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Cosmonauta, un film imperfetto ma con un cuore che batte.


“Sono in forma eccellente e sono di buon umore” così dice l'astronauta russo. E poco prima Luciana a gran voce, in mutande, dal bagno urla e si autoproclama: “Perché sono comunista!”. Ottima partenza per un film, che, seppur con qualche pecca e caduta di ritmo, sa come conquistarci. Innanzitutto attraverso la protagonista che indossa un bel paio di guance morbide e maglioni anni '60. Luciana, che adora il fratello epilettico e che pensa di curarlo coinvolgendolo, quando può, nella sua passione e nei suoi sogni politici. “Perché è così e basta” le dice così il patrigno, la madre non ribatte e, avvolta in una vestaglia rossa a pois, cuce fino a tardi e serve minestra a cena.
Dialoghi chiari, brevi e emblematici di un'epoca  per un film che parla soprattutto attraverso le immagini. Ricostruzioni semplici dell'ambiente degli anni che furono, ma neanche troppo lontani, scene create con pochi ingredienti. È brava la regista, sa infornare con cura la sua storia e la pellicola emana l'aroma genuino del pane venduto al pezzo all'angolo della via della chiesa, un tempo.

Il carattere forte e impulsivo di Luciana è il collante di tutto il primo tempo dove la narrazione è debole, ridotta a frammenti di realtà scolastica e domestica. È un sentore leggero quello di polvere di soffitta, di ricordi: una percezione che non arriva mai a sfociare in malinconia o rimpianto.

L'atmosfera onirica svanisce nella seconda parte del film, non di colpo ma visibilmente: la realtà incombe, prima di tutto su Luciana, ingenua adolescente presa da imprevisti batticuori, e anche sulla vita di sezione e sulle dinamiche di gruppo. E si piange, un poco, si urla, parecchio, e si cresce. Mentre i Russi passeggiano nello spazio quasi spensierati, come creature inventate per una serie animata, a Roma il quartiere popolare di Trullo vede nascere una donna. Spaziale e reale.

Sergio Rubini è bravo ma la sua parte si riduce a stereotipo, poche sono le battute affinché la sua caratteristica mimica possa emergere; similmente accade a Claudia Pandolfi. Bravi e presenti i due giovani attori, i volti dei due fratelli amanti dello spazio, che non cedono mai a tentazioni “macchiettistiche” o patetiche.  

E fuori dalla sala:
“Ma la luna è piena?”
“No, manca uno spicchio...”

Se avessi una raccolta di vecchi vinili uscita dalla sala sarei corsa a casa a sentirne uno. Gracchiante, ritmato, e soprattutto appassionato.

(Per chi ha amato questa pellicola, a proposito di sottaceti, comunismo e famiglie, un consiglio: il delizioso film tedesco “Good Bye, Lenin”)