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Quando la visione ideologica di un problema impedisce di risolverlo. Dava Sobel “Longitudine: la vera storia della scoperta avventurosa che ha cambiato l’arte della navigazione”

I libri di storia di solito non ne parlano, ma tra il Seicento e il Settecento ci fu un problema scientifico che interessò tutti i più grandi scienziati dell’epoca (Galilei, Cassini, Huygens, Newton, Halley e via dicendo); un problema scientifico che veniva discusso sui giornali e nei parlamenti; un problema scientifico citato perfino nei Viaggi di Gulliver; un problema scientifico per la cui risoluzione venne istituito un premio in denaro corrispondente a vari milioni di euro attuali; un problema scientifico che aveva ripercussioni politiche ed economiche enormi.

Il problema era quello di determinare con precisione la longitudine.

Lo so, lo so: non vi ricordate più la differenza tra latitudine e longitudine. Provvedo a rinfrescarvi la memoria.   

La latitudine è la linea dei paralleli che cingono la terra con cerchi di lunghezza variabile, il più grande dei quali è all’equatore. La longitudine invece è la linea dei meridiani che annodano la terra con tanti cerchi della stessa grandezza che convergono tutti ai poli.

La questione è complessa perché se il grado zero dei paralleli di latitudine è fissato dalle leggi di natura, il grado zero del meridiano di longitudine è invece variabile. Detto in altri termini: sapere se si è a nord o a sud dell’equatore (e di quanto) non è mai stato un problema. Sapere invece quanto si è a est o a ovest rispetto a un punto fisso non è così semplice. Anzi, in alto mare è stato impossibile determinarlo con certezza fino quasi all’Ottocento.

E allora come si faceva a navigare fino all’Ottocento? Si navigava a occhio, a giornate, seguendo certe correnti conosciute, seguendo rotte tortuose che passavano però per isole intermedie note e via dicendo. Ciò aveva però inevitabili conseguenze.

In primo luogo i pirati sapevano bene dove eri obbligato a passare per via delle correnti o delle isole intermedie. In secondo luogo seguire il metodo delle correnti e delle isole intermedie talvolta costringeva a compiere tragitti lunghissimi, e pertanto solo alcuni viaggi si sostenevano dal punto di vista economico. E infine, navigando in modo così poco scientifico, era sempre possibile credere di trovarsi in certo posto mentre si era in un altro. E in questi casi le conseguenze potevano essere nefaste.

Rimase per esempio celebre il caso verificatosi nel 1707 quando quattro navi britanniche si infransero sugli scogli presso le isole Scilly, vicino alla punta sudoccidentale dell’Inghilterra, e duemila marinai persero la vita. Anche a seguito di tale sciagura il Parlamento inglese emanò nel 1714 il famoso Longitude Act che stanziò un enorme premio (20.000 sterline dell’epoca) per chi avesse risolto il problema della longitudine con uno scarto di mezzo grado, e istituì una speciale commissione di eminenti studiosi incaricata di vagliare le proposte.

Come capita sempre nelle grandi imprese scientifiche, e penso per esempio a quando si fecero le prime ricerche per mandare l’uomo sulla Luna, per una sorta di serendipity mentre si cerca una cosa se ne trovano altre, comunque interessanti. Negli anni successivi alla sua costituzione, la commissione si trovò quindi a valutare sia scoperte che oggi sarebbero considerate ciascuna degna del premio Nobel – la velocità della luce, il peso della Terra, la distanza tra pianeti – sia progetti che, pur interessanti, tuttavia non risolvevano il problema: come migliorare il timone delle navi, come rendere potabile l’acqua a bordo, vele speciali da tempesta e via dicendo.

Inoltre, come accade quando una questione scientifica diviene di dominio pubblico, provarono a farsi avanti per risolverla anche i non scienziati. Un po’ come è accaduto, tanto per fare un esempio dei nostri giorni, nel 1989 quando è stata annunciata e poi smentita la scoperta della fusione nucleare fredda e gli uffici brevetti italiani nelle settimane successive vennero contattati da decine di persone che sostenevano di essere riusciti ad ottenerla in cucina con un frullatore o cose del genere. Nel caso della longitudine si fecero avanti veri e propri pazzi (che presentarono progetti per macchine a moto perpetuo, per la quadratura del cerchio e per il calcolo preciso del pi greco), ma anche meno pazzi, le cui proposte trovarono talvolta spazio perfino sulle colonne dei quotidiani e in pamphlet.

