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Erano stati in città fortificate contro le maree, in città intrepide alle falde di vulcani, in città con eruditi musei di storia naturale popolati da immortali dinosauri. Erano stati dove finisce il mondo, sull’orlo dell’infinito, dove per un soffio non erano precipitati.

In una città di nebbie e di cristalli la ricamatrice cuciva nella sua minuta casa, spesso levando il capo per guardare dalla finestra l’avvicinarsi della sera, in attesa del discreto accendersi delle stelle, la prima sul gasometro, la seconda sopra la fermata del tram, poi qua e là, come occhi di gatto che si svegliano stupefatti da un lungo sonno.

Lontano, molto lontano, il venditore di enciclopedie Jacob Grimm, sospinto dalle raffiche del vento, giungeva sulla riva del mare, davanti al piccolo albergo dove alloggiava durante le visite ai clienti di quella provincia. Quel giorno aveva concluso affari con gli impiegati della dogana. Gli impiegati incuriositi chiedevano e l’enciclopedia rispondeva senza esitazione: “L’acqua è eterna?” “Oui, monsieur!” “Il re Nabucodonosor è stato felice?” “Très heureux!” “Nella valle di Josafat si coltivano melagrane?” “Bien sur!” Gli impiegati della dogana, soddisfatti, erano stati larghi di acquisti e avevano offerto caffè e biscotti.

Jacob Grimm suonò alla porta dell’albergo, ma nessuno rispose. Chiamò: silenzio! Entrò chiedendo permesso. Introvabile la portiera, forse ritornata nelle sue terre di mulini a vento dove ancora viveva la vecchia madre. Per fortuna lo accolse un cartoncino lasciato sul banco della réception: “Camera cinque, come sempre.”

Il venditore di enciclopedie sospinse la porta della camera cinque e, in punta di piedi, si fece avanti. Farfalle di ombre gli volarono incontro. I mobili scontrosi non batterono ciglio. Zitto il letto gonfio di pallide trapunte. Zitto il pitale assorto come un antico profeta. Zitto lo scendiletto, tappeto volante devotamente prostrato verso la Mecca. Il viaggiatore accennò un saluto al tavolino sotto la finestra, ma quello borbottò temendo di doversi prestare a malfide sedute spiritiche.

Jacob Grimm allungò la mano sulla parete in cerca dell’interruttore della luce. L’interruttore era là, col tasto di finto avorio evocatore di remoti lampi. L’interruttore bisbigliò: “Ricordi, quando eri bambino, le luci dei furibondi temporali estivi?” Il viaggiatore annuì, premette l’interruttore e la stanza emerse da una caligine senza tempo.

L’armadio, inderogabile custode del cappello di panno grigio da anni dimenticato sul ripiano più in alto, socchiuse le sue ante. Il venditore di enciclopedie prese il cappello, se lo pose in testa, lo girò e rigirò fin quando il cappello gli ordinò: “Voltati!” e Jacob Grimm si volse verso lo specchio appeso accanto all’armadio.

Nel cristallo suo padre gli sorrise con una pallida smorfia. Il figlio scosse la testa: sapeva che ora il genitore si sarebbe esercitato nei suoi numeri da circo equestre. Jacob Grimm lo supplicò: “Papà non farlo!”. Inutile. Il genitore saltò fuori dallo specchio e fece un doppio salto mortale davanti al figlio. Jacob Grimm chiuse gli occhi. Sentiva suo padre capitombolare in ogni parte della stanza e annunciare l’arrivo dell’inverosimile “Grand cirque de France” con i più bravi artisti del mondo: trapezisti, sputafuoco, mangiatori di chiodi… Poi sentì che si era fermato, raccoglieva il fiato ed intuì che ora stava ritto e severo davanti a un pubblico immaginario. “Signori e signori” declamava, e la voce gli tremava: “Mesdames et messieurs abbiate pazienza. Solo pochi minuti. Abbiate pazienza. Vi leggerò qualche mia poesia, cioè una sola mia poesia, cioè solo la prima strofa…” Jacob Grimm gridò: “Non farlo, ti spareranno!” Il venditore di enciclopedie aprì gli occhi e vide suo padre, attorcigliato al lampadario, scosso dai singhiozzi. Il figlio avrebbe voluto sottrarsi a quella vista, scappare. Ma dove? Spense la luce e in un batter d’occhio, senza neppure cambiarsi d’abito, si ficcò nel letto tirandosi le coperte sopra la testa.

