20170403 euro

Nel suo nuovo libro, in uscita tradotto in Italia da Einaudi, il giudizio di Stiglitz sull’euro si può riassumere così: la moneta unica è stata mal pensata e male attuata. Tuttavia, questo giudizio non comporta una posizione di Stiglitz contro l’unità dell’Europa: al contrario, questa è da preservare e da perseguire.

Ormai da molto tempo l’opinione pubblica e i capi che la seguono (questi non sono tempi di leader, ma di capi-popolo!) hanno messo  l’euro tra gli argomenti più scottanti, attribuendo alla nuova moneta tutti le colpe o i meriti del mondo, assumendo posizioni radicali e semplicistiche nei suoi confronti: euro si, euro no. In questa contesa, ognuno ha cercato di portare a sostegno delle proprie posizioni personaggi autorevoli. Tra questi, un ruolo di spicco ha assunto Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, che i sostenitori del “no” hanno eretto tra i loro maggiori testimoni. È quindi utile andare a leggere  in presa diretta cosa egli pensa dell’euro.

Lo ha spiegato in modo più che esauriente nel suo ultimo libro The Euro. How a common currency threatens the future of Europe, W. W. Norton & Company Ltd, London, 2016.  (in uscita con Einaudi la  traduzione in italiano il 4 aprile prossimo). Come anticipa  lo stesso titolo, il giudizio di Stiglitz sull’euro si può riassumere così: la moneta unica è stata mal pensata e male attuata. Tuttavia, questo giudizio non comporta una posizione di Stiglitz contro l’unità dell’Europa: al contrario, questa è da preservare e da perseguire. Le vicende dell’euro non debbono quindi metterla in forse. Tornare indietro, alle monete nazionali, potrebbe essere possibile ma molto rischioso. E’ preferibile procedere verso l’unità politica dell’Europa, modificando la moneta unica in modo da farne un riferimento non rigido, com’è attualmente, ma flessibile.

La critica maggiore che Stiglitz muove  alla creazione dell’euro è che la decisione di adottare una moneta unica avrebbe dovuto seguire, e non anticipare,  adeguati progressi  nella integrazione politica dei paesi aderenti, ed essere  meno calata dall’alto, più democratica. In questo quadro, sarebbe stato  necessario un   comune governo dell’economia  a livello europeo. orientato alla piena occupazione e a una crescita  basata  dalla riduzione delle disuguaglianze.  A suo parere l’euro è influenzato dal liberismo economico dominante, nonostante che  “in gran parte del mondo c’è una crescente comprensione  del fatto che l’ideologia della destra ha fallito, e altrettanto le dottrine economiche del neoliberalismo”.  In particolare, dalla teoria secondo cui  la lotta alla disuguaglianza può essere attuata solo perseguendo prima la crescita economica. Stiglitz sostiene la teoria opposta (che condivido pienamente), secondo cui  è proprio la lotta alla disuguaglianza, basata sul sostegno alla domanda dei ceti poveri e meno poveri,  che può portare a  una crescita maggiore e condivisa.

Un’altra critica di particolare rilievo è che la moneta unica costituisce una gabbia rigida per i paesi in calo di competitività rispetto agli altri, con conseguenze destabilizzanti sulle loro bilance commerciali e quindi sulla loro stabilità economica e politica: gli impedisce cioè di usare la svalutazione della propria moneta per tornare competitivi, rilanciando produzione e occupazione.

Nel mirino di Stiglitz è particolarmente il sistema bancario. Non solo la creazione di moneta attraverso il credito è scarsamente controllata dalla BCE (Banca Centrale Europea), ma il  credito è indirizzato  più all’acquisto di beni stabili   che alle  attività produttive e alle famiglie, e pertanto non crea sviluppo e occupazione. Inoltre è esoso, ai limiti dell’usura, e le banche impongono  alti prezzi su  servizi (come le carte di credito) il cui costo tende a zero grazie alla digitalizzazione. Considerata la cattiva prova della delega al settore privato dell’esercizio del credito, Stiglitz è chiaramente favorevole a un sistema bancario pubblico o comunque a vincoli più rigidi sulla gestione privata, resi possibili dall’informatizzazione.