Tra i primi si fecero per esempio avanti alcuni sostenitori della polvere simpatica: un misterioso prodotto che, si diceva, guarisse a distanza se applicato a un oggetto della persona malata. Costoro proposero dunque di inviare a bordo delle navi dei cani feriti mentre a terra le bende di questi cani venivano strofinate con la polvere simpatica ogni giorno a mezzogiorno preciso in modo tale che a bordo delle navi sapessero che ora fosse sulla costa. Ogni commento appare superfluo.

Tra i secondi ci fu chi propose di produrre suoni da certi punti di riferimento a ore fisse. Anche questa soluzione si dimostrò impraticabile. Il suono non si propaga in modo uniforme e soprattutto è lento. In pratica non si sarebbe comunque capito quanto una nave era distante dal punto di riferimento. Si ipotizzò allora, per ovviare a questo problema, di fare segnali luminosi a certe ore della notte, ma la portata sarebbe stata comunque modesta. Si ipotizzò allora, per ovviare a quest’altro problema, di sparare in aria, a duemila metri di altezza, delle specie di fuochi di artificio. Poi ci si accorse che queste ipotesi comportavano problemi tecnici di difficile soluzione (per esempio: come ancorare una nave nell’oceano dove il fondale era profondo 6000 metri?) e che soprattutto comportavano costi esorbitanti visto che prevedevano la costruzione e il mantenimento di un’intera flotta di navi. 

Tutti questi esempi, anche quelli strampalati, avevano però almeno il merito di cogliere un aspetto centrale della questione. Per calcolare la longitudine in alto mare sarebbe infatti bastato conoscere l’ora a bordo della nave e che ora era nello stesso istante al porto di partenza poiché la differenza tra orari era facilmente tramutabile in distanza tra meridiani. Misurare che ora era in alto mare è sempre stato abbastanza semplice, ma sapere che ora era a Londra mentre eri nell’Oceano indiano non era così semplice. Voi direte: gli orologi c’erano già, perché non vennero usati? Perché gli orologi del Seicento e del Settecento erano imprecisi, e in un viaggio in mare che durava mesi queste discrepanze tra orologi avrebbero portato a sbagliare la rotta per centinaia di miglia. Tanto per fare un esempio: all’altezza dell’equatore lo sfasamento di un’ora avrebbe provocato un errore di posizione di mille miglia, e nel Seicento  gli orologi sbagliavano mediamente di un quarto d’ora al giorno in avanti o indietro. E su una nave gli orologi potevano essere ancor meno precisi per via del rollio e per via del fatto che i cambiamenti di temperatura che si verificavano in un lungo viaggio restringevano o dilatavano sia i meccanismi sia i lubrificanti, modificando quindi le prestazioni dell’orologio. La soluzione rappresentata dall’uso di un orologio era quindi da scartare a meno che… a meno che non fosse stato inventato un orologio molto preciso che sopportasse il rollio e le cui performance non fossero influenzate dai cambiamenti di temperatura.

Di questo si occupa il bel libro, che permette numerose riflessioni, di Dava Sobel che vi consiglio di leggere e che si intitola Longitudine: la vera storia della scoperta avventurosa che ha cambiato l’arte della navigazione.

Fino ad ora ho un po’ imbrogliato perché ho presentato un vecchio problema scientifico così come lo vediamo oggi, oggi cioè che sappiamo che il cronometro di precisione risolse il problema e che era anche la soluzione più semplice. Ma all’epoca non si ragionò così. I grandi scienziati dell’epoca infatti diffidarono, e a lungo, della soluzione tecnologica (quella cioè che utilizzava uno strumento) preferendo trovare la soluzione nei cieli. Galilei elaborò per esempio una soluzione basata sulle fasi lunari di Giove. La soluzione funzionava, ma in mare non era così semplice osservare i satelliti di Giove. Altre soluzioni vennero tentate con tabelle lunari, ma – come sapete – la questione della posizione della Luna fu a lungo un rompicapo. Insomma all’epoca un approccio ideologico alla questione impedì a grandi scienziati come Newton di valutare con serenità la soluzione tecnologica.

Ovviamente non era stata ancora scritta la celebre Enciclopedia, e pertanto all’epoca le arti meccaniche non erano ancora state rivalutate. Oggi, al contrario, un sentire comune predilige lo sviluppo tecnologico alla ricerca pura. Si tratta in realtà di una contrapposizione che ha poco senso.

