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… ma i veri poeti per fortuna non muoiono mai del tutto.

Ricordo di un “altissimo poeta”

 

Mario Luzi, 1914-2005

grande, grandissimo poeta
grande grandissimo, immenso uomo.
Sublime e umile.

... questo era un poeta – colui
che distilla un senso stupefacente
ai significati ordinari –
e nettare così immenso...

Emily Dickinson

Poeta della campagna, del paesaggio e del dramma che la natura porta con sé. Eterno cantore dei “luoghi incontrati” Firenze, Pienza e la “corrispondenza d’amorosi sensi” con Siena, la città della sua infanzia. Imprevedibile e mai ripetitivo, cantore eccezionale di una Toscana vera e profonda.

Mi guarda Siena,
mi guarda sempre
dalla sua lontana altura
o da quella del ricordo-
come naufrago?-
Come transfuga?
mi lancia incontro
la corsa
delle sue colline...”

Protagonista della cultura europea, della stagione dell’Ermetismo, testimone attento delle vicende che hanno attraversato il Novecento. Profondo conoscitore della letteratura francese e traduttore di grandi poeti e letterati, da Rimbaud a Verlaine. Una importante voce che con Montale, Bilenchi, Vittoriani, Bo, Contini, Macrì, Gadda, nell’Italia fascista asfittica e volgare degli anni Trenta, fece di Firenze il riferimento della più alta cultura europea. In Luzi poeta ogni conquista, ogni risorsa di lingua, di stile, ogni acquisizione immaginativa e umana è ottenuta grazie a un prepotente senso del tempo e della storia. La bellezza è conquistata attraverso l’umanizzazione del reale, l’avventura del desiderio. Una forza della mente, la sua, sempre unita a un grande rigore morale, e alla irrinunciabile fiducia nella nobiltà e nel valore civile dell’esercizio poetico, dell’esercizio dell’arte vera.

Poeta cristiano “ Quello che è rimasto e che conta per me, è il fondamento evangelico ed è tutta la cultura e la vita spirituale che intorno a quel fenomeno è fiorita. E’ un grande aspetto dell’umano”

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Mario Luzi e Antonetta Carrabs

Ma chi era Mario Luzi per Mario Luzi?
Sono un uomo che ha fatto una lunga strada senza sapere dove questa portasse. Ho lavorato, ho scritto, mi sono sentito spinto a scrivere per conquistare nuovi approdi di spazio e di conoscenza. Ma chi sono io potrò capire in extremis. Forse.” “Noi siamo quello che ricordiamo, il racconto è ricordo e ricordo è vivere.”

La parola era tutto.
E’ il verbo”- affermava, quasi a volerne misurare interamente il senso.

E’ il segno primario del divino nell’uomo. Che uno sia credente o non lo sia, la parola ha qualcosa di sacro, anche per chi rifugge da questi pensieri trascendenti. Per questo la storia della poesia è storia della parola…attraverso la parola e il silenzio ci interroghiamo sulla presenza del Bene e del Male, il grande scandalo dell’universo”.

Alcuni giorni prima della sua scomparsa abbiamo parlato a lungo della primavera, di quando gli alberi sono pronti per gemmare, delle sue lunghe passeggiate lungo l’Arno, dell’amato terrazzo che si incendiava di sole nelle giornate calde. Quella straordinaria meraviglia che leggevo nei suoi occhi per le cose più semplici mi commosse enormemente. Il poeta mi prese le mani nelle sue e le custodì in quel rifugio tiepido per tutto il tempo che restammo lì a parlare. Era molto amareggiato sul vespaio provocato da alcune sue dichiarazioni «rubate» sulla politica italiana e su Berlusconi. Aveva parlato confidenzialmente al telefono- mi disse- con un giornalista amico, col disincanto di chi ne ha viste e sentite tante. Aveva fatto qualche battuta ironica, come si usa a Firenze, senza immaginare che potesse finire sui giornali. A novant’anni pensava alla politica come un atto dovuto, per lealtà, per generosità, per rispetto di un’etica che i tempi avevano compromesso. In una sua bella intervista all’Unità sulla banalizzazione del linguaggio disse: « Le parole hanno perso il loro corrispondente. Sembra quasi di vedere un orologio impazzito in cui le lancette non riescono più a segnare l’ora giusta. E’ la crisi di credibilità della parola…».

Il ricordo di quella semplicità, dell’armonia di quell’altissimo poeta mi accompagna ancora oggi. Aveva apprezzato una poesia che avevo scritto per lui.

A Mario Luzi

Rapiti da nutriti flutti di ebbrietudini bagliori
serbiamo l’eco gentile dei tuoi versi
che l’aura tua celeste l’incorona.
E se anche il vento tace a ogni moto dell’anima
la tua semenza scava germogli fioriti
di ardori accesi levati in volo.
S’abbevera il petto del tuo fulgore
pulsante di turbini distesi
che il tempo non disfiora e non reclina.
E il tuo universal cammino si schiude fra felici sponde
e solenne sfavilla con le tue vestigia
e il canto e il mondo.
(da “Fuori è il sole” ed Il Leccio)

“ ….ho gradito intimamente i versi che mi ha dedicato e li ho apprezzati per la loro misura e per il ritmo che li sostiene. Le parole affettuose con cui li accompagna mi hanno molto confortato e anche un poco commosso. Grazie.”
Mario Luzi (Firenze, 14 luglio 2004)

La sua nomina di senatore a vita fu seguita da un’ovazione collettiva in tutto il paese e in tutti i piani del Palazzo. Solo quattro mesi. Ma raramente una parentesi tanto breve ha seminato tanto scompiglio. La Costituzione è stata fino all’ultimo una delle maggiori preoccupazioni di Mario Luzi.

La nostra non è una Costituzione octroyée e non può essere svenduta: Può essere adeguata, migliorata ma non distrutta Insomma, si può intervenire non pour réformer l’Etat ma pour l’améliorer: per «migliorare», non per «rifare lo Stato.»”

Più volte aveva dichiarato di avvertire una regressione preoccupante nella Storia italiana. Un attacco allo Stato come centro di vita democratica, collettiva e solidale, un preoccupante ritorno al passato, una caduta della solidarietà, principio desueto in una società competitiva nella quale il più forte vince sempre sul più debole.

Per Luzi l’Italia era un sogno, un’illusione, un oggetto del desiderio.

La sua forza o la sua debolezza, in fondo- diceva- è quella di essere un’ipotesi un disegno sognato per di più di un millennio da grandi intellettuali e che prima di diventare realtà ha subito colpi tremendi. A quest’idea d’Italia adulterata e inquinata di fascismo si è sostituita l’attuale biologia vitalistica. E’ un periodo di crisi del sogno e delle stesse risorse biologiche. Nel pentolone di questa stagione negativa sta cocendo tutto quello che ha alimentato l’idea e la realtà d’Italia. Non sappiamo cosa verrà fuori da questo crogiuolo.”

La sua vita è stata lunga ed esemplare, nobile come la sua arte, attraverso la quale ha cercato una sua verità forte, capace di dare senso al nostro esistere, dentro il “ voraginoso assenso/del cosmo alla sua creazione.”

..e in tutto il mio tempo parlerò di Te
Padre di sapienza, di virtude
e poi nobilitade
perché più nessuno m’insegnò cotanto ragionar
di gentil cose.

Gli autori di Vorrei
Antonetta Carrabs