20180711 finanza

Le aziende socialmente responsabili sono quelle che fanno profitti più stabili nel tempo, distribuiscono più dividendi ed escono prima dalle crisi: la finanza etica, oltre ad essere buona, conviene.

Oggigiorno si parla molto di finanza etica, ovvero quella finanza che rispetta l’ambiente, che è solidale ed etica. È una finanza che oltre a seguire degli ideali promette anche dei redditi, dunque non è solo speculazione e azzardo. Non è difficile immaginare una finanza sociale se si pensa quale sia la finalità principale per cui è nata, appunto la finalità sociale di trasferire risorse da soggetti che ne dispongono, ovvero i risparmiatori, a soggetti che ne hanno bisogno, ovvero le imprese.

La finanza può essere responsabile socialmente rispettando l’economia reale, la società e l’ambiente ed avere un peso sempre maggiore. Basti pensare che il 26% degli investimenti mondiali è infatti sostenibile, ovvero riguarda aziende che riducono le emissioni inquinanti, tutelano la sicurezza dei lavoratori, promuovono l’uguaglianza sul posto di lavoro, si dotano di un codice etico. Secondo il primo rapporto sulla Finanza etica e sostenibile presentato alla Camera dei deputati, in Europa la finanza etica vale 715miliardi di euro pari al 5% del PIL continentale, e in Italia il 60% degli investitori sono disposti a puntare sui prodotti sostenibili. L’Unione Europea si prefigge di potenziare e incoraggiare interventi di finanza sostenibili, compresi i green bond per incentivare gli investimenti a favore dell’ambiente. Si tratta di obbligazioni che devono rispondere a dei requisiti prestabiliti per essere dichiarati “verdi”: sono i quattro ‘Green Bond Principles’ stabiliti nel 2014 e rivisti lo scorso anno dalla Icma (International capital market association, l’associazione che riunisce gli attori sui mercati dei capitali) che riguardano: l’impiego del denaro raccolto sul mercato, il procedimento di valutazione e selezione dei progetti, la gestione dei proventi e infine il reporting (Fonte: ilsole24ore). Oggi, ad esempio, esistono fondi dal valore di quasi 500 miliardi che scelgono di non finanziare imprese che operano in settori come le armi il tabacco e i giochi d’azzardo.

Alcuni studi dimostrano che le aziende socialmente responsabili sono quelle che fanno profitti più stabili nel tempo, distribuiscono più dividendi ed escono prima dalle crisi: la finanza etica, oltre ad essere buona, conviene. È ormai riconosciuto che i consumatori sono sempre più orientati a tutelare l’ambiente e salvaguardare il proprio benessere, quello degli individui coinvolti nella produzione e distribuzione, e pertanto sono disposti a pagare un prezzo maggiore per i brand responsabili nei confronti dell’ambiente e del sociale.

Secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Sostenibilità a cura della  Società Italiana Comunicazione, realizzato in collaborazione con Format Research, 6 imprese su 10 decidono di investire in sostenibilità perché ciò porta ad un aumento della brand reputation (58,3%), ad un efficientamento dei processi interni (57,3%), contenimento dei costi (49,3%) e, anche, ad un aumento delle vendite (39,2%).

La sostenibilità va considerata come un driver dello sviluppo economico e come fattore di competitività.

Dalla ricerca emerge che la sostenibilità: è efficace a livello commerciale (per l’81,7% dei soggetti), è un vantaggio competitivo (76,7%), e contribuisce a migliorare la reputazione di un’azienda (87,2%). Ma vi è un limite che ne frena la crescita: la maggior parte delle imprese non ha una dotazione specifica per il bilancio di sostenibilità e solo l’11% prevede una politica di comunicazione verso l’esterno delle proprie performance nell’ambito della sostenibilità nonostante la comunicazione sia una delle leve strategiche per dare impulso ai processi di sostenibilità (Fonte: Ilsole24ore).

