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A venti anni dalla scomparsa del grande cantautore, amici e lettori di Vorrei lo ricordano con aneddoti personali. E se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare, suonare ti tocca per tutta la vita, e ti piace lasciarti ascoltare.

È così: De André, per me, è Il suonatore Jones. Anzi, proprio questi versi che, a differenza di altri, sono indelebili nella mia memoria: quella benedetta memoria che, come racconta Elisabetta, va occultando, se non cancellando inesorabilmente, anche le parole mille volte ascoltate e ripetute con intensa partecipazione. Questi tre versi no: perché sono legati al ricordo di una persona e di un momento della mia giovinezza, oltre che al senso dell’ambivalenza della libertà.

Era la mia prima vacanza con gli amici: il campeggio, il mare dell’Elba, l’aria azzurra e profumata, la libertà condivisa. I ragazzi che piantavano i paletti e montavano le tende, noi che sistemavamo bagagli e stoviglie, e poi ancora loro che, fieramente cavallereschi, si occupavano della spesa e della cucina, con risultati a volte accettabili, altre inqualificabili: ma anche questi scivolavano via allegramente fra pittoreschi insulti al cuoco ed euforizzanti sorsi di Aleatico. Le discussioni politiche le avevamo lasciate in Brianza: al mare la passione comune per un modo di concepire la vita che non fosse quello dell’oratorio, obbedendo “non al denaro né al cielo”, semmai all’amore, ce la vivevamo ascoltando e cantando insieme De André. Avevamo con noi il “nostro” suonatore Jones, uno che sulla chitarra riversava la sua polemica col mondo, insieme al suo bisogno di ottenere considerazione. I suoi pezzi preferiti erano La Ballata del Miché e, appunto, Il suonatore Jones. Era l’unico fra noi a saper suonare, e questo lo metteva al centro del gruppo nei momenti di più intensa condivisione: ma non ne era del tutto contento, era come se pensasse che gli prestavamo attenzione solo per la sua chitarra. Cantava “Suonare ti tocca per tutta la vita” come se dicesse: sono costretto a suonare per farmi ascoltare.

Beh, in quel “ ti tocca” c’è un poco il senso della costrizione, ma alla fine capiamo che il suonatore Jones è uno che decide di seguire senza rimpianti la sua vocazione, perchè solo in questa trova la propria libertà. Eppure, lo stesso De André si era sentito un po’ in contraddizione con quel personaggio: a Fernanda Pivano dichiarava: “Calarsi in questo personaggio così sereno da suonare per puro divertimento, senza farsi pagare, per me che sono un professionista della musica è stato tutt’altro che facile. Capisci? Per Jones la musica non è un mestiere, è un’alternativa: ridurla a un mestiere sarebbe come seppellire la libertà. E in questo momento non so dirti se non finirò prima o poi per seguire il suo esempio.” Ma per nostra fortuna De André ha continuato fino alla morte a suonare per noi, per mestiere e per amore, con la disciplina del professionista e la libertà dell’artista.

 

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Fernanda Pivano e Favrizio De André

 

E mi è sempre sembrato che cantasse proprio per me La canzone dell’amore perduto o quella delle passanti, le canzoni del rimpianto e della malinconia che non puoi non accumulare vivendo. Perché nella musica e nella poesia di Faber c’è tutto quello che di più vero c’è nella vita: c’è il buon ladrone e c’è Maria, c’è il bombarolo e c’è il pescatore, il viado e il vecchio professore, il personale e il politico, l’allegria e la tristezza, la rivolta e l’amore.

A noi che, come ricorda anche Elisabetta, avevamo avuto l’infanzia e la prima adolescenza devastate da un’educazione cattolica fondata sulla paura della punizione eterna, la sua Preghiera in gennaio aveva insegnato, invocando quel Dio di misericordia che tanti sedicenti cristiani dimenticano così volentieri, che “l'inferno esiste solo per chi ne ha paura”.

“Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore”: quanto avrebbe da imparare la nostra epoca rancorosa e ipocrita da Il testamento di Tito?

A differenza di tanti cattivi maestri del mondo della musica giovanile, De André non ha mai sfruttato la rabbia e la rivolta per farne marketing e moda. Io non conosco bene quel mondo, ma nei primi anni Duemila mi è capitato di lavorare con delle amiche più giovani ad un progetto rivolto ai ragazzi del Centro di Aggregazione giovanile di Seregno sul tema della libertà ( il CAG era uno spazio di socialità e cultura, previsto dalla legge 285 del 199, che la locale amministrazione leghista chiuse poco dopo in seguito ad un’ispezione che aveva trovato due birre in frigorifero e dei tappeti, che non potevano che servire per la preghiera islamica ai ragazzi stranieri che lo frequentavano…). Proponevamo brani poetici e musicali che potessero sollecitare identificazione e discussione sul senso della libertà, così agognata dai ragazzi. Come non iniziare col suonatore Jones?

Libertà l'ho vista/ dormire nei campi coltivati/ a cielo e denaro, /a cielo ed amore, /
protetta da un filo spinato.
Libertà l'ho vista/ svegliarsi ogni volta che ho suonato/ per un fruscio di ragazze
a un ballo, / per un compagno ubriaco.

Arianna propose anche un altro testo di Faber, quello di “Signora libertà, signorina anarchia”: si discusse tanto di un De André anarchico, che a me sembrava un modo di annacquare un’idea e di costringere un poeta in una definizione. E comunque, c’era ben altra musica “anarchica”, perché non parlare anche di quella? e allora, vai con i Sex Pistols.

I am an anarchist, i am an antichrist

Musica che non conoscevo, che certo faceva effetto, e andava forte allora, molto forte. Ma tutta quella rabbia devastante dei punk con la loro moda sadomaso e la contaminazione dell’estrema destra, è tramontata ingloriosamente, tra morti per overdose e “l’anticristo” Jonny Rotten finito a fare la reclame di una marca di burro sulla televisione inglese. Di De André, che è morto proprio in quello stesso periodo, non c’è nulla che si possa considerare tramontato, perché non c’è mai stato nulla che fosse moda. Anzi, direi, è anche grazie alle sue canzoni che forse tanti di noi possono considerarsi “anime salve”.

 

La foto di Il nostro De André è del grande Guido Harari

 

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Gli autori di Vorrei
Carmela Tandurella
Carmela Tandurella

Se scrivere è “scegliere quanto di più caro c'è nel nostro animo”, ecco perchè scrivo prevalentemente di letteratura. Storia, filosofia, psicologia, antropologia, tutte le discipline che dovrebbero farci comprendere qualcosa in più della nostra umanità, mi sono altrettanto care, ma gli studi classici, la laurea in filosofia, anni di insegnamento e una vita di letture appassionate mi hanno convinto che è nelle pagine degli scrittori che essa si riflette meglio. Il bisogno di condividere quello che ho letto e appreso, che prima riversavo nell'insegnamento, mi ha spinto ad impegnarmi prima con ArciLettore, poi, dal 2013, con Vorrei, del cui direttivo faccio parte. Da qualche anno sono impegnata anche nella collaborazione alle pubblicazioni e alle iniziative del Comitato Antifascista di Seregno e del Circolo Culturale Seregn de la memoria, di cui sono attualmente vicepresidente.Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.