In quella tana da ghiro soffocava e quando non poté più respirare risorse dalle coltri e riaccese la luce. Il padre era sparito, assorbito dai torbidi riflessi dello specchio.

Il viaggiatore si rincuorò, si tolse il cappello, lo fece rotolare sotto il letto, prese la sua borsa, ne trasse i fogli da lettere, l’assicella di legno portacarte, la penna e principiò a scrivere.

Scriveva alla ricamatrice. Scriveva in bella calligrafia, come gli aveva insegnato suo padre da bambino. Le elle alte e slanciate, le o perfettamente tonde, le q come voliere per uccelli. Tracciava con agile mano servizievoli parole: zuccheriera, orologio a pendolo, tende di pizzo…

…zuccheriera, orologio a pendolo, tende di pizzo: nella sua minuta casa la ricamatrice interruppe il suo lavoro di cucito, si levò, corse allo specchio per ravviarsi i capelli poi raggiunse la finestra dove ristette col viso incollato ai vetri. Scrutava la notte!

La lettera di Jacob Grimm era un largo fiume tra rive di ossequiosi alberi, una corrente di parole naviganti verso la città di nebbie e cristalli, dove la ricamatrice aveva alzato lo sguardo al cielo, indagando le stelle.

Era apparsa la Via Lattea. La nebulosa brulicava di lucciole e in essa la donna riconobbe Jacob Grimm. “Sei tu?” “Sì, sono io.” “Tu?” “Io.” Era lui: i suoi occhi come conigli nella paglia, il suo naso curioso di tutto, la sua bocca spiaggia dei sorrisi, i bottoni della camicia ubbidienti, il regolo calcolatore, nel taschino, chino sul libro di matematica e, nel fondo del taschino, i vecchi biglietti ferroviari dei viaggi che lei, la ricamatrice, e lui, il venditore di enciclopedie, avevano fatto in un’altra vita.

Erano stati in città fortificate contro le maree, in città intrepide alle falde di vulcani, in città con eruditi musei di storia naturale popolati da immortali dinosauri. Erano stati dove finisce il mondo, sull’orlo dell’infinito, dove per un soffio non erano precipitati.

Jacob Grimm sigillò la lettera, spense la luce e si allungò sotto le coperte

come la radice di un grande albero in un fertile suolo. Suo padre si era seduto accanto al letto e, sulle ginocchia, aveva aperto il suo libro di poesie. Non leggeva, ma recitava a memoria perché un leggero buio aveva cancellato la stanza numero cinque del piccolo albergo sulla riva del mare, e nello stesso tempo aveva soffiato sulla Via Lattea. La ricamatrice si ritirò dalla finestra, ripose aghi e fili, apprestandosi, a sua volta, alla beatitudine del sonno fautore dei sogni.

 

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Gli autori di Vorrei
Adamo Calabrese
Adamo Calabrese

Adamo Calabrese è scrittore, autore di teatro e illustratore. Ha pubblicato con Einaudi il romanzo "Il libro del re", con Albatros i libri di racconti "L'anniversario della neve", "La cenere dei fulmini", "Il passaggio dell'inverno", con Joker "Paese remoto". Ha illustrato i propri libri ed edizioni di Dante, Gibran e Pascutto. Scrive e disegna per il quotidiano "Il cittadinio" di Lodi, per le riviste "Vorrei" di Monza e "Odissea" di Milano. I suoi ultimi lavori teatrali hanno messo in scena opere di Brecht, Joyce, San Francesco e Iacopone. Nel 2012 RAITREha trasmesso un suo testo. Nel 2014 è stato finalista del premio internazionale di grafica satirica "Novello". Insegna letteratura presso le Università della terza età di Sesto san Giovanni e Milano (Università Cardinale Colombo)

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