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La recessione  picchia  duro  nei cantieri, dove è più forte la presenza di lavoratori stranieri

 

testata-dossier-laboratorio-aerticoliE loro? Come se la cavano con la crisi gli immigrati? E’ un fatto, certificato dall’Osservatorio regionale sull’immigrazione nell’ultimo rapporto relativo al periodo 2006-2009, quello che la maggior parte degli immigrati presenti nel nostro territorio sono lavoratori regolari, con famiglia e casa di proprietà o in affitto. Cinquantaduemila regolarmente residenti contro novemila irregolari; fra i primi, la condizione lavorativa maggiormente sperimentata è l’occupazione regolare a tempo indeterminato (circa il 28 per cento nel 2009). Pur trattandosi quindi di un’immigrazione relativamente “recente” (solo il 16% è presente da più di dieci anni ), il 24,9% degli stranieri nella provincia di Monza e Brianza vive in una casa di proprietà o in affitto (il 47,5 %).

Eppure, come dice Myriam Allievi, del Centro Ascolto Caritas di Seregno, è proprio questa progressiva stabilizzazione che paradossalmente rende più problematiche le condizioni di vita degli stranieri in tempi di crisi: dover pagare una casa e mantenere una famiglia espone a una sofferenza maggiore rispetto a quella di chi si può accontentare di un posto letto in casa di amici.

La disoccupazione colpisce i lavoratori senza discriminazione, lo conferma Dario Pirovano della Cgil di Monza; ma il problema è che a subire “in modo più forte la crisi nel 2011 è il settore delle costruzioni, quello con la più forte presenza di lavoratori non italiani”, e che troppo spesso questi lavoratori “provengono da piccole e piccolissime aziende con pochi strumenti per reagire”. Così, il lavoro diventa la richiesta più pressante presso i centri Caritas: le cooperative e le agenzie interinali prosperano sullo sfruttamento, mentre le stesse difficoltà delle famiglie italiane rendono più precario  e sempre meno disponibile anche il classico lavoro di badanti o collaboratrici domestiche.

Storia di Boq, un braccio nell’ingranaggio

Ma c’è chi rischia di perdere il lavoro perché ci ha già rimesso salute e integrità fisica.

E’ accaduto ad Abderrahim el Boq, Boq per gli amici. Marocchino da 16 anni in Italia, da 10 anni addetto al carico-scarico merci in un magazzino edile, Boq contava solo sulle sue braccia per pagare il mutuo del piccolo appartamento comprato nel 2002 a Limbiate e mantenere Fatima e il piccolo Nizar, che ha  tre anni. Ma il 18 novembre dello scorso anno, qualcosa non andava nel nastro trasportatore su cui caricava la sabbia da inviare alla betoniera: vibrava, la sabbia cadeva, la segnalazione alla direzione era stata inutile, il lavoro non poteva proseguire. Boq decide allora di controllare se qualcosa tra rullo e nastro impedisce il funzionamento: un attimo, e il suo braccio destro è trascinato nel meccanismo. Oggi è ancora in infortunio, il  braccio, nonostante interventi e lunghe cure, non può più funzionare. E’ in cura per la depressione: gli riconosceranno forse il 50% di invalidità, ma dopo?

Badara: solidarietà targata Senegal

Uno che ce l’ha fatta è invece Badara ‘Ndiaye, senegalese, titolare a Seregno di un phone center con annessa rosticceria-kebab. Nella sua attività, Badara ha investito i guadagni  di lunghi anni di lavoro (è in Italia da 22 anni), e ha dovuto penare  quando la legge Formigoni ha costretto queste imprese a ristrutturare i locali costringendone molti a chiudere. La “sua ”Associazione Senegalesi a Seregno è dal 2000 apprezzata protagonista di eventi interculturali, ma soprattutto, è una ricetta vincente contro ogni crisi:  i soci che perdono il lavoro vengono sostenuti per sei mesi con un contributo mensile di 200 euro, si provvede solidalmente alle famiglie in patria, si decide a chi destinare lo zaqàt, l’elemosina che ogni buon musulmano versa alla fine del Ramadan. Chi non ce la fa viene aiutato a rimpatriare. “Alle difficoltà siamo abituati: bisogna avere fiducia, negli altri e nel futuro”. Così Badara può fare un bilancio positivo dell’ immigrazione in Brianza. E con lui anche noi.