Progresso scientifico e sviluppo tecnologico sono intrecciati. Il navigatore satellitare è una tecnologia di grande utilità, che però non sarebbe stata possibile se non ci fosse stata la scoperta della relatività da parte di Einstein (se non ne tenessero conto, i satelliti indicherebbero una posizione sbagliata di vari chilometri).

Allo stesso modo, la più importante scoperta scientifica degli ultimi anni, e cioè il bosone di Higgs, non sarebbe stata possibile senza l’enorme dispiegamento tecnologico messo a disposizione dal CERN di Ginevra.

A risolvere infine la questione della longitudine fu il falegname inglese autodidatta John Harrison che inventò una serie di cronometri uno più preciso dell’altro, costruiti utilizzando materiali che avevano bisogno di scarsa lubrificazione, inattaccabili dalla ruggine e che erano in grado di resistere al rollio prolungato mesi di una nave e al ripetuto sbalzo di temperature senza perdere precisione.

Harrison era nato nel 1693 e produsse il primo orologio di precisione all’età di vent’anni, l’H-1. Non si sa come abbia fatto a capire il funzionamento di un orologio da solo, visto che era figlio di un falegname e gli orologi all’epoca costavano un occhio della testa. Ma ci riuscì.

Harrison vinse dunque il premio? No. Il dibattito scientifico non è quello che ci viene spesso raccontato, un contrapporsi limpido tra teorie e una onesta messa alla prova delle medesime, e quello che accadde a Harrison ne è un bell’esempio.

I membri della comunità scientifica diffidavano della scatola magica di Harrison, e i commissari incaricati di assegnare il premio cambiarono più volte il regolamento del premio pur di non assegnarlo a un artigiano autodidatta (che per giunta faceva fatica a scrivere) e pur di favorire “gli astronomi”.

La commissione rimase attiva per oltre un secolo (ovviamente sostituendo più volte i membri che via via scomparivano) e cioè molto dopo che il problema della longitudine fu risolto. Non assegnò mai il premio, ma più volte elargì anticipi a ricerche che meritavano di essere proseguite, e quando si sciolse (nel 1828) aveva distribuito 100.000 sterline, cioè molto più del premio previsto. Tutto il mondo è paese: quando ci sono di mezzo dei fondi pubblici, le istituzioni incaricate di gestirli si sclerotizzano e perdono di vista lo scopo per cui sono state create.

Harrison si dovette dunque accontentare di vari incentivi economici elargiti dalla commissione per continuare a migliorare i suoi strumenti – il suo primo orologio di precisione fu del 1713 e pesava 34 chili; il suo ultimo, il quarto, venne finito nel 1759 e pesava un chilo e trecento grammi – e nel 1773 il parlamento, su interessamento del re Giorgio III, gli assegnò anche un premio di 8.750 sterline per i suoi straordinari meriti. Ma non ebbe mai il premio anche se i suoi orologi avevano gli standard richiesti nel bando originario, anzi erano tre volte più precisi di quanto richiesto. Addirittura a un certo punto subì anche un tentativo di boicottaggio da parte di uno dei membri della commissione che voleva falsare i risultati di alcuni test.

Per i membri della commissione il problema della longitudine rimase infatti sempre un problema astronomico e non un problema tecnico. Una presa di posizione chiaramente preconcetta, ideologica, che impedì di vedere una comoda soluzione a portata di mano. Un ammonimento anche per i giorni d’oggi.

Alla lunga però Harrison, e soprattutto i suoi seguaci, trionfarono. Nel 1791 la Compagnia delle Indie Orientali distribuì ai capitali delle navi dei nuovi registri di bordo prestampati che prevedevano un’apposita colonna per segnare la “longitudine da cronometro”.

20170425 longitudineHarrison era però morto nel 1776.

Dava Sobel, Longitudine: la vera storia della scoperta avventurosa che ha cambiato l’arte della navigazione, Bur Rizzoli, 8,90 euro, 155 pp.,

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Juri Casati
Juri Casati

Classe 1975, lavora in un'Agenzia per il Lavoro. Laureato in Filosofia, è autore di numerosi racconti di genere horror, gotico, fantastico e fantascientifico. Coltiva interessi in ambito storico e di filosofia della scienza

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