovrebbe progettarli in modo che “durino” il più a lungo possibile senza rompersi, perchè il loro guadagno starebbe proprio nella durata di pagamento del canone di “affitto” nel corso del tempo, senza effettuare troppi interventi di assistenza. Siccome poi, a fine ciclo di vita, il prodotto (lo strumento) resta di loro proprietà, gli ingegneri delle imprese dovranno progettare questi oggetti in modo che siano completamente e facilmente riutilizzabili e riciclabili..... tutto il contrario di quanto avviene oggi.

Ora, cari candidati sindaci, provate ad immaginare, per dare il buon esempio ai cittadini, di cominciare ad applicare appena eletti questi criteri nella gran parte delle gare d'appalto per l'erogazione di servizi comunali.... di utilizzare software libero nell'amministrazione comunale e proporlo nelle scuole....., forse allora un comune ed una cittadinanza diversa diverrebbero possibili.