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Le tesi di Richard H. Thaler, il più recente economista-psico-sociologo insignito del premio Nobel 2017 per l’economia.

In molti tra i miei articoli precedenti ho cercato di esplorare le proposte che economisti di vaglia, tra cui premi Nobel, hanno elaborato per sconfiggere uno tra i maggiori problemi degli ultimi decenni: la crescente disuguaglianza e la permanenza di centinaia di milioni di poveri in un mondo sempre più ricco.

Nonostante molte di queste proposte appaiano relativamente semplici e ragionevoli, comportando piccoli sacrifici per pochi e grandi vantaggi per tutti (progressività delle imposte, lieve tassazione dei patrimoni più ingenti, ereditati e improduttivi, controllo della finanza speculativa fine a se stessa, salari adeguati con orari di lavoro ridotti grazie al progresso tecnologico, reddito “di libertà” à la Amartya Sen, trade off da spese militari a spese per la cultura, eccetera), esse appaiono sempre ben lontane dall’essere realizzate.

Un discorso simile si potrebbe fare per altri problemi globali, e in particolare per la difesa dell’ambiente, la lotta contro le diverse forme di inquinamento, spreco di risorse naturali e consumo incessante di suolo libero.

Quindi la domanda è: perché non si riesce ad attuarle?

Molti danno risposte ideologiche o complottistiche: il sistema capitalista, l’uno o il dieci per cento più ricco del mondo, le banche, le multinazionali, la massoneria, eccetera. Per fortuna non si parla più degli ebraici protocolli dei Savi di Sion (ma siamo sulla buona strada per riesumarli!). Io credo che occorra andare al di là dei rigidi modelli mentali. Ci sono effettivamente poteri, spesso oscuri, contigui alla criminalità, che si oppongono per fini propri a una convivenze civile globale. Per batterli occorre cercare di realizzare convergenze tra poteri legittimi capaci di prevalere, all’insegna del “quando il gioco si fa duro, i duri scendono in campo”. Ma c’è qualcosa di più sottile, di più profondo.

I poteri distruttivi penetrano nel tessuto sociale, sono sostenuti da una rete di lobby, gruppi di interessi particolari non collegati tra loro ma convergenti nel minare la pacifica convivenza, fino al punto di sedurre vaste fasce della popolazione disagiata i cui interessi sono diametralmente opposti ai loro. Si potrebbe pensare addirittura a cause di natura antropologica, una sorta di rapporto aguzzino-vittima ampliato a livello sociale. Quei poteri, in modo sorprendente (vedi il consenso ottenuto da tycoon come Trump, e prima di lui da Berlusconi in Italia) riescono spesso a suscitare un consenso allargato, soprattutto da parte dei meno abbienti e meno istruiti o colti.

 

20180228 ALTAN BALLA E FIABA

 

Il fatto è che il potere si regge, oltre che sul monopolio della violenza, legittima o meno, sul consenso. Nelle dittature questo è costruito sistematicamente con la propaganda, di cui il fascismo e in particolare Mussolini furono tra i migliori maestri globali. In democrazia il consenso si gioca invece nello scontro tra narrazioni diverse, in una competizione garantita della libertà di espressione, sancita nelle leggi fondamentali, ma troppo spesso concessa indebitamente anche a chi agisce contro il sistema democratico.

È in questo contesto alquanto problematico, per non dire tempestoso, che sono stato attratto dalle tesi di Richard H. Thaler, il più recente economista-psico-sociologo insignito del premio Nobel 2017 per l’economia. Thaler è erede e successore, per questo premio, di Herbert Simon, teorico della “razionalità limitata” (1978), e di Daniel Kahneman, fondatore dell’economia comportamentale e studioso della teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza (2002). In un libro scritto con Cass R. Sunstein, (La spinta gentile, Feltrinelli, 2017, 4° ed.) Thaler suggerisce una via «per migliorare le decisioni degli umani»: l’adozione da parte delle istituzioni pubbliche di un metodo basato sull’uso di “nudges”, di spinte gentili, per indurre i singoli individui ad adottare liberamente comportamenti virtuosi, senza essere sottoposti a norme rigide e costrittive. Un esempio tra i tanti descritti nel libro: meglio far sì che le famiglie siano in grado di leggere senza difficoltà il proprio consumo di energia in corso, che una norma che le obblighi a limitare i consumi.