La critica di Stiglitz a molti aspetti e difetti  della moneta unica è difficilmente contestabile, anche se può apparire eccessivamente radicale, dando maggior risalto agli aspetti negativi rispetto a quelli    positivi (ad es. l’eliminazione degli ingenti costi e rischi di cambio). Egli porta a sostegno della propria tesi il confronto con altri paesi europei che non hanno aderito alla moneta unica, dimostrando che i risultati di questi ultimi in termini di crescita del prodotto e di occupazione sono stati migliori. Ma ovviamente non si può sapere quale sarebbe stato l’andamento dei paesi aderenti all’euro se si fossero conservate le vecchie monete nazionali.

Altri economisti, come Romano Prodi,  contestano le sue tesi, affermando che Stiglitz attribuisce all’euro molti dei guasti causati dalla crisi finanziaria globale e dalla miscela globale tra progresso tecnologico e finanziarizzazione dell’economia, causa principale della crescente  disuguaglianza.

Occorre poi tener presente il clima che ha portato alla decisione dell’introduzione dell’euro. L’esperienza dell’unità europea si è basata storicamente sull’anticipo delle scelte  economiche rispetto a quelle miranti all’unità politica: dalla CECA (Comunità Europea  del Carbone e dell’Acciaio) del 1951, alla CEE (Comunità Economica Europea) del 1957, che ha generato il mercato comune e ha portato nel 1992, con il Trattato di Maastricht, all’attuale UE (Unione Europea). In parallelo con l’adozione dell’euro era inoltre in gestazione la costituzione europea, poi bocciata in modo imprevedibile dai referendum francese e olandese.

Quanto alla rigidità dell’euro, occorre ricordare che  tra le ragioni dell’adesione dell’Italia alla moneta unica  vi  era proprio quella di abbandonare la politica delle svalutazioni competitive di corto respiro,  che premiavano l’inefficienza di molte imprese facendola pagare ai risparmiatori. Si riteneva che con la moneta unica il sistema produttivo italiano avrebbe dovuto accettare la sfida dell’innovazione e della produttività. E da questo punto di vista, i risultati per l’Italia sono in chiaroscuro, ma con molto più chiaro che scuro. E’ vero che il settore manifatturiero italiano  è stato falcidiato, come del resto quello di altri paesi. Ma questo è per lo più dovuto non all’euro, ma al processo globale di riduzione del settore secondario (produzione di beni) rispetto al settore terziario (produzione di servizi). E del resto, la manifattura italiana ha tenuto il passo delle innovazioni, competendo con i quattro o cinque maggiori produttori mondiali in  settori come quelli delle macchine utensili, della robotica, della farmaceutica (l’Italia non è solo turismo e alimentare!), e raggiungendo nel 2016 il record storico di un attivo della bilancia commerciale di 51,6 miliardi, di cui 11,7 con i paesi dell’UE (dati Istat).

Per superare i guasti causati  dall’euro, Stiglitz propone una politica economica di vasto respiro: un insieme di sette  riforme strutturali e due anticrisi. (vedine la sintesi nella scheda allegata).

 

20170403 Joseph Stiglitz

 

Tra le prime l’unione bancaria, la mutualizzazione del debito, un insieme di regole  e di meccanismi anche automatici per ridurre gli squilibri tra i diversi paesi, una politica di convergenza che scoraggi i surplus (in particolare quello commerciale della Germania), e riforme decisamente finalizzate  al pieno impiego e a una prosperità condivisa. Le politiche anticrisi  dovrebbero a loro volta puntare su una differenziazione e flessibilità degli interventi nei diversi paesi, e alla fine prendere in considerazione la ristrutturazione del debito  pubblico.