In Italia, la finanza etica negli ultimi anni è un settore in crescita; inoltre l’Italia è il primo Stato europeo a poter vantare una legge in favore della finanza etica. Nel marzo 2012, Abi e Confindustria, insieme al ministero per lo Sviluppo economico, hanno rinnovato il protocollo “Responsabilità sociale d'impresa e utilizzo degli indicatori ambientali, sociali e di governance” impegnandosi a dare maggiore diffusione e integrazione della sostenibilità nelle attività delle imprese, per una sensibilità a più livelli.

Fondamentali, per la crescita di questo settore, sono le scelte di investimento dei privati e gli incentivi che potranno arrivare dalle istituzioni nazionali ed europee. Occorre inoltre che il risparmiatore sia informato della destinazione finale del suo denaro; ciò presuppone che siano incentivati sia le istituzioni finanziarie sia i cittadini ad esigere maggiore trasparenza sull'uso delle risorse e aiutare i progetti di utilità sociale e ambientale.

Molte imprese italiane, in particolare le PMI e soprattutto nel Nord, sono molto attente ai propri impatti ambientali, al benessere dei propri dipendenti, ai legami con i territori di riferimento. Alcune già attraverso i piani di Welfare Aziendali si pongono obiettivi di impatto ambientale positivo nei loro progetti, prodotti e processi: ad esempio con il riciclo e il riuso di singoli componenti alla fine della vita di un prodotto, ricorso a materie prime derivanti da riciclo o risparmio di materie prime non rinnovabili; o ancora mediante riconoscimenti di benefit o bonus ai propri dipendenti che migliorino la loro vita, offrendo assicurazioni mediche, previdenza integrativa, sostegno alla maternità, servizi per finalità di educazione, istruzione, assistenza sanitaria e sociale. Ma questo impegno che assumono non è esternalizzato né si prevedono bilanci ad hoc con i quali le imprese comunicano le loro attività. È necessario porre l’accento sulla comunicazione di questo fenomeno con l’obiettivo di mostrare il processo di responsabilizzazione aziendale all’esterno, da cui scaturiscano anche vantaggi di immagine e reputazione.

Una modalità con cui è possibile comunicare all’esterno il proprio impegno verso una economia sostenibile può essere quella di scegliere di dotarsi di uno status giuridico riconoscendo nel proprio statuto il duplice scopo di massimizzare il profitto e di beneficio comune, ovvero assumendo la qualifica giuridica di Società Benefit. Con questa nuova qualifica giuridica un’impresa l’obiettivo è che il for benefit e la sostenibilità non siano più un’alternativa ma un nuovo modello di fare business. Si tratta di imprese che volontariamente decidono di svolgere in modo innovativo attività di business avendo, “oltre” l’obiettivo di massimizzare il profitto, “anche” quello di creare un impatto positivo in termini economici, sociali e ambientali. Si assumono, inoltre, formalmente l’obbligo di raggiungere lo scopo di beneficio comune operando in modo responsabile, trasparente e sostenibile verso tutti gli stakeholder: soci, dipendenti,  fornitori,  cittadini  e tutte  le categorie che possano essere impattate dall’attività aziendale. E potranno comunicare all’esterno questo loro innovativo modo di fare impresa inserendo nella denominazione o ragione sociale la qualifica di Società Benefit.

In questo modo si diventa più appetibili nei confronti, non solo dei consumatori ormai sempre più attenti alle società socialmente responsabili, ma anche agli occhi di chi vuole investire i propri risparmi e le proprie disponibilità monetarie puntando sulle società ad impatto sociale e ambientale che possono garantire buoni rendimenti nel prossimo futuro.

 

Fonte immagine: ilcambiamento.it

Gli autori di Vorrei
Connie Rizzo
All’anagrafe Maria Concetta Rizzo. Dottore commercialista. Mi occupo di fiscalità per società, enti del terzo settore e mondo dell’arte, e consulenza per musei, teatri, gallerie, fondazioni e associazioni culturali.
A Milano nel 2011 e qui mi appassiono e mi avvicino al mondo dell’arte. Amo la Street-art. Trascorro i week-end tra mostre e teatro.