Debbo dire che, nell’ottica della soluzione dei grandi problemi della disuguaglianza e della povertà, le tesi degli autori mi sono apparse un po’ fragili. Però, per il fatto che trattano aspetti importanti della comunicazione e dei comportamenti, visti nell’ottica di diversi possibili sistemi democratici, mi sono apparse meritevoli di attenzione e riflessione.

Gli autori partono dai concetti propri della razionalità limitata e dell’economia comportamentale: l’homo oeconomicus, perfettamente razionale, delle teorie economiche tradizionali non esiste: esiste l’homo sapiens, in cui il sistema riflessivo è strettamente legato al sistema impulsivo. E’ «un individuo preso da tante cose, che cerca di destreggiarsi in un mondo complesso, nel quale non può permettersi di ragionare a fondo ogni volta che deve fare una scelta”. Chiamano il primo “econe”, il secondo semplicemente “umano”.

20180228 Misbehaving cStante questo dato di fatto, gli autori suggeriscono di «formulare provvedimenti politici che tutelano o aumentano la libertà di scelta» degli umani, come alternativa a provvedimenti che li costringono a scelte calate dall’alto, sia pure finalizzate al loro interesse e benessere.

Considerano come “regola aurea” il fatto che «le persone hanno bisogno di essere “pungolate" quando affrontano decisioni difficili e insolite, quando non è disponibile un feed back immediato e quando hanno difficoltà a tradurre gli aspetti della situazione in termini per loro difficilmente comprensibili».

Se, essi dicono ai loro lettori, condividete questo obiettivo, «allora siate i benvenuti nel nostro nuovo movimento: il “paternalismo libertario”». Ai miei tre lettori io dico: attenti, non intendono quello che noi italiani, specie se orientati a sinistra, intendiamo con queste due sgradevoli parole: paternalismo e liberismo. Per gli autori, americani, paternalismo significa sinistra, e libertarismo destra. Tanto per cambiare, anch’essi propongono una “terza via”. Ma non quella «che ha dominato il ventesimo secolo con chiacchiere sterili». Una che  per quanto riguarda gli USA superi i provvedimenti «di stampo autoritario» proposti dal partito democratico e la «cieca fede nel laissez-faire» dei repubblicani.

La proposta esprime in sostanza un'adesione spinta al principio di sussidiarietà, secondo cui i livelli superiori delle istituzioni non debbono sostituirsi a quelli inferiori nella misura in cui questi ultimi possono fare da sé, ma debbono svolgere una funzione, appunto, sussidiaria, cioè di aiuto a che questi possano farlo, e solo al limite sostituirsi ad essi.

Gli autori parlano ripetutamente di “architettura delle scelte”: cioè di provvedimenti che, anziché imporre ai cittadini determinati comportamenti, propongano loro un complesso di alternative tra le quali scegliere liberamente; spesso però con una alternativa di “default”, con la quale il soggetto si affida inevitabilmente alla fiducia nel proponente.

Viene spontaneo pensare, forse un po’ superficialmente, alla scoperta dell’acqua calda: le strategie di marketing delle grandi imprese sono basate su studi sofisticatissimi sui comportamenti, razionali o irrazionali, dei consumatori. Per non dire dei sistemi di propaganda dei regimi totalitari. Occorre però notare che gli autori considerano fondamentale la trasparenza degli stimoli. Si ispirano al “principio di pubblicità” di John Rawls, insigne studioso dei problemi della giustizia, secondo cui «è vietato ai governi di scegliere una politica che non sarebbero capaci o disposti di difendere in pubblico davanti ai loro cittadini”. Ai cittadini è dovuto rispetto, che verrebbe meno se li si trattasse come oggetti da manipolare.

La proposta di Thaler e Sunstein mira a perseguire un sistema democratico ampiamente partecipato. Ma nella mia ottica può avere anche un obiettivo altrettanto se non più importante, con riferimento al potere, argomento che gli autori non toccano: rompere il collegamento tra poteri nocivi per la convivenza civile e  cultura ambiente da essi stessi artificiosamente creata a proprio vantaggio. Usando gli stessi strumenti di orientamento dell’opinione pubblica.

Come gli  autori riconoscono, «è utile pensare all’ambiente come al risultato di un sistema di architettura delle scelte globale, in cui le decisioni vengono prese da attori di ogni tipo». Tra cui non mancano, purtroppo, quelli che ritengono che: «la propaganda non ha il compito di essere vera, ha invece l'unico compito di essere efficace». (Adolf Hitler, Mein Kampf). E suggeriscono opportunamente di «preoccuparsi di tutti gli architetti delle scelte, pubblici e privati”, considerando «la luce del sole come il migliore dei disinfettanti» contro le possibili patologie dell’informazione e dei comportamenti sociali.

L’azione sulla cultura ambiente, per far sì che la gente sia indotta a pensare e decidere ex informata conscientia, è essenziale. E’ un terreno su cui dominano spesso interessi particolari, potenti nell’informazione, nei mass media, nella manipolazione dell’opinione pubblica. Le fake news, di cui ci si preoccupa oggi, fanno spesso parte di strategie informative fake che plasmano il modo di pensare delle persone, in misura tale da rendere molto difficile estirpare dalla loro mente narrazioni artificiose e interessate. In Italia esiste ancora una fake narrazione sul fascismo, eredità della propaganda degli anni trenta del secolo scorso. Se esiste un soggetto dominante attuale da questo punto di vista e da noi, questo è Berlusconi.

Gli autori propongono un approccio scientifico, economico-psicologico. Io, che pure ho una formazione economica, sono abituato a ragionare anche in termini culturali e politici, a considerare le persone soggetti sia pure in parte irrazionali (ma di quale razionalità parliamo?) ma sempre soggetti, da nutrire maieuticamente con l’istruzione e la cultura, e non da trattare come oggetti di stimoli, sia pure dati a fin di bene. Ma nel lungo termine, a mio parere, le solite “due culture” possono convergere.

Purtroppo, la potenza nella comunicazione dipende non solo dalla capacità di renderla efficace, bensì dalla potenza economica. E qui il discorso ritorna sul problema del potere. Della politica.

Due indicazioni finali: il libro che qui ho commentato è uscito nel febbraio del 2008 (Nudge, Yale University Press), e ripubblicato nel novembre di quell’anno con una postfazione sulla crisi finanziaria esplosa in quell’anno. Nella postfazione gli autori si chiedono se l’applicazione, ovviamente a vasto raggio, dei loro suggerimenti avrebbe potuto prevenire o almeno contenere gli effetti della crisi. Nella marea di cervelli, economici e non, che si rivelarono incapaci di prevedere gli eventi e di indurre gli umani a comportamenti più consapevoli, ne citano solo due che, basandosi sui metodi dell’economia comportamentale, avevano rilevato i sintomi del disastro: scarsa trasparenza di operazioni e strumenti finanziari, diffusione epidemica di illusioni su un futuro di arricchimento generale, conseguente tentazione di avventure economiche. «Sarebbe sciocco suggerire che la giusta risposta alla crisi economica sia fatta unicamente di pungoli”, concludono. Ma almeno in parte sì.

Seconda indicazione: è appena arrivata in libreria la traduzione del testo di Richard Thaler che tratta estesamente dell’economia comportamentale: Misbehaving, Einaudi, 2018).

Gli autori di Vorrei
Giacomo Correale Santacroce
Giacomo Correale Santacroce

Laureato in Economia all’Università Bocconi con specializzazione in Scienze dell’Amministrazione Pubblica all’Università di Bologna, ha una lunga esperienza in materia di programmazione e gestione strategica acquisita come dirigente e come consulente presso imprese e amministrazioni pubbliche. È autore di saggi e articoli pubblicati su riviste e giornali economici. Ora in pensione, dedica la sua attività pubblicistica a uno zibaldone di economia, politica ed estetica.

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