Stiglitz è consapevole del fatto che le sue proposte incontrerebbero ostacoli proprio dal punto di vista politico (“mentre penso che questa agenda per rendere funzionante l’euro sia del tutto fattibile, è molto probabile che non verrà attuata”). Prospetta allora tre alternative: continuare con la politica del tirare a campare (“muddling through"), creare un euro flessibile, o puntare su un divorzio “il più possibile amichevole”.
Dopo aver esaminato l’ipotesi del divorzio in ogni dettaglio, Stiglitz si orienta  sulla scelta dell’euro flessibile, che peraltro utilizza  alcune tecnicalità del divorzio. Per formularla, Stiglitz   parte dalla storia dell’evoluzione della moneta: dalla moneta metallica, legata a oro e argento, si è passati a quella cartacea, “piatta”, non più legata  alle vicende del metallo,  ed ora a quella del giorno d’oggi,  utilizzata  progressivamente per tutte le transazioni: la moneta  elettronica, virtuale. Dice Stiglitz: “I biglietti di banca, quei buffi pezzi di carta con l’immagine di personaggi o monumenti famosi stampati sopra, sono per lo più un relitto del passato”. Con la moneta elettronica egli ritiene possibile affiancare ai pagamenti in euro per le transazioni internazionali “un sistema grazie al quale i pagamenti verso e dall’estero potrebbero essere bilanciati: gli esportatori riceverebbero dei buoni (“chits") in aggiunta agli euro locali, e gl’importatori dovrebbero acquistare un corrispondente numero di buoni, in aggiunta ai pagamenti per i beni acquistati. Il sistema dei buoni, commerciabili, consentirebbe di equalizzare il valore delle importazioni con quello delle esportazioni”. A prima vista, sembra un sistema di dazi non rigidi, ma flessibili e automatici, capaci di annullare o almeno contenere avanzi e disavanzi delle bilance commerciali dei paesi dell’eurozona.  Funzionerebbe? Sarebbe compatibile con un  sano mercato, , quello che gli economisti chiamano “concorrenza imperfetta”, espressione di libertà e produttore di ricchezza, continuamente insidiato dai due estremi del monopolio e del protezionismo, del liberismo e dello statalismo?

Nella prefazione al libro Stiglitz aveva definito l’integrazione dell’Europa come  “uno straordinario (tremendous), importante progetto”. Gli ultimi paragrafi, prevalentemente di natura politica, sono dedicati con passione al salvataggio del progetto, con espressioni del tipo: “Non sono tempi, questi, in cui l’Europa può permettersi di essere disunita ed economicamente debole”. “La voce dell’Europa, con i suoi valori, deve essere ascoltata… e non verrà ascoltata se in essa non vi sarà una prosperità condivisa”. E nelle conclusioni  estende  questo auspicio anche all’euro:  “Questo libro ha mostrato che l’euro può essere salvato, che deve essere salvato, ma salvato in modo da creare quelle prosperità e solidarietà che facevano parte delle sue promesse”.

In questi tempi di rigurgiti “sovranisti”, e  dopo la Brexit, un barlume di rilancio del sogno europeo sembra essersi  acceso con  la  recente Dichiarazione di Roma nel 60esimo dei Trattati che hanno avviato il processo di unità europea, firmata da tutti i  27 paesi dell’Unione.   Questo atto formale sembra avere una carica fondativa che ne fa quasi il  primo atto costituzionale di una futura federazione. La ragionevole scelta di una evoluzione differenziata verso questo obiettivo, a più velocità secondo i diversi passi dei diversi paesi e senza chiusure, potrebbe  consentire di riprendere  quello che sarà  comunque un lunghissimo, ma positivo  cammino.

 

 

COME CREARE UN’EUROZONA CHE FUNZIONI
(Secondo Joseph E. Stiglitz)

 

RIFORME STRUTTURALI:

1. Una Unione Bancaria: non solo supervisione, ma anche assicurazione dei depositi e comuni procedure di salvataggio delle banche in crisi.
2. Mutualizzazione del debito: emissione di eurobonds da vincolare  a investimenti produttivi e a interventi di rilancio di paesi in difficoltà.
3. Un sistema comune per la stabilità, finalizzato allo sviluppo e all’occupazione dei singoli paesi .  I vincoli di Maastricht sono destabilizzanti: occorre fare il contrario: 3.1 Distinguere le spese per investimenti da quelle correnti; 3.2 Creare un fondo di solidarietà per sostenere i disoccupati, aiutarli  a ritrovare un lavoro, facilitare il credito alle piccole e medie aziende, potenziando la BEI (Banca Europea per gli Investimenti);  3.3 Stabilizzatori automatici, come l’immissione automatica di moneta, l’assicurazione sulla disoccupazione, la progressività delle imposte; 3.4 Flessibilità nella concessione del credito, con tassi differenziati a favore dei paesi in crisi; 3.5 Prevenire gli eccessi,  utilizzando gli strumenti esistenti o creati  per evitare o contenere le bolle finanziarie, specie immobiliari. 3.6 Stabilizzare le politiche fiscali, orientando gli investimenti verso la scuola, la ricerca di base, l’ambiente, traendo le risorse da una maggiore progressività delle imposte, e quindi con l’intervento dello stato.
4. Una politica di reale convergenza - Verso un riallineamento strutturale. 4.1 Scoraggiare i surplus delle bilance commerciali; 4.2 Politiche salariali e fiscali espansive nei paesi in surplus; 4.3 Invertire le altre politiche divergenti. Rilanciare le politiche industriali statali e gli investimenti nelle  infrastrutture.
5. Una struttura dell’Eurozona che promuova il pieno impiego e la crescita per tutta l’Europa - Macroeconomia. Ampliare i compiti della BCE (Banca Centrale Europea), per servire effettivamente la società attraverso la destinazione del credito alle attività produttive, e non ad acquisti  sterili e a tesaurizzazione.
6. Assicurare il pieno impiego e la crescita in tutta Europa. 6.1 Destinare gli investimenti ad impieghi di lungo termine, come le infrastrutture e il progresso tecnologico; 6.2 Riformare il governo delle imprese. Ridurre le risorse destinate a dirigenti e azionisti e aumentare quelle destinate a retribuzioni decenti e a investimenti per il futuro dell’impresa. Maggiore trasparenza gestionale; 6.3 Norme per risolvere velocemente i casi di fallimento, con remissione  e ristrutturazione del debito (un Chapter 11 degli USA potenziato); 6.4 Promuovere gl’investimenti per l’ambiente. Non basta una crescita alta, occorre una crescita compatibile, penalizzando la produzione di CO2.
7. Un impegno alla prosperità condivisa. Contribuire a combattere l’aumento della disuguaglianza in atto su scala mondiale, contrastando la competizione fiscale tra i paesi europei, la riduzione delle tasse a scapito  degli investimenti e servizi pubblici.

 

RIFORME PER LA GESTIONE DELLE CRISI

1. Dall’austerità alla crescita. 1.1 Conoscere i  limiti della politica monetaria. Uso concertato e articolato della politica fiscale, secondo le esigenze specifiche dei singoli paesi, puntando sulla sussidiarietà (autonomia sostenuta); 1.2. Riconoscere il principio del moltiplicatore della politica di bilancio: aumentando le tasse in parallelo con l’aumento dei servizi sociali, e articolando il sistema fiscale (ad es. aumentando i sussidi alle  classi povere tassando le eredità dei ricchi) l’incremento del PIL può essere un multiplo della maggiore spesa pubblica.
2. Verso la ristrutturazione del debito. Quando necessario (es. Grecia, Argentina), la ristrutturazione del debito deve essere rapida e profonda. La trasformazione del  debito in titoli di stato può stimolare la ripresa dopo it dissesto. “La ristrutturazione dei debiti è parte essenziale del capitalismo”.

 

